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Una protagonista che avrebbe fatto la felicità di Freud: Berta Garlan e i suoi progetti inconcludenti sull'amore

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La signora Berta Garlan
di Arthur Schnitzler
Bur/Rizzoli, aprile 2025

Traduzione di Renata Colorni

pp. 252
€ 13 (cartaceo)
€ 5,99 (e-book)

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[...] Con un sorriso soddisfatto immaginò l'espressione un po' delusa dipingersi sul volto di lui e lei, a mo' di esercizio preparatorio, provò ad atteggiare il proprio, di volto, a grande serietà, sapendo perfettamente le parole che vorrà dirgli: O no, Emil, se tu pensi questo... Ma nel dire queste parole non dovrà usare un tono troppo duro, per evitare che lui, come quel giorno... sono passati dodici anni!... subito si blocchi, dopo il primo tentativo. Deve assolutamente fare un secondo e poi un terzo tentativo - oh, Dio santo, deve implorarla molte volte per indurla a cedere. Perché Berta proprio qui, in mezzo a tutte queste brave, oneste e virtuose persone del cui novero com'è ovvio non potrà più far parte, proprio qui Berta sente che lei gli cederà non appena lui glielo avrà chiesto. Sta partendo per Vienna con l'unico scopo... di diventare la sua amante […] (p. 98)

Pubblicato nel 1900, primissima opera di narrativa dello scrittore e drammaturgo austriaco (di cui ho già letto in passato Doppio sogno, che ha ispirato il film Eyes Wide Shut di Kubrick), La signora Berta Garlan si sviluppa nel corso di dodici giorni verso la fine del 1800 ed è ambientato tra Vienna e un paesino della sua provincia distante tre ore di treno. 

Berta Garlan è vedova e ha un bambino, Fritz, e la sua vita trascorre pacifica e piatta - l'incipit ce ne dà un assaggio mentre la donna, insieme al figlio, passeggia verso il cimitero per un saluto alla tomba del defunto consorte - tra visite al cognato e alla sua famiglia, qualche conversazione sparuta con pochissimi abitanti del villaggio e le sue lezioni di piano con le quali riesce a tirare avanti. Un'esistenza normale, senza picchi, senza desideri, tutta dedicata al figlio, ma almeno serena.

Tuttavia, la matrice della sua irrequietezza latente si trova in un evento casuale: per pura combinazione, Berta vede la foto di Emil Lindbach su un giornale, proprio quell'Emil, il suo primo amore, l'unico uomo che abbia mai amato. Così gli scrive una lettera per congratularsi e riallacciare i rapporti interrotti bruscamente anni prima: sì, perché Emil nel frattempo è diventato un famoso e acclamato violinista, conosciuto in tutto il mondo.
Questa notizia scatena tutta una serie di desideri, rimostranze, ansie, angosce e rimpianti sopiti: Berta, all'improvviso, solo grazie a quella foto, comincia a capire molte cose di sé e di ciò che è stata la sua vita dal momento in cui si è sposata (evidentemente non per amore) al lutto subito.

Fu colta da una specie di brivido quando a un tratto ebbe piena consapevolezza di non essere altro che la vedova di un uomo insignificante la quale, in attesa della vecchiaia che si stava lentamente approssimando, viveva in una piccola città e si guadagnava da vivere dando lezioni di pianoforte. Mai, nel corso della sua esistenza, era stata illuminata da un solo raggio di quel fulgore nel quale lui viveva e fino all'ultimo dei suoi giorni sarebbe vissuto. E, attraversata dal medesimo brivido, si rimproverò per il fatto di essersi sempre accontentata del destino che le era toccato in sorte, e di aver trascorso la sua intera esistenza senza speranze e senza desideri, in una ebetudine che in quel momento le parve inesplicabile. (pp. 57-58)

Emil rappresenta per lei la via di fuga, il riscatto: Berta sente di meritare di più, di essere una donna che ha bisogno di una vita migliore, più eccitante, più vera. E così, per metà del romanzo (fin quando non incontra di persona Emil) Berta comincia a costruire assurdi castelli di carta su di lui e sull'idilliaca storia d'amore che potrebbero avere, tesse tutto un ventaglio di scenari possibili - solo nella sua testa - un cui lei e Emil sono felicemente innamorati, sposati addirittura, e lei finalmente è una donna felice, soddisfatta e appagata, anche sessualmente, e tutto è perfetto.

Tutto questo, senza fare i conti con l'oste, perché Emil di questi suoi piani non sa nulla. Risponde tuttavia alla lettera di Berta, in modo molto cortese e caloroso, e dunque tanto basta a Berta per prendere il volo. Ciò che la contraddistingue – e questa è una caratteristica dei personaggi femminili di Schnitzler che tanto hanno a che spartire con la psicoanalisi e le teorie freudiane (Schnitzler e Freud vissero nello stesso periodo storico e pur studiando la medesima disciplina non sono mai stati assidui frequentatori o amici) – è il suo umore estremamente altalenante, le sue idee estremamente contraddittorie: prima si rimprovera per i suoi pensieri, poi si rimprovera di rimproverarsi; prima vuole essere una donna indipendente e libera di andare a letto con chi vuole e subito dopo si dà della donnaccia; prima maledice il figlio e il defunto marito perché la tengono in gabbia, poi morirebbe per Fritz.

Certamente tutto ciò è giustificato dal periodo storico: non era accettabile che una donna vedova, nonostante fosse giovane, bella e libera, avesse un amante nella capitale. E quindi i pensieri repentini e lunatici di Berta non sono solo quelli di una donna figlia del suo tempo, ma anche quelli di una donna sfaccettata, complessa, che non ha solamente la voglia di essere amata, ma anche quello di esprimere il proprio desiderio sessuale, la sua «femminilità desiderante», come dice lei stessa (p. 208)

Si accorse adesso che stava percorrendo la stessa strada di ieri. Il suo sguardo fu colpito da un manifesto, affisso su una colonna, che annunciava il concerto al quale anche Emil avrebbe preso parte. Rapita, si fermò a leggerlo. Un signore sostò accanto a lei. Sorridendo Berta pensò: Se questo qui sapesse che i miei occhi stanno indugiando proprio sul nome di colui che ieri notte è stato il mio amante... Si sentì a un tratto molto fiera. Aveva fatto, così le sembrò, qualcosa di eccezionale. Con difficoltà riusciva a immaginare che potessero esistere altre donne dotate del suo stesso coraggio. (p. 152)

Poi però si pente e dice a se stessa di essere una poco di buono. Ecco, il romanzo corre su questo ritmo altalenante del carattere di Berta, perfetta eroina ottocentesca. Per contro abbiamo la signora Rupius, femminista antesignana, che fa esattamente quello che sogna di fare Berta ma con più stile, eleganza, coraggio e classe. Sarà proprio il rapporto con lei che darà a Berta la misura per capire quando e come valutare la sua esperienza con Emil.

Si tratta di un romanzo a regola d'arte: una donna che cerca di uscire dalla gabbia che la società – e lei stessa a dire il vero – le ha imposto, e cerca di cambiare le carte in tavola, ma non ne ha la stoffa. Quel briciolo di coraggio che le serve per rompere gli indugi lo pagherà a caro prezzo quasi impazzendo a suon di elucubrazioni conflittuali continue e incessanti. 

Forse più che di un'eroina si tratta di un'anti-eroina: Berta risulta piuttosto fastidiosa, mediocre – soprattutto se paragonata alla signora Rupius, che pure nel suo ultimo gesto si dimostra padrona del suo destino – e le si vorrebbe dare una scrollata di spalle: non si tratta forse di un personaggio che costruisce nella sua testa un rapporto idilliaco con un uomo che non vede da anni? C'è chi ha definito Emil un approfittatore, un classico macho sessista, ma Berta sicuramente è tanto ingenua da credere di poter vivere una meravigliosa storia d'amore senza consultare il diretto interessato. 
Che poi lui sia un uomo altrettanto mediocre e prevedibile questo è anche vero.

Ai lettori l'ardua sentenza. Una lettura bellissima, per i nostalgici dei romanzi classici.

Deborah D'Addetta