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"Diritto al malessere" di Sadagari: cosa siamo disposti a sacrificare in nome della normalità?

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Diritto al malessere
di Sadagari
add editore, aprile 2025

 19 (cartaceo)


Diritto al malessere è la graphic novel d'esordio di Sadagari (Sasha De Maria), grafico, illustratore, attivista, nato a Cuneo nel 2001. L'opera si addentra nel significato della ricerca del proprio posto nel mondo. Ci racconta del prendere le misure con le dimensioni sociali, dal punto di vista di un ragazzo - l'autore - che sente di non stare bene, avverte costantemente un senso di diversità, estraniamento, isolamento, rifiuto della aspettative sociali, tutti elementi che chiama malessere, e che rivendica.

Identità, alterità, società, divergenza

La "normalità", secondo Emile Durkheim, sociologo francese, è la «conformità alle norme prevalenti di una società, o delle società nella medesima fase di sviluppo, nel medesimo periodo storico». Con prevalente si intende ciò che risulta più comune, il punto che in statistica viene definito media, moda, mediana. Convergere verso quel valore statistico rappresenta realmente il modo per stare bene? Si tratta di senso di appartenenza e di accettazione? E l'accettazione da parte di chi? Sadagari si interroga, nel corso del testo, sul suo congenito senso di non conformità, iniziando da quando smette arbitrariamente di andare a scuola pur avendo rendimento e potenzialità molto alti, per sottrarsi - in qualche modo - al concetto di performance. La performance che lui descrive con un'immagine/ricordo forte sul piano evocativo è quella del bambino ad alto funzionamento, che non piange quando viene investito dalla macchina su cui giocavano le due cugine, e forse non piange per non dare fastidio a chi riprendeva dalla telecamera che testimonia questo avvenimento d'infanzia. Lo stesso bambino che nonostante abbia imparato i presupposti per diventare un futuro  adulto che reprime il disagio (perché il disagio si discosta dalla norma, rappresenta una devianza) decide da ragazzo di guardare in faccia, manifestare ed esercitare il suo malessere. Ripercorre quindi le fasi legate all'individuazione dell'identità, quando non si vuole o non si può scegliere un'identità combaciante con gli schemi sociali: ricerca, paura, affermazione, orgoglio. «Sì, la diagnosi è confermata, ma non preoccuparti. Tu sei ad alto funzionamento. Non sei grave come gli altri, avresti potuto tranquillamente andare avanti tutta la vita senza saperlo e non ti avrebbe fatto alcuna differenza», queste le parole del medico quando comunica a Sadagari l'autismo; in una forma lieve, tanto lieve che «fu uno dei giorni più belli e frustranti della mia vita», dice lui, perché non ha avuto nemmeno la consolazione del senso di appartenenza a quel nuovo possibile cluster. 



La net art (se l'ho capita bene)

Sadagari in Diritto al malessere si esprime attraverso digital e net art. Ogni pagina è un universo specifico, un complesso meccanismo di destabilizzazione visiva, ribaltamento dell'ordine prestabilito tra parola e immagine. Io non avevo mai guardato così attentamente la net art, forse di sfuggita, con poca comprensione. Senza alcuna impalcatura teorica, quello a cui mi rimanda è una specie di avanguardia, un futurismo meno lezioso. E quindi, data la pregnanza di questa forma visiva nel testo, mi sono dedicata ad approfondire. Quello che ho capito (bene?) è il concetto del riappropriarsi di un cyber spazio e di uno spazio semiotico appartenente solo alla macchina, il PC, e umanizzarlo, riempiendolo di significati altri, quelli che appartengono alla semantica del provare emozioni. Spero di non aver pensato, scritto e detto qualcosa di lontano dalla realtà, ma in ogni caso è quello che mi evoca. Sadagari, per esempio usa in toto il bianco e nero e gli elementi dei codici di programmazione e dei codici di errore, per illustrare volti umani nelle loro disparate emozioni.

Cosa siamo disposti a sacrificare in nome della normalità?

«Come sembrare delle persone neuro tipiche: 1) Mantieni il contatto visivo 2) Parla del nulla (a loro piace) 3) Forza le espressioni facciali»: si tratta di una delle lezioni di un corso finalizzato all'inclusione che Sadagari ha seguito (e poi abbandonato). Grazie a un articolato processo di dissociazione dal corpo che impariamo fin da piccoli, siamo capaci di fingere stupore, allegria, interesse, nell'interlocuzione con l'altro. Il rischio è di portare la recita fino al punto in cui non siamo più in grado nemmeno noi stessi di distinguerle quelle emozioni, ma quelle emozioni siamo noi, e cosa accade se perdiamo l'identità, o peggio, se non la individuiamo mai? Ecco, il testo in generale parla di unicità, personalità, autenticità, che possono, se non riconosciute e agite, essere sinonimo di paure, solitudini, inquietudini, malessere. Malessere per non essere in grado di aderire alla normalità. Ma quanto veramente conta il concetto di normalità nelle relazioni? Riflettevo, per esempio sull'amore. In fondo, qualcuno si è mai avvicinato, legato, innamorato di un'altra persona perché questa è normale? Avete mai sentito dire a qualcuno "mi ha colpito, è proprio neuro tipico"? Non è invece forse il particolare autentico dell'altro, quella porzione di un qualcosa che non ha a che fare né con il male né con il bene, né con il giusto né con lo sbagliato né con il bello né con il brutto, a poterci salvarci da un asettico appiattimento sulla norma?

Diritto al malessere è un viaggio interiore sincero, una graphic novel in cui la forma è sostanza che concatena significati, lo immagino anche come uno spunto interessante per altri ragazzi, più didattico di una lunga spiegazione fatta da degli adulti su cosa sia l'inclusione. Si tratta di un modo per umanizzare un sentire identitario e collettivo sempre più articolato, del quale socialmente si possiede il lessico (neuro tipico, neuro divergente, non conforme, autodeterminazione, consapevolezza), ma forse non si possiedono ancora gli strumenti per agire. In libertà.


Rossella Lacedra