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La risalita dall'abisso delle proprie radici: "Un giorno ti dirò tutto" di Laura Buffoni

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Un giorno ti dirò tutto
di Laura Buffoni
Harper Collins, 2024

pp. 220 
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Raccontare di sé è sempre difficile; specialmente se lo si fa confidandosi con la propria figlia; ancora di più se si hanno esperienze brucianti nel curriculum come quelle accadute all'io-narrante, Laura. Poco conta che adesso Laura, da adulta, sia una donna realizzata, che lavora nel cinema, con una famiglia che ama e con tutta una serie di soddisfazioni ottenute. C'è sempre in lei la stessa bambina che ha vissuto un'infanzia difficile al Laurentino 38, in un quartiere popolare di Roma Nord dove i suoi genitori hanno traslocato: sapevano già di essere in una zona malfamata, dove i crimini erano all'ordine del giorno, ma pensavano che questo avrebbe rafforzato i loro figli. 

E invece qualcosa succede. Non subito, certo: all'inizio Laura ha sei anni, punta a stare nelle quinte e a farsi amare con il suo non mettersi mai al centro, perché là «si può diventare un bersaglio» (p. 243). Poi si mimetizza come può, dall'abbigliamento alla gestualità, eppure è difficile passare inosservati quando si prendono bei voti a scuola e, in ogni caso, si coltiva qualche timida ambizione. E quando l'amico più defilato che ha non le basta più, anche Laura si lascia irretire dal fascino sgraziato per non dire disperato dei "pontaroli" e inizia anche lei a scendere in strada, masticare rumorosamente Big Babol e a scimmiottare parte del gruppo. E poi al liceo dell'EUR stringe un legame d'amicizia fortissimo con quella che viene soprannominata "Favela", un'altra ragazzina che viene dal Laurentino («Ce ne andiamo in giro nel nostro liceo conciate in maniera improbabile, attacchiamo sticker sul diario Smemoranda e mangiamo tutto il giorno Togo e sacchetti di patatine senza mettere su un chilo», p. 29). 

Eppure il cuore del romanzo-confessione di Laura Buffoni non è solo questo tuffo negli anni Novanta, segnato da tracce di canzoni, libri, mode tanto passeggere quanto iconiche di quel decennio. C'è altro: nel 1993, in un giorno come tanti altri, Laura viene accerchiata dal branco, le biascicano un "Parla come magni!" che dà avvio a calci, pugni e tante angherie che la ragazzina non ricorda più e che non è mai riuscita a ricostruire completamente. 

Questo episodio drammatico, come dichiara l'autrice, 

«segna definitivamente la fine della mia infanzia. 
Dove, per riassumere, avevo imparato: 
Il mondo fa schifo ed è ingiusto. 
Qualunque cosa farai per piacere, non ce la farai. 
Vorrai essere amata, e non ci riuscirai. 
Sarai sempre una fallita. Una diversa. 
La catastrofe ti aspetta» (p. 32)

Come si fa a risollevarsi, a costruire una qualche forma d'autostima dopo un episodio così? Per di più, con la paura che gli assalitori possano ripresentarsi un giorno qualsiasi? Tocca chiudersi in casa e uscire, solo accompagnata, per andare a scuola. E non stupisce che questi ricordi brucianti riaffiorino con tutta la loro forza destabilizzante proprio durante il periodo del lockdown. È in effetti allora che l'autrice, ormai adulta, medita sulla possibilità di mettere nero su bianco questo racconto che procede per episodi, racchiusi in capitoli brevi, di qualche pagina, dai titoli pregnanti. Passato e presente si mescolano, mostrando eredità e, viceversa, ripercorrendo le cause prime di certi episodi.

Leggendo Un giorno ti dirò tutto, stupisce come non trovi alcuna forma di vittimismo, né l'autrice indugi sui singoli dettagli crudi di questa storia. Al contrario, ci sono tanta vita, tanta giovinezza, tanta voglia di non perdersi d'animo, nonostante tutto; e lo stile sciolto, quasi si trattasse di una conversazione con amici, fa sì che si eviti di far sentire i lettori dei voyeur involontari. Certo, questo romanzo d'esordio resta comunque una storia estremamente personale e per certi versi privata, per cui non ci si finisce per caso, ma bisogna volersi calare nella realtà di Laura. Solo empatizzando con la protagonista si può scendere negli abissi del Laurentino 38 e capire più da vicino cosa significa avere delle radici così, radici che non si sono scelte (la piccola Laura si è trasferita lì a sei anni) e che ancora fanno così male. Eppure sono radici che hanno concorso alla formazione di una personalità, e dunque non le si può rinnegare. Raccontarle con questa prosa fresca e con colori così vividi rende interessante la penna di Laura Buffoni, proposta per il Premio Strega 2024 da Serena Dandini. 

GMGhioni