in

Un'interessante opera ibrida del fotografo viaggiatore Nicolas Bouvier, tra il diario di viaggio e il saggio sulla cultura e sulla filosofia giapponesi

- -


Cronache giapponesi
di Nicolas Bouvier
Feltrinelli, 20 giugno 2023

Traduzione di Paola Olivi e Beppe Sebaste

pp. 240
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)


Cronache giapponesi, edito per la prima volta nel 1989 dalla casa editrice franco-svizzera Payot, rappresenta un documento straordinario che ci ha lasciato lo scrittore e fotografo Nicolas Bouvier: un’opera ibrida che è allo stesso tempo diario di viaggio e saggio divulgativo sulla teogonia e la filosofia shintoiste e sulle tradizioni nipponiche. Attraverso le pagine, ci vengono svelate le impressioni di viaggio di Bouvier e le peculiarità di una cultura antichissima, estremamente suggestiva e lontana. Il libro si divide in cinque  parti, tra cui la prima, la più corposa, si incentra sulla storia del Giappone, dalla genesi mitica del popolo giapponese - stirpe divina discesa direttamente dal cielo - fino alla seconda guerra mondiale ed alla distruzione atomica. La seconda parte si concentra sugli avvenimenti dell’anno della Scimmia 1956, periodo cruciale che aveva seguito l’indipendenza del Giappone e la fine dell’occupazione delle truppe Alleate sancita dal Trattato di San Francisco nel 1951. Qualche anno più tardi i giapponesi sentono la necessità di liberarsi da ogni scimmiottamento statunitense per ritornare alla cultura europea, soprattutto a quella francese. Il Giappone, da sempre geloso della propria indipendenza, senza però mostrare mai segni di complessi di superiorità (come invece i vicini cinesi) si liberano subito del giogo del piano di sostegno finanziario americano per camminare sulle proprie gambe; già i viaggiatori europei del Settecento consideravano il Giappone lo stato meglio governato del mondo: 
[…] un’isola ricca di oro e di argento che basta a se stessa, l’eccellenza dei suoi prodotti, la disciplina e la frugalità di una popolazione attenta all’igiene fino alla pignoleria, un potere onnipresente, una polizia efficiente, una giustizia rapida, onestà ed opportunismo sapientemente orchestrati, in breve: lo Stato meglio governato del mondo. (p. 78)

Una scrittura piacevolissima che impreziosisce il contenuto davvero interessante del libro: partendo da esperienze vissute in Giappone, in vari luoghi, soprattutto nella città di Kyoto, antica capitale, che «conta seicento templi e tredici secoli di storia» (p. 12), conosceremo le caratteristiche del popolo giapponese (che si sono conservate fino ad ora in realtà), la loro visione del mondo, i loro vizi e virtù, la loro sofisticata ricerca della bellezza. 

Con profondo rispetto e grande curiosità verso una cultura completamente diversa e per questo intrigante, lo scrittore delinea con una penna scorrevole e precisa, il mito di fondazione del Giappone: «Allinizio di questa Genesi, non c’è il “Verbo”, ma uno strato di limo che galleggia beatamente nel buio. L’elemento sottile e quello pesante si separano per formare un Alto e un Basso» (p. 15). Come per quasi tutte le culture, i fondatori di un popolo sono all’inizio fratello e sorella, Izanagi ed Izanami, che in giapponese significa «colui che invita» e «colei che invita» (all’unione sacra), da cui nascono le otto isole del Giappone ed una folta discendenza divina, tra cui spicca in particolare «Amaterasu O-mi Kami, dea della Luce; quest’ultima, progenitrice del clan imperiale, è la figura più venerata dell’immenso pantheon shintoista». (p. 17)
La teogonia shintoista considera tutto divino, non c’è nulla di ignobile, ogni cosa serve alla germinazione, alla fertilità:
Tutto ciò che appartiene a una divinità - fiato, saliva, sangue, escrementi - può generarne altre he investono a poco a poco il mondo materiale purificando lo dai suoi umori. Le divinità sono miriadi: celesti o terrestri, illustri o modeste, potenti o subalterne, titolari in partibus di un vulcano o di un cespuglio. Alcune solidamente ancorate alla mitologia, altre che, dopo aver reso qualche piccolo servizio, si volatilizzano in fumo. (p. 19)

Diremmo che siamo di fronte a una religione inclusiva: occorrono parecchie divinità, piccole o grandi, per animare le cose, cibo compreso (esiste anche il Kami del Pettine!) e per santificare i mestieri, da quelli più umili a quelli più prestigiosi. In mezzo a questa miriade di divinità, il Giappone è diventato, secondo il mito, uno stato l’11 febbraio del 660 a.C. con Jimmu Tenno, il primo imperatore. Bouvier difende la religione shintoista dalle incomprensioni del viaggiatore tedesco Kaempfer che la considera piuttosto ridicola ed inaccettabile, sostenendo che anche agli occhi di un giapponese i dogmi cristiani (primo tra tutti la verginità di Maria) possono sembrare bizzarri. A differenza del cattolicesimo non esiste nella cultura shintoista il concetto di peccato, né di mortificazione e penitenza, ma tutto può essere lavato via con abluzioni e purificazioni, nessun Inferno, per placare gli spiriti, basta lasciare loro una ciotola di riso e qualche offerta simbolica per ingraziarseli. Nonostante l’avvento del buddismo, lo scintoismo non è stato mai soppiantato, anzi entrambi questi sistemi - che definire religioni non è propriamente corretto - hanno convissuto insieme per tanti secoli:

In quindici secoli di convivenza, il Buddha e lo Shinto non sono mai entrati in conflitto aperto, e nel giardino di un tempio buddhista troverete sempre -in un cespuglio, dietro il pozzo, di fianco alla rimessa del giardiniere - un piccolo santuario Shinto ornato di fiori ancora freschi, segno che l’Antico Proprietario ha mai davvero lasciato questo luogo. (p. 33)

Fresche le immagini che ci dipinge con ammirazione Bouvier della città di Tokyo nella seconda parte del libro: un luogo dove si incontrano due mentalità opposte, quella di Sud Est (shitamaki, città bassa), legata a un’economia di sussistenza principalmente basata sulla la pesca e che si diverte con gli spettacoli di lotta sumo e la parte di Nord Ovest, yamanote (lato delle colline)  più raffinata e compassata, economicamente più ricca, che si dedica al teatro No ed alla calligrafia. Vivide le immagini delle viuzze, dei profumi nell’aria, delle ragazze del bordello “fuori orario di servizio”:

In fondo al quartiere tre viuzze parallele, disseminate di enormi lanterne, odorano di erbe medicinali, disinfettante e profumo a buon mercato. Dal 1958 i bordelli, ahimè, sono chiusi. Si sentiva fischiare e sussurrare sulle porte, e dal battente aperto il passante poteva vedere l’ Olympia di Manet riprodotta a mosaico decorare il muro di fondo, ed enormi teiere di ghisa cantare sui bracieri. […] In piedi sulla soglia, in sottoveste, le ragazze prendevano il fresco, bevevano con ingordigia del latte dalla bottiglia o si occupavano del pupo che una vicina le aveva loro affidato, giusto il tempo di fare la spesa. (p. 122)

Interessanti le pagine dedicate alle usanze e alle ossessioni giapponesi: la paura di fronteggiare l’imprevisto, la mania dell’igiene, il pudore perseguito ossessivamente in tutti i luoghi e in tutte le occasioni tranne che nei bagni pubblici, dove la nudità è la regola:

Il Giapponese non è turbato dalla nudità al bagno; ne ha troppo l’abitudine, e se eccezionalmente ne è turbato, be’, cosa c’è di male? Sotto questo aspetto è più spontaneo di noi. Deve essere rimasto a lungo perplesso di fronte al nostro mondo, che metteva le mutande lunghe e faceva tante storie per entrare in acqua…per poi decorare i giardini pubblici con statue di prosperose donne nude simbolo del Commercio o dell’Industria. (p. 126)

Descrizioni vivaci di luoghi e di feste, come quella dei Fiori, brevissime storie in pochi capoversi di drammi familiari, di fantasmi che popolano i racconti della tradizione, di incontri di cui l’autore coglie il calore con le parole così come fa con le fotografie della sua inseparabile macchina fotografica. Un libro affascinante consigliato a tutti coloro che vogliono non solo godere la narrativa di viaggio, ma anche conoscere la storia e i luoghi del Giappone.

Marianna Inserra