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Allons, enfants de la Patrie! La storia segreta della Rivoluzione francese narrata da Hilary Mantel

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La storia segreta della Rivoluzione francese
di Hilary Mantel
Fazi Editore, 2023

Traduzione di Giuseppina Oneto

pp. 1008
€ 24,00 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)

Torna in libreria, per la prima volta pubblicato in volume unico in traduzione italiana, il primo romanzo di Hilary Mantel. Ancor prima di cimentarsi con la storia dei Tudor, la celebre romanziera si misurò con una delle pagine più entusiasmanti e complesse della storia europea: la Rivoluzione francese.

L'argomento presenta da una parte il vantaggio di una trama già di per sé ricca di colpi di scena, azioni drammatiche e vicende corali che formano oramai il tessuto epico dell'Europa; d'altra parte lo svantaggio è misurarsi con dei personaggi che hanno già una fisionomia così teatrale e dei discorsi già tramandati da migliaia di pagine storiografiche, al punto che si corre il rischio di indebolirli trasformandoli in personaggi da romanzo, piuttosto che esaltarne le peculiarità narrative. 

Dopo una prima parte che funge da prequel biografico dei tre personaggi principali (Desmoulins, Danton, Robespierre), Mantel seleziona il periodo storico che va dal 1784 al 1794, lasciando quindi fuori il Termidoro e narrando solo in una postilla della fine di Maximilien Robespierre e della sorte dei personaggi comprimari che avevano incontrato lungo le 1000 pagine del romanzo. 

Pur essendo un romanzo corale, La storia segreta della Rivoluzione francese sceglie di seguire le vite di Camille Desmoulins, Georges-Jacques Danton e Maximilien Robespierre come perno attorno a cui fare ruotare il decennio che portò dal crollo dell'Ancien Régime all'instaurazione del Terrore. Il lavoro di ricerca storiografica, l'uso delle fonti e l'inserimento dei documenti storici all'interno della vicenda sono poderosi ed encomiabili, anche se - soprattutto all'inizio - ci si trova davanti a molte spiegazioni che appaiono superflue a chi conosce bene la storia trattata e comunque didascaliche anche per chi non dovesse sapere chi fossero Necker e Turgot.

Ma andiamo ai nostri tre protagonisti: Camille è un giovane avvocato dalle idee stravaganti e dal comportamento amorale, un uomo dotato di una inquietante radiosità nera, come dirà in modo icastico Robespierre. Insieme a Danton e a Marat animò il club dei cordiglieri e, nonostante la tenue balbuzie, riusciva a essere un abile incantatore con le parole, tanto da essere colui che pronunciò il discorso fatidico che precedette la presa della Bastiglia. Come ogni buon romanzo storico che si rispetti, anche quello di Hilary Mantel ci consente di conoscere accanto all'uomo pubblico la vita dell'uomo privato. Quanto a questa, il suo non convenzionale matrimonio con Lucile Duplessis sarà uno dei Leitmotiv dell'intero romanzo.

A parere di Danton, l'aspetto più stravagante del carattere di Camille è il suo desiderio di ricoprire di scrittura qualsiasi superficie libera: vede un candido foglio di carta, vergine e innocuo, e lo incalza finché non è annerito di parole, poi imbratta anche il seguente e così fino a terminarli. (p. 457)

Georges-Jacques Danton, invece, non scrive, e Mantel, nella parte quarta, dopo la premessa di una mancanza di documenti autobiografici, immagina che lo stesso Danton possa raccontarsi. In realtà, proprio questo frequente cambio di narratore, con la presenza però dietro le quinte di un narratore exradiegetico che mostra di essere talora troppo ciarliero, è uno degli aspetti strutturali che meno mi ha convinto di questo monumentale libro, proprio perché tali scelte hanno fatto perdere omogeneità alla narrazione. Danton è stato un bambino irruente e ingombrante, un ragazzo che aveva come obiettivo "diventare qualcuno"; massiccio e deturpato da varie cicatrici, Danton risulta comunque affascinante per la voce e per la loquela. Sia lui che Desmoulins, però, saranno segnati dal desiderio di potere, irretiti dalla vanità e dalla cupidigia. Maximilien Robespierre, no. Il ritratto di Hilary Mantel ce lo presenta incorruttibile, come la storia lo ha tramandato. A differenza di Danton, che vuole essere ricordato dai posteri, Robespierre crede che questa vanagloria sia uno dei peccati originali della storia stessa:
A volte penso che il vero desiderio dovrebbe essere quello di non assurgere a eroi ma di venir svanire la personalità individuale...una sorta di obliterazione della storia. L'intero passato della razza umana è stato falsificato, reinventato a proprio piacimento dai cattivi governi, dai re e dai tiranni perché desse loro lustro. Quest'idea della storia fatta dai grandi uomini, se la si osserva dal punto di vista del popolo, è del tutto insensata. I veri eroi sono coloro che resistono ai tiranni, ed è insito nella natura della tirannia non soltanto uccidere coloro che vi si oppongono, ma anche cancellarne i nomi, eliminarli completamente, affinché resistere appaia impossibile. (p. 654)

Il romanzo di Mantel, in effetti, sembra sposare questa filosofia della storia di Maximilien Robespierre, perché non ci consegna eroi romantici, epici negli ideali o luciferini nei vizi (manca l'afflato alla Victor Hugo, per intenderci) ma figure umane troppo umane, spesso attori inconsapevoli di una storia universale. Anche le belle pagine sulle morti di Luigi XVI prima e di Maria Antonietta dopo, non sono pensate per muovere a pietà né per brindare a una Nemesi storica. 

L'intero impianto del romanzo è lucidamente cronachistico, con prosa asciutta e descrizioni concise. È decisamente la via che Mantel ha tracciato per il ritorno del romanzo storico fra i bestseller: una cura estrema nella ricerca storiografica, la volontà di rendere presenti e attuali i personaggi narrati, senza tuttavia appiattirli o decontestualizzarli.

Deborah Donato