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Un’ingenua e pericolosa spensieratezza: “La grande fortuna” di Olivia Manning

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La grande fortuna
di Olivia Manning
Fazi, marzo 2024

Introduzione di Rachel Cusk
Traduzione di Velia Februari

pp. 399
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Quando i coniugi Pringle arrivano in Romania agli inizi degli anni Trenta, sembra che niente li potrà turbare, ma si scontreranno con una realtà ben diversa. Harriet e Guy sono una giovane coppia inglese che, a causa dei motivi di lavoro di Guy, si trasferiscono a Budapest. Dal loro arrivo, inizia il romanzo di Olivia Manning, La grande fortuna ( primo volume della trilogia dei Balcani), uscito negli anni Sessanta e oggi pubblicato da Fazi editore.

A un primo approccio, i coniugi Pringle sembrano una novella coppia come tante, ma ben presto capiremo che quella felicità tanto ostentata è solo apparenza e che nella realtà si tratta di un copione ben recitato. Harriet, infatti, si dimostra poco affine alla società rumena, tanto da non riuscire mai ad ambientarsi fino in fondo e non intravede nel marito quel complice che si aspettava. Il loro matrimonio è stato celebrato in fretta e furia e i due quindi si sono sposati senza essersi mai davvero conosciuti. Harriet dal primo momento non riesce a ricrearsi una nuova identità. E Guy? Che ruolo ha in questo? Ecco, al contrario della moglie, fin dai primi giorni il giovane insegnante di lingua inglese sembra non avere alcun problema; si muove con facilità all’interno della società rumena, dimostrandosi fin troppo predisposto a «stare al centro dell’attenzione» (p. 113). Siamo davanti a due sposi che sembrano non avere niente in comune: da una parte Harriet, malinconica e nostalgica verso l’Inghilterra; e dall’altra Guy, all’apparenza socievole ma ingenuo ed egocentrico nei fatti.
Avevano deciso di sposarsi come se non potesse esserci altro esito possibile a quei primi incontri. Eppure... se lo avesse conosciuto meglio? Se lo avesse conosciuto per un anno e in quel periodo di tempo avesse osservato come si relazionava con tutti gli altri? Avrebbe esitato, pensando che la rete dei suoi affetti fosse troppo estesa per sostenere il peso del matrimonio. (p. 71)
E se Harriet fatica a trovare il suo posto e la sua dimensione, Guy si trova subito a suo agio con i nuovi concittadini, tanto da essere sempre circondato da una corte di persone che ben rappresentano la società rumena di quel periodo. È un microcosmo quello degli amici dell’insegnante che incarna le contraddizioni di Budapest: una ricchezza maestosa (e alcune volte quasi volgare) cui si contrappongono una miseria e una povertà che è tutta nei vicoli della città. Ogni amico e collega di Guy rappresenta una sfumatura di quest’ambiguità: da Yakimov, principe russo caduto in disgrazia che vive di accattonaggio ed espedienti diversi, a principi e principesse che invece fanno del loro titolo nobiliare un motivo di superiorità. E così intorno alla giovane coppia si muove un manipolo di persone, o meglio di personaggi, perché ognuno di loro recita un ruolo sociale («era tutto artificiale?», p. 171). Yakimov, che è sicuramente quello più pittoresco del gruppo (d’altronde l’autrice gli dedica interi capitoli), interpreta il ruolo della vittima, un pover’uomo sfortunato che subisce gli scherzi e le truffe di tutti. La realtà, come si accorgerà bene Harriet (più scaltra del marito), è ben diversa: il principe decaduto è un uomo che vive oltre le proprie possibilità, che si vanta di ricchezze che non ha più e, soprattutto, che non riesce mai a ripagare i propri debiti.
Yakimov, con il lungo cappotto a ruota, il cappello di astrakan sulla testa, la corporatura filiforme quasi sollevata dal vento, pareva uno spettro della prima guerra mondiale: il membro di qualche famiglia nobile caduta in malora che aveva messo l’uniforme solo per partecipare a una parata. (p. 158)
Siamo nel 1935, pochissimi anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, eppure, né i coniugi Pringle né nessun altro sembrano accorgersi dei tempi che corrono; l’avanzata nazista e il ritiro dell’esercito inglese sembrano lontanissimi, eppure la guerra riaffiora sempre in ogni conversazione. Harriet, Guy e tutti i loro amici vivono in un tempo sospeso, non rendendosi conto fino in fondo di come l’Europa stia cadendo verso il baratro. Si rinchiudono in sale da tè, in ristoranti facoltosi e nell’organizzazione di cene e balli; sono ovattati in una vita che li sta scivolando via, ancorati a un mondo che sta crollando per sempre.

La grande fortuna di Olivia Manning è la riscoperta di un’autrice che indagò il tema del viaggio, del matrimonio e quello della guerra e lo fece in un modo inaspettato. Non ci sono grandi e clamorosi colpi di scena nella lettura del romanzo, ma basta una parola o gesto a dimostrare quanto quello che vivono i Pringles, sia pura finzione. Il primo libro della trilogia dei Balcani è una storia complessa che rompe con i “consueti” racconti di guerra e ci mostra come in quanti non si siano resi conto di quello che stava accadendo. È una commedia tragica, nella quale i personaggi si muovono in cerca di qualcosa che non esiste più («La vita era lì era sempre stata incerta e le persone come lepri sfuggite a una trappola, avevano ritrovato in fretta la spensieratezza», p. 204).

In La Grande fortuna, sono descritti i rapporti umani (e non solo di amore, ma anche di amicizia, di lavoro e di mero opportunismo) ma c’è anche la società del Primo Novecento incerta sul futuro e quindi tutta rivolta al passato.

Giada Marzocchi