in

Raizl, la comunità chassidica e i video porno: l'assordante conflitto di una ragazza ultraortodossa

- -


 

Shmutz
di Felicia Berliner
Mar dei Sargassi Edizioni, settembre 2023

Traduzione di Marina Finaldi

pp. 250
€ 19 (cartaceo)

Che tu sia benedetto Hashem, recitano ogni giorno gli uomini, che non mi facesti donna. (p. 97)
Prendete una famiglia chassidica ultraortodossa, un computer e una giovane ragazza che è costretta ad andare dalla psicoterapeuta perché ha una morbosa dipendenza: quella del porno.
Shmutz, il titolo di questo romanzo, significa proprio "pornografia" in lingua yiddish: l'autrice Felicia Berliner, cresciuta a Los Angeles in un ambiente ortodosso (ha frequentato durante l'adolescenza la yeshivaun'istituzione educativa ebraica che si basa sullo studio dei testi religiosi tradizionali, principalmente quello del Talmud e della Torah) descrive in maniera molto precisa e puntuale tutti gli aspetti, le contraddizioni e il ventaglio di regole ferree che la protagonista del romanzo deve affrontare.

Raizl, il cui nome vuol dire "rosa", ha diciotto anni e mezzo e deve sposarsi: è tradizione nella comunità chassidica organizzare degli incontri prestabiliti chiamati b'show tramite cui i ragazzi celibi e le ragazze nubili si incontrano e le famiglie, insieme alla sensale, decidono se farli unire in matrimonio. Pare assurdo, ma è così che funziona. Purtroppo però Raizl non è una ragazza come le altre: ovviamente sogna una famiglia con tantissimi figli e un chussen (promesso sposo) intelligente e gentile, ma vorrebbe anche che lui fosse focoso, appassionato, un amante con la A maiuscola.
Perché? Non è permesso dire certe cose, e nemmeno pensarle, eppure lei lo fa. 
Raizl aveva guardato il video per scoprirlo. temeva per la ragazza, tirava un sospiro di sollievo ogni volta che lui penetrava nella cavità giusta. Provava, però, anche una sorta di fastidio, di insoddisfazione. perché non anche l'altro loch? (p. 19)
Lo fa perché scopre che esiste un mondo proibito nascosto nel suo computer. Solitamente non è permesso alle ragazze della sua età possedere un pc, ma Raizl lavora per pagare gli studi ai fratelli e quindi, per una serie di fortunate coincidenze, non solo viene in possesso di un computer, ma anche della linea internet di casa. Una volta scoperta la password, il mondo dei video porno le si spalanca: passerà così ogni notte a guardare un video dopo l'altro, perdendo il sonno e il senno, dilaniata dal senso di colpa, dalla vergogna ma, soprattutto, da una naturale curiosità per il sesso e l'esplorazione del suo corpo.
Ovviamente non può raccontarlo a nessuno, solamente alla psicoterapeuta che, però, non le è di alcun aiuto. Se qualcuno lo scoprisse, Mami sua madre, o Tati suo padre (Dio non voglia!) sarebbe la fine del mondo, verrebbe diseredata e scacciata dalla comunità. Raizl tenta di smettere, ma non riesce, la sua diventa una vera e propria ossessione patologica. Passa le sue giornate al college, da sola, vergognandosi del suo aspetto, coperta da capo a piedi, senza mai niente di interessante da dire, e le notti attaccata al pc a guardare, guardare morbosamente e a masturbarsi.

Il conflitto tra la sua fede e la scoperta di avere dei desideri, delle pulsioni, è annientante: Raizl non sa come conciliare questi due mondi e nel frattempo, come se non bastasse, la famiglia continua a organizzarle appuntamenti combinati perché deve sposarsi. Deve: nella comunità ultraortodossa è una vergogna restare nubili o celibi, l'onta non ricade solo sul diretto interessato ma anche sulla famiglia. 

A un certo punto della narrazione, Raizl incontrerà Sam, una sua compagna di college, che sarà quanto di più simile a un'amica: ribelle, bisessuale, goth, Sam le farà capire che esiste anche altro, che può indossare un jeans senza venire colpiti da una maledizione divina, che può mangiare cibo non kosher, e può parlare con i ragazzi. Si può dire che rappresenterà una finestra sul mondo, una via di fuga da quella vita piena di preghiere, regole e divieti che a Raizl stanno stretti. 
Eppure, per quanto il porno sia una malattia, lei non dimentica mai i suoi doveri: il finale del libro in questo senso è rivelatorio.

Si tratta di un testo davvero intenso, pieno di terminologie in lingua yiddish (un plauso alla traduttrice Marina Finaldi, che ha deciso di tenere i termini originali fornendoci un glossario finale) che non si limitano solo alla rappresentazione delle tradizioni chassidiche - le preghiere, le festività ebraiche, i nomi di Dio, il cibo e le bevande, le proibizioni - ma anche e soprattutto alle parole che Raizl usa per definire il porno: il seno, le natiche, i genitali, tutto avrà un suo corrispondente yiddish, contrapposto al modo esplicito ma mai volgare che l'autrice ha di descrivere le scene di sesso.
Il flusso di coscienza di Raizl è assordante: si tratta di una ragazza di diciotto anni che vuole solo vivere, che vuole capire il proprio corpo e i propri legittimi desideri, ma è incastrata in una serie di corto circuiti mentali legati alla tradizione della sua comunità, dalla quale, è triste dirlo, non si può scappare. O meglio, si può, ma rinnegando tutto senza la possibilità di tornare indietro.
La storia di Raizl mi ha molto ricordato quella di Esther Shapiro, la protagonista della mini serie Netflix Unorthodox: come Esther, Raizl vive a Brooklyn, ha delle esigenze intime, non riesce ad amalgamarsi nella società, pur volendo fortemente farne parte. Persino alcuni eventi del testo riprendono la serie, ad esempio la scena in spiaggia durante il bagno, la vergogna di togliersi gli abiti e di mostrare per la prima volta a degli estranei la propria pelle nuda. 
Il disagio esistenziale è il medesimo, il veicolo è diverso: Raizl usa il porno per staccarsi dalle regole, Esther la musica.
Mi è piaciuto molto questo romanzo: è coraggioso, commovente, forte. Lo consiglio a chi ha visto la serie e anche a chi è interessato a quelle storie di donne che cercano di ribellarsi, di essere non se stesse, ma semplicemente donne nel senso intimo del termine. 

Deborah D'Addetta