in

Misteri di famiglia e atmosfere fiabesche: “Il giardino dimenticato” di Kate Morton

- -

 


Il giardino dimenticato 
di Kate Morton 
HarperCollins, luglio 2025 

Traduzione di Alessandra Emma Giagheddu 

pp. 576 
€ 16,00 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook) 


Come in un caleidoscopio si sovrappongono e si amplificano le immagini, così nel romanzo di Kate Morton, si intersecano e si moltiplicano i fili della narrazione, tanto da creare una trama complessa e stratificata, arricchita, tra l’altro, dall’inserzione di lettere, pagine di diario e intere fiabe; una vicenda quasi ciclica in cui, di generazione in generazione, si ripropongono, con comprensibili varianti, alcuni temi e motivi ricorrenti, quali l’abbandono, la fuga, la ricerca dell’identità e del legame con le proprie radici. 
«Quello che sto per raccontarti è il grande segreto della nostra famiglia. Grandi o piccoli, tutte le famiglie ne hanno uno» (p. 30) 

L’intreccio non lineare, ma disposto su piani temporali diversi si rivela efficacissimo ai fini del coinvolgimento emotivo del lettore: grazie al montaggio alternato dei capitoli, infatti, egli giunge poco per volta alla scoperta dei tanti misteri che costellano il racconto sia nel presente sia soprattutto nel passato, ricostruendo gli eventi insieme a Cassandra, protagonista del segmento narrativo ambientato nella contemporaneità. 

Il Tamigi. […]. Le stesse acque da cui tanti anni prima una nave era partita portando via la piccola Nell. Strappandola alla vita che conosceva per consegnarla a un futuro incerto. Un futuro che ormai era passato, una vita che ormai era finita. Ma quel mistero continuava a chiedere di essere sciolto. Era stato importante per Nell. Adesso lo era per lei. Quella era l’eredità che la nonna le aveva lasciato. (p. 167) 

È proprio Cassandra a ricevere dalla nonna Nell il compito di fare luce sul grande segreto della sua vita: quando aveva solo quattro anni, nel 1913, infatti, Nell era stata depositata su una nave in partenza per l’Australia da un'enigmatica donna chiamata l’Autrice, per poi essere trovata casualmente e accolta in quella che solo al compimento del ventunesimo anno di età aveva scoperto non essere la sua vera famiglia. Questo evento, non a caso raccontato nel primo capitolo, si configura pertanto come il centro propulsore del racconto, quello rispetto al quale si vengono a determinare un ‘prima’ e un ‘dopo’. 

Nell (intorno alla metà degli anni Settanta), poi Cassandra (alla morte della nonna, nel 2005) si impegnano dunque nel tentativo di scoprire l’identità della fantomatica Autrice e il suo legame con la bimba abbandonata.  Il romanzo assume i tratti di una vera e propria inchiesta, che si spinge indietro nel tempo alla ricerca della verità, attraverso l’analisi di prove e reperti sopravvissuti a un passato lontano, ma non ancora del tutto scomparso (diari, articoli di giornali, foto, dipinti…). Molto forte è anche la contaminazione con il genere della fiaba, di cui si ritrovano diversi elementi tipici: il viaggio, la ricerca (la quête dei romanzi medievali), l’allontanamento da casa dell’eroe, il superamento di numerosi ostacoli alla conquista dell’oggetto del desiderio, nonché la tendenza (di Cassandra in particolare) a sottolineare la ‘magia’ di luoghi e circostanze. 

Le era bastato aprire la copertina per ritrovarsi immersa nel mondo magico e al tempo stesso inquietante di quelle illustrazioni. (p. 93) 

Il ‘trionfo’ del fiabesco si celebra nella parte più abbondante e decisiva del libro, quella che si svolge tra Londra e la Cornovaglia, dalla fine dell’Ottocento al 1913, e vede protagonista Eliza Makepeace, detta l’Autrice in quanto, appunto, scrittrice di fiabe. 

Tre dei suoi lavori, dicevamo, sono inseriti all’interno del romanzo e sono collegati alla trama da un nesso profondo, in quanto si configurano come allegorie di eventi da lei vissuti in prima persona. Tutta l’avventurosa vita di Eliza, poi, è strutturata come una fiaba: ambientata in castelli, giardini segreti, labirinti, soffitte abbandonate; animata da pirati, fantasmi, damigelle malate, aristocratici malvagi (c’è persino l’Uomo Cattivo); arricchita da oggetti simbolici (un melo, una spilla, una piccola valigia...). 

Mentre prendono vita i personaggi e le atmosfere di questa sezione, il romanzo acquisisce una consistenza sempre maggiore, complice la bontà della traduzione, che contribuisce a rendere la storia coinvolgente e scorrevole anche in quelle pagine che, per abbondanza di dettagli, tendono a rallentare il ritmo del racconto. La penna dell’autrice si sofferma spesso sulla descrizione della vegetazione lussureggiante e rigogliosa che circonda il cottage in cui Eliza vive parte della sua vita da adulta e che Nell e Cassandra riscoprono dopo decenni. Chiuso tra cancelli e muri eretti nel corso del tempo, questo giardino dimenticato ha i tratti dell’hortus conclusus e del locus amoenous di classicheggiante memoria. 

Si trovava in un giardino, un giardino recintato da un muro. Incolto, ma con alcuni angoli ancora bellissimi. Un tempo doveva essere un luogo molto amato, e molto curato. I resti di due sentierini si intrecciavano come i lacci delle scarpette dei ballerini. Lungo i lati c’erano filari di alberi da frutto, mentre in un angolo un glicine aveva formato una specie di pergolato. […] «Pare un posto magico, vero?» (p. 333) 

Come tutte le fiabe che si rispettino, anche quella di Eliza presenta una morale, un messaggio di forza e di indipendenza tutte femminili, che, attraversando il tempo e lo spazio, la trasforma in una ‘fata’ molto moderna

«Non devi aspettare che qualcuno venga a salvarti”, le diceva ancora la madre […]. Una ragazza che aspetta di essere salvata non imparerà mai a salvarsi da sola. […] “Trova il coraggio, impara a contare solo su te stessa». (p. 138)

Elide Stagnetti