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E se la salma di Lenin fosse stata rapita per fondare un migliore stato socialista, una Repubblica di Leninesia? Francesco Pala ci racconta come sarebbe potuta andare nell'"Ultimo viaggio di Lenin""

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L’ultimo viaggio di Lenin
di Francesco Pala
Neri Pozza, gennaio 2024

pp. 288
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Cento anni fa, il 21 gennaio 1924, moriva il simbolo del comunismo russo e della Rivoluzione d’Ottobre. A ricordare l’anniversario, questo gennaio è uscito il romanzo vincitore dell’ultima edizione del Premio Neri Pozza, L’ultimo viaggio di Lenin, edito dalla casa editrice vicentina e scritto da Francesco Pala, professore di storia e filosofia a Nuoro, appassionato di letteratura russa e studioso del pensiero postmoderno (con Bibliotheka ha già pubblicato DDR-Dominio della resa nel 2018).
Il romanzo sembra nascere da una suggestione, e la narrazione che ne fa l’autore è a tutti gli effetti suggestiva, un testo che “si legge come un romanzo d’avventura”, recita la quarta di copertina firmata da Andrea Tarabbia. È un romanzo immaginifico, in cui Pala mescola la storia reale della politica russa dagli anni Venti agli anni Sessanta con una vicenda e dei personaggi fittizi, sfornando una stuzzicante e divertente ipotesi storica che solletica l’inventiva del lettore, inducendolo a meditare su un’ucronia letteraria, ovvero: cosa sarebbe successo se il comunismo leninista avesse avuto un’altra chance? L’utopia sarebbe stata realizzata o avrebbe seguito in ogni caso la deriva dell’Urss?
L’opera di Pala non lascia al lettore grandi speranze nel gran finale, che non sveleremo perché tutto il libro è avvolto da un mistero che si dischiude poco per volta, durante una lenta raccolta di molliche di pane che l’autore ci lascia via via narrando. Ma la sollecitazione è provocante e induce a riflettere. Pala ne dà una sua versione creativa e ironica, per molti aspetti anche drammatica e dal destino inesorabile.

Aleksej Dorotov è uno dei personaggi protagonisti e dà il via al romanzo: un sergente taciturno e ieratico, lettore di Spinoza (di cui l’autore è tra l’altro uno studioso), che fedelmente fa la guardia alla salma imbalsamata di Lenin in un luogo nascosto e ben protetto. Al pericolo di avvicinamento di una corazzata tedesca (siamo nel ’42), Dorotov insieme al martoriato soldato semplice Antonov e alla contadina Balakova intraprende il “Grande viaggio” per trasportare la salma di Lenin attraverso il gelido nord siberiano e, ufficialmente, metterla in salvo dai nazisti. L’obiettivo ufficioso è invece rapire il leader rivoluzionario e farne il fulcro del nuovo progetto socialista, ossia realizzare, stavolta efficacemente, l’utopico stato comunista, stavolta fondato da un denso misticismo scientifico: nasce la Repubblica popolare di Leninesia.

L’incedere di alcuni capitoli che conduce a questo nucleo fondativo è forse un po’ indolente e rende la prima parte del libro (che si compone di tre Parti) meno convincente. L’inabissarsi nella descrizione biografica dei personaggi, soprattutto di alcune figure minori, appare talvolta eccessiva e poco pertinente alla trama, rischiando di sottrarre l’attenzione del lettore dal nucleo principale del racconto. Tuttavia, tali capitoli hanno il pregio di sospendere lo svolgimento degli eventi in primo piano, accentuando il mistero che avvolge l’intero libro, e di introdurre i personaggi gradatamente, di conoscere uno per uno la storia di un manipolo di asceti socialisti, lasciando che il lettore si sforzi per comprendere le motivazioni che li hanno potuti spingere a tentare la fondazione di un nuovo e migliore stato socialista; se vogliamo, le motivazioni che li hanno spinti a crederci una seconda volta, a cimentarsi nella neo-costruzione di un sistema che ha già deluso e inorridito, cambiando però le carte in mano.

Tutto il progetto della Leninesia e l’azione dei personaggi ruotano attorno a un testo esoterico, pubblicato in sole due copie, di cui si fa mistero dell’autore e del contenuto, ma che funge da elemento ricorrente e collante di tutto il libro. L’Itinerarium mentis in Lenin assume quasi le forme di un testo biblico, per il modo in cui s’insinua nelle vite degli uomini e ne cambia radicalmente il corso. Ma non è un testo religioso, piuttosto una guida ideologica che contiene gli insegnamenti spirituali e scientifici che dovranno condurre all’edificazione della Leninesia, primo fra tutti il principale scopo per cui la Leninesia è nata: la realizzazione del comunismo dell’eternità. Non soltanto, quindi, il miglioramento personale, la crescita intellettuale, la pace e l’armonia pubblica sono i pilastri fondativi del nuovo stato “perfetto”. Ciò che più si discosta dalla già fallita società comunista è infatti rappresentato dall’inarrivabile, dall’obiettivo di rendere l’individuo immortale, compiendo la rinascita dei defunti e, soprattutto, la resurrezione di Lenin.
L’ascetismo è un fenomeno che di sicuro ispira la nostra visione politica [afferma Guanovič, emissario dell’autore dell’Itinerarium]. Non mi riferisco di certo a un ascetismo di tipo religioso, bensì laico, inteso, per usare una formula, come disponibilità a costruire sé stessi attraverso un processo di autoperfezionamento frutto di esercizi pratici e teorici, un processo di massa che unisca le aspirazioni all’uguaglianza alle autorealizzazioni individuali. […] Non poteva certo sapere dell’esistenza di un blocco di teorie esoteriche celato dietro le teorie essoteriche. Non poteva certo sapere che tali teorie esoteriche costituivano il respiro nascosto, la sistole e la diastole dello Stato popolare della Leninesia, l’ambizione segreta di tutto quel nuovo sistema. (pp. 129-130)
Ci appare in effetti come la concretizzazione di un mondo ideale, ma qualcosa (verrebbe da aggiungere “come sempre”) va storto. L’ultimo viaggio di Lenin conduce il lettore alla consapevolezza che non riusciremmo a cambiare la storia neppure se una seconda alternativa ci fosse data, ma nella sua tragica pesatura di destini illusori comunque ci diverte e, soprattutto per chi è appassionato e conoscitore della letteratura russa, si fa leggere con l’affetto che si prova verso un territorio ritrovato.
 
Federica Cracchiolo