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Un capolavoro degli anni '20 per la prima volta pubblicato in Italia: Ago Edizioni ci regala Georges Duhamel

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Confessione di mezzanotte
di Georges Duhamel
Ago, ottobre 2023

Traduzione di Caterina Miracle Bragantini

pp. 144
€ 16 (cartaceo)


Quando nasce una nuova casa editrice per me è sempre una festa. Una festa ancora più grande quando i libri pubblicati sono perle recuperate dalla letteratura del secolo scorso. Quanti testi del '900 non sono arrivati a noi, in lingua italiana? Ebbene, Ago Edizioni, neonata proprio lo scorso settembre, ha fatto di questa domanda la propria missione: pubblicare libri di narrativa straniera del '900.
Libri mai tradotti, fuori catalogo, che (come dice la stessa casa editrice) non hanno affatto esaurito la loro carica emozionale e l'importanza che possono avere sia sul lettore singolo che sulla coscienza collettiva.
Il primo titolo di Ago che ho avuto la fortuna di leggere è di Georges Duhamel e si intitola Confessione di mezzanotte. Duhamel nasce a Parigi nel 1884 e alla fine della Prima guerra mondiale, dopo aver prestato servizio come comandante delle ambulanze chirurgiche, decide di dedicarsi alla scrittura. Confession de minuit, scritto nel 1920, è in realtà il primo volume di una serie di cinque, intitolata Vie et aventures de Salavin.
Salavin è il protagonista di questo racconto, un uomo trentenne che vive nella Parigi degli anni '20, durante il periodo brillante della Belle Époque. Di scintillante e frivolo però questo testo non ha nulla: Louis Salavin, nome che si imprime con grande forza nella mente fin da subito, è un uomo che, per una disgraziata scelta poco lucida, perde il lavoro. Questo evento lo porterà a vagare per le strade di una città vivida e talmente ben descritta da poterla quasi toccare come un vero e proprio flâneur, alternando momenti di estremo entusiasmo a baratri di depressione incurabile.
Questo corridoio, per me, è un luogo struggente, uno di quei posti che fanno parte della nostra anima. Ogni mia gioia, ogni mia angoscia, ogni mio furore sono dovuti passare attraverso questo laminatoio. Hanno lasciato sulle pareti tracce indelebili, macchie diverse da quelle che imprime l'umidità, odori ostinati che sono il solo a percepire, mille ricordi rugosi che rallentano sempre il mio passo e mi abbeverano di malinconia. (p.26)
Louis è diviso tra la gioia dell'ozio, della consapevolezza di essere una persona finalmente libera da un lavoro che odiava, e l'angoscia nei confronti di un futuro incerto. Se Salavin fosse nato vent'anni fa non avremmo avuto difficoltà a ritenerlo uno di noi, un millennial alle prese con la precarietà, la depressione, l'ansia, con la solitudine. Meraviglia tantissimo la contemporaneità di un testo scritto praticamente cent'anni fa. Louis è uno di noi, una biglia impazzita che sbatte tra vicoli di una metropoli senza bussola, senza criterio.
Ne rimasi assai stupito, io che non capisco nulla della vera felicità, io che non ho che sei, quattro ore di felicità all'anno. Pensavo con una passione segreta: "Che importanza ha questa goccia d'acqua? Stasera l'intera Senna potrebbe scorrere nella mia stanza e la mia felicità non ne risentirebbe". Contemplavo il gruppo formato dai miei amici. Solo il bambino mi sembrava vivere la propria gioia, gli altri due la assopivano, per così dire. Un po' li disprezzavo, un po' li compativo. Riflettevo: "Hanno tutto quello che serve per essere felici e sembrano mummie; la loro contentezza è imbalsamata. Io sono un miserabile, un cattivo figlio, un impiegato licenziato e oggi mi sento pieno fino agli occhi di una felicità autentica, violenta, formidabile, che guarda la loro come l'Himalaya deve guardare un rospo. È ingiusto, ma è straordinario, straordinario! Su! Su! Bisogna soffiare su questo lago senza increspature". (p. 49)
Salavin vive con sua madre. All'epoca, negli anni '20, questa evenienza non era comune come oggi. Era strano per un uomo adulto, ormai trentenne, non essere ancora sposato né fidanzato. E per di più, senza impiego. Per quanto Louis si sforzi (ma si sforza poi davvero o mente a se stesso?) di cercarne un altro, non c'è niente da fare. Sua madre, una santa donna, osserva e accudisce. Quanto ci risulta familiare la sua condizione? Praticamente impossibile non empatizzare con lui, con il suo continuo rimuginare (di fatto, il libro non è che un lungo flusso di coscienza), con i suoi dubbi, la sua umanità così genuina, tenera. Viene quasi voglia di abbracciarlo, di dirgli che capiamo come si sente perché anche noi ci sentiamo come lui.
A volte lo vedo così giù, così abbattuto che mi umilio davanti a lui perché non rimanga solo nel suo sconforto. Quando mi sono ben accusato, ben sminuito, Ledieu ne approfitta subito per ergersi, salirmi sulle spalle e calpestarmi. Ne esco offeso, indolenzito, sconvolto. Se fossi migliore di quel che sono, sarei felice del risultato, soddisfatto di questa trasfusione del mio sangue. Ma non valgo poi granché e mi domando se i miei slanci d'umiltà non siano, anch'essi, inspirati da una specie d'orgoglio. (p. 126)
Salavin è uno di quei protagonisti che restano impressi a fuoco nel lettore: ci parla a cuore aperto di amicizia, di famiglia, di ciò che ha dentro, come se noi che stiamo ascoltando fossimo suoi fratelli. Aiutato da una scrittura straordinaria, chiara, profonda, come solo la scrittura del '900 sa essere, il protagonista cattura senza il bisogno di azioni roboanti o eclatanti. Lui conquista perché è un uomo mediocre, vacuo, tormentato, un uomo come gli altri.
Credo che l'intenzione di Ago sia stata pienamente raggiunta con questo testo: inserito da Le Figaro nella lista dei migliori romanzi della prima metà del '900, insieme a Proust, Gide e Sartre, rientra di diritto tra le mie migliori letture dell'anno. Una volta finito il romanzo, Louis continua a vivermi nella mente, come un amico che ho salutato per un lungo viaggio.
Considerato che Confessione di mezzanotte è solo il primo volume dei cinque, posso sperare di vedere pubblicati i restanti quattro? Chissà, ci spero fortemente.
Un plauso alla eccelsa qualità della traduzione e anche della stampa. Il libro stesso è un gioiello.

Deborah D'Addetta