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La mente geniale e il dono luciferino dell’astrazione che hanno portato alla bomba atomica e gettato le basi all’universo digitale: "Maniac" di Benjamín Labatut

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 Maniac
di Benjamín Labatut
Adelphi, 29 settembre 2023

Traduzione di Norman Gobetti

pp. 352
€ 20,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

Lui disse che stava lavorando a una cosa molto importante. […] io osservai che era meglio rinunciare a un’idea che rinunciare alla vita, ma dal modo in cui mi guardò capii che per lui era vero il contrario. Non sapevo cosa stava succedendo nella fisica dei quanti? È tutta questione di numeri, mi disse, quelle cose non si comportano come particelle, non sono come fasci di materia o di energia…si comportano come numeri! […] Secondo lui non sarebbero state la chimica, l’industria o la politica a plasmare il futuro del mondo. Sarebbe stata la matematica. (p. 98-99)

Entusiasmo per la scienza, menti visionarie e logiche votate al futuro, determinazione oltre ogni pensabile limite fino a toccare i vertici della pazzia sono l’ingrediente principale di questo romanzo, che recentemente a Capri ha vinto il Premio Malaparte e c’è da prevedere che questo non sarà l’unico riconoscimento, visti gli innegabili meriti dell’opera. Benjamín Labatut è uno scrittore di origine olandese, ma che vive da anni ormai in Cile, vincitore del Premio Galileo 2022 col libro Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi, 2021). Maniac, come le altre opere dello scrittore, testimonia il suo profondo e autentico interesse per il mondo scientifico e presenta una struttura elegante ma semplice: la storia parte dalla fine della fisica classica sconfitta dalla nuova scienza dei quanti in occasione del  «fatidico Congresso Solvay del 1927» (p. 22), passa attraverso la follia lucida e razionale della bomba atomica e dell’”equilibrio del terrore” della Guerra fredda, per approdare ad AlphaZero, l’algoritmo dell’Intelligenza Artificiale in grado di sconfiggere le migliori menti umane, quelle degli imbattibili maestri di giochi strategici da tavolo come gli scacchi, il Go e lo Shōgi. 

Tra i tanti nomi di emeriti fisici e matematici che costellano il romanzo, uno solo predomina su tutti quanti ed è quello del Wunderkind ungherese János von Neumann, che poi si rivelerà la mente più geniale del Novecento. Di lui dirà il fisico e matematico suo connazionale Eugene Wigner:

A questo mondo ci sono due tipi di persone: Jancsi von Neumann e il resto di noi. Era nella classe un anno indietro alla mia al Fasori Gimnázium, un liceo luterano di Budapest che all’epoca era forse la scuola superiore più impegnativa al mondo, parte di un eccellente sistema educativo nazionale rivolto all’élite che ha prodotto molti scienziati, musicisti, artisti e matematici di altissimo calibro, e un solo vero genio. […] Quel ragazzo luciferino ci colpì come una cometa, quasi fosse il presagio di qualcosa di grandioso e terribile […] (p. 61)

Bambino prodigio, che si diceva avesse imparato a leggere a soli due anni e che a sei era in grado di calcolare a mente divisioni a otto cifre! Un vero alieno! E come gli alieni emanava qualcosa di inquietante, di sfuggente dovuto non all’aspetto fisico, ma a quell’aura di superiorità che da lui scaturiva e che «non riusciva a celare nemmeno con le sue battute volgari e il suo repertorio di sciocche barzellette yiddish» (p. 65). Quel talento superiore a ogni altro, unito a una logica cinica e determinata, faceva presagire già in tante persone che lo conoscevano qualcosa di pericoloso, che metteva i brividiPaul Ehrenfest, grande matematico, dovette ammettere di aver «completamente perso il contatto con la fisica teorica. Non riesco più a leggere niente e mi sento incapace di cogliere anche solo un briciolo di senso nella marea di libri e articoli che escono» (p. 23) sulla nuova strada imboccata dalla fisica, che getta il mondo nel caos dell’irrazionale, spezzandone le vecchie e, fino ad allora, incrollabili fondamenta centrate sull’intuizione concreta. È l’era della rivoluzione dei quanti e attorno a essa girano i più importanti nomi della scienza moderna, tra cui quello di Albert Einstein (che però aborriva l’indeterminatezza della nuova fisica) e di Julius Robert Oppenheimer.

Il romanzo ricostruisce dall’inizio la storia di Neumann, attraverso le voci di chi l’aveva conosciuto, amato, odiato, invidiato (soprattutto invidiato) fino alla sua morte: Theodore von Kárman, Gábor Szegő, Oskar Morgesten, la seconda moglie Klára Dán, la figlia Marina e tanti altri appartenenti a personaggi reali, menti intuitive che hanno contribuito al progresso tecnologico e scientifico nel secolo breve. La storia è intessuta di racconti di confessioni, di ricordi, di intuizioni, visioni folli che guardavano già verso un futuro remoto, ancora troppo lontano per il mondo scientifico di allora. In questo come negli altri libri, il focus evidenziato da Labatut è in qualche modo legato al dono luciferino dell’astrazione tipico di alcune rare menti umane, in grado di vedere dentro le relazioni delle cose, immaginando mondi possibili, avventurandosi fin dentro i confini della pazzia vera e propria. La mente umana può diventare un luogo demoniaco che, di fronte all’irresistibile occasione di scoprire e sperimentare esperienze nuove, se non ha freni etici e sociali, porta a vere e proprie catastrofi. È ciò che è successo con la bomba atomica costruita in una città sorta ad hoc dal nulla nel deserto del New Mexico, a Los Alamos, seguendo un rigido protocollo di sicurezza top secret. Era stato proprio Oppenheimer a trovare quel posto dimenticato da Dio. A raccontarci la storia è la voce del fisico americano Richard Feynman che ricorda quando venne chiamato a intervenire János Von Neumann - che nel frattempo, per evitare le persecuzioni ebraiche aveva cambiato il proprio nome in Johnny - , per dare una mano nella costruzione di una bomba che usava il plutonio. In quella città-laboratorio vi erano calcolatori umani, tra cui soprattutto donne, che eseguivano vari passaggi di elaborati calcoli seguendo una specie di catena di montaggio. Alcuni calcoli erano decisamente troppo elaborati e per questo servì l’aiuto del genio della logica:

L’idrodinamica era troppo complessa perché un singolo individuo potesse venirne a capo. Era una matematica sovrumana […]. Ma si vedeva che era proprio quello - il fatto che fosse un’impresa disperata, con i calcoli di una complessità spaventosa - a sedurre von Neumann. C’era un problema irrisolvibile, e lui sbavava! Non poteva evitarlo. Era una roba oscena. (p. 131)

Oltre a eseguire mostruosi calcoli, gli scienziati segregati a Los Alamos, lontani dalle loro famiglie, si divertivano a giocare scacchi e al Go per tenere allenate le loro menti, quando non erano operative nella costruzione di quell’arma letale. Nel racconto che Labatut mette in bocca a Feynman si avverte il forte contrasto tra il piacevole ricordo di quei momenti passati in compagnia di menti intelligenti come la sua e il rimorso e il terrore per la catastrofe umanitaria che erano state in grado di partorire in quell’agosto del 1945. E, nonostante questo disastro, la mente logica, cinica e pessimista di von Neumann sosteneva che «per avere una pace duratura fosse necessario scatenare un inferno nucleare sui sovietici prima che anche loro si munissero di bombe atomiche» (p. 152), secondo le strategie dei giochi da tavolo, un attacco nucleare preventivo era la soluzione più logica. È stato il ragionamento alla base dell’“equilibrio del terrore” della Guerra fredda.

L’attenzione per le bombe atomiche passò però subito in secondo piano: la vocazione di János era la matematica e nel giro di poco tempo si dedicò ai calcolatori. Il titolo del libro, Maniac, ha in sé la felice evocazione sia di quella demoniaca follia matematica sia il nome che venne dato al primo grande calcolatore della storia, il Mathematical Analyzer Numerical Integrator And Computer, «ovvero, MANIAC» (p. 168), nel quale quell'irripetibile genio introdusse un grande calcolo termonucleare. A questa grande macchina ottenne il permesso di lavorare un’affascinante anche sfortunata stella della scienza: Nils Aall Barricelli, «mezzo norvegese e mezzo italiano. Totalmente folle». (p. 187) A quanto pare, Neumann e il giovane scienziato litigarono dopo pochi mesi e non si parlarono più, perché - lo dichiara anche Klára, moglie del primo - János gli aveva “rubato” le stringhe di numeri simbionti, dei simbio-organismi, che avrebbero poi ricreato una sorta di nuova Genesi della vita, ma nel mondo digitale. Barricelli era un visionario, un folle? Per l’epoca assolutamente sì, ma von Neumann, che era visionario quanto lui, aveva capito la straordinaria portata dei codici scoperti dal giovane collega e mostrato dopo qualche anno il modo in cui funzionano il DNA e RNA, molto prima che venisse vista la famosa doppia elica. Sydney Brenner farà infatti parte del gruppo di scienziati che scoprirà il compito dell’RNA messaggero e ciò lascia ancora più di stucco se pensiamo a quanto dobbiamo riconoscere ancora a quel Wunderkind, visto che hanno vinto qualche giorno fa il premio Nobel per la Medicina, la sua connazionale Katalin Karikó e Drew Weissman per le modifiche all’RNA messaggero, che sono state alla base dei vaccini antiCovid.

Genio e follia, creazione e distruzione: sembrano binomi che non si possono scindere quando si parla di menti geniali come quella di János von Neumann. Maniac è un libro affascinante e arricchente, che fa conoscere a un pubblico a digiuno di conoscenze scientifiche i nomi di grandi fisici e matematici che contribuirono in maniera decisiva alla tecnologia della nostra contemporaneità, quando talune idee non erano contemplate neppure nei libri di fantascienza più visionari. L’esempio di von Neumann serve a farci riflettere sul ruolo della scienza e sul suo potere che, si spera, venga sempre rivolto al servizio dell’umanità e non alla sua distruzione. Il suo calcolatore è servito a due scopi contrapposti: alla bomba atomica e all’intelligenza artificiale.

La vita è molto più di un gioco. La sua ricchezza e la sua complessità non possono essere racchiusi in equazioni, per quanto eleganti o equilibrate esse siano. E gli essere umani non sono dei perfetti giocatori di poker immaginati da noi. Possono essere estremamente irrazionali, guidati o sviati dall’emotività, vittime di ogni sorta di contraddizioni. E questo, sebbene provochi il caos ingovernabile che vediamo tutt’attorno a noi, è anche una benedizione, uno strano angelo che ci protegge dai folli sogni della ragione. (p. 155)

Marianna Inserra