Leggiamo spesso di Shoah, ma cosa è successo ai bambini che sono rimasti orfani o che, in particolari situazioni di indigenza, sono tornati in Israele? Con Sotto l'albero delle giuggiole, libro molto noto in patria e adesso disponibile anche in Italia grazie ad Acquario e alla traduzione di Paola Maria Rubini, entriamo in un istituto, la comunità di Udim. Siamo nei primi anni Cinquanta e fin dall'inizio del romanzo la situazione è accesa, perché i ragazzi stanno discutendo se sia moralmente accettabile o addirittura giusto ricevere il denaro da parte della Germania quale risarcimento per i crimini della Shoah.
Sono tanti i nomi che si alternano nel portare avanti la propria idea, ed è così che iniziamo a conoscere le personalità dei personaggi di questo libro. Non conta tanto il loro aspetto fisico, quanto l'animosità delle loro idee. La protagonista, Aviha, si distingue per il suo buonsenso, al punto da essere notata da Jurek, uno dei ragazzi più ambiti della comunità, prima impegnato con Sara B., una delle più avvenenti. Ci sono ragazzi di età diversa, di attitudini e comportamenti completamente opposti, che devono però imparare a convivere. E non di rado confessano che preferirebbero trascorrere un po' di tempo da soli:
Sara B l'aveva detto bene durante la discussione sulle riparazioni: “Voglio essere sola, alzarmi da sola, andare a dormire da sola, da sola! Da sola, non con altre cinque ragazzi. Non con tutti, non sempre insieme!” (p. 134)
E allora l'albero delle giuggiole, in cima alla collina, offre quel po' di privacy per un pianto, una passeggiata d'amore, un momento di riflessione. Sì, perché ognuno degli ospiti dell'istituto ha vissuto almeno grande un trauma. Trauma che viene confrontato con quelli altrui, per consolarsi un po', perché c'è sempre qualcuno che sta peggio, o almeno questo pensiero rassicura i ragazzi e li fa sentire meno soli. Sono tutti accomunati da uno strappo violento o da un'assenza feroce, e questo crea una comunità mista che, nei momenti importanti, si sostiene e coopera. E non di rado riesce a trovare tempo per un sorriso, una storia da condividere, un desiderio un po' ingenuo da lasciar trapelare sottovoce alle persone più intime. Ecco perché quando arriva qualcuno di nuovo è difficile per lui o per lei integrarsi, perché si tratta di entrare in un gruppo che magari non si frequenterebbe in condizioni normali, ma che lì dentro costituisce un microcosmo.
La protagonista lo sa, quando vede arrivare Mira, a metà anno, a metà di una cena: insomma, non poteva esserci momento peggiore per entrare e imporsi! A questo aggiungiamo che la nuova arrivata ha un carattere decisamente difficile: interviene a sproposito, spesso con frasi prive di empatia, che rivelano verità brutali, arraffa ciò che le viene offerto senza alcuna educazione e si nasconde, più che farsi conoscere. Eppure anche lei è lì perché ha subito qualcosa. E, in effetti, il suo è il personaggio che evolve di più, insieme a quello della protagonista, nel corso della storia, riservando alcune sorprese.
Non si pensi però di essere davanti a un romanzo di formazione; no, Sotto l'albero delle giuggiole è soprattutto una testimonianza, che filma la vita in un gruppo di giovani e bambini in un periodo di tempo limitato, mostrando i loro dubbi, le sofferenze subite, offrendo anche le loro speranze, più o meno realizzabili. Ho usato il verbo filmare perché Gila Almagor non è solo scrittrice: ha recitato in teatro e al cinema (la troviamo in una cinquantina di pellicole, alcune delle quali famose a livello mondiale!). E si sente, sì, che alle spalle l'autrice ha una consapevolezza notevole su come montare le scene e proporre dialoghi credibili e asciutti. Se aggiungiamo che lei stessa ha vissuto fino a quindici anni in un istituto per ragazzi, possiamo immaginare la portata autobiografica nascosta in questo romanzo. E dunque leggiamolo con grande rispetto, affacciandoci a una storia che è fatta di tante storie, che vanno anzitutto comprese e poi accolte, perché le voci di questi piccoli protagonisti chiedono solo di essere ascoltate e ci restano nella mente anche dopo aver chiuso il libro.
GMGhioni
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