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Il fascino e la fatica di tradurre grandi autori: Emmanuel Carrère si confronta con Ena Marchi, Peter Cameron con Giuseppina Oneto

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Da anni il Salone del Libro presta attenzione al rapporto tra gli autori e i loro traduttori. È all'interno di questi appuntamenti, particolarmente seguiti, che il 21 maggio ho avuto modo di sentir dialogare Emmanuel Carrère con la sua traduttrice Ena Marchi e l'ora successiva Peter Cameron con Giuseppina Oneto. Risultato? Questi due incontri sono saliti immediatamente sul mio podio personale, sorpassando i tanti altri eventi che ho seguito nei giorni di questo affollatissimo SalTo.

Emmanuel Carrère

foto scattata durante l'evento a #SalTo23
da Gloria M. Ghioni
PAROLA D'ORDINE: SEMPLICITÀ DELLA LINGUA PER COMPLESSITÀ DEI CONTENUTI 

Il celeberrimo scrittore francese Emmanuel Carrère, che ha appena vinto il Premio Strega Europeo con il suo V13, parla della sua lingua letteraria: si tratta sempre del francese, anche se è in grado di parlarne e di comprenderne altre. Se immaginiamo la lingua letteraria come una collana di perle, lui cerca di lavorare soprattutto sul filo, tenendosi in equilibrio tra una scrittura semplice e quotidiana e un'altra più letteraria. L'obiettivo è quello di impiegare una lingua efficace e funzionale, che abbia una sua identità. Il suo è un vocabolario piuttosto semplice, che parte dalla lingua parlata e punta alla spontaneità, perché Carrère afferma di diffidare dell'eccessiva ricchezza lessicale.

LA CORRENTE ELETTRICA TRA LE FRASI

Carrère si è definito, piuttosto, un «malato della punteggiatura», dal momento che gli sta molto a cuore la concatenazione tra le frasi: questa è come una corrente elettrica, che deve continuare a passare dall'una all'altra. Ecco perché, pur non usando tantissima punteggiatura, quando questa c'è, sostiene il linguaggio. Spesso l'alternanza tra frasi lunghe e brevi è alla base del ritmo della sua prosa. Invece, quando lo scrittore durante la revisione del testo si limita a spostare questo e quel segno di interpunzione, capisce che è ormai ora di concludere e di consegnare il testo. E la traduttrice Ena Marchi conferma che, anche in fase di traduzione, è fondamentale rispettare al massimo la punteggiatura, conoscendo a fondo il sistema interpuntivo italiano e quello francese, che non sono sempre coincidenti. 


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TRA SCRITTURA NARRATIVA E SCRITTURA PER IL CINEMA

A sentire Carrère, è stato soprattutto il cinema a portare un apporto interessante nella sua narrativa, con la scelta del piano-sequenza per molti dei suoi ultimi romanzi, come in Yoga e in V13. Il testo viene separato in capitoletti più o meno lunghi, dotati di un titolo che a volte ha carattere ludico, altre anticipa il contenuto o dialoga apertamente con ciò che andremo a leggere in seguito. Il montaggio di tali sequenze si è rivelato spesso utile ed efficace narrativamente. Anche nella traduzione Ena Marchi conferma che è necessario lavorare di cesello proprio per mantenere il tono di tali titoli. 

IL RAPPORTO CON LA TRADUZIONE

Oltre ad aver rivelato alcuni dei suoi autori di riferimento per la prosa (ad esempio, Philip Dick per le trame; Proust, Céline e James per lo stile), Carrère dice di più sul suo rapporto con la traduzione e, dunque, con i traduttori. Se con l'inglese Carrère ha un rapporto diretto e rivede la traduzione delle sue opere ogni cinquanta pagine di bozza, con l'italiano deve invece fidarsi dei suoi traduttori, Ena Marchi e Franco Bergamasco. 

ABITUDINI DI SCRITTURA: LA CURIOSITÀ

Carrère ha raccontato che, anni fa, era solito scrivere le sue opere con la macchina per scrivere, usando però un solo dito alla volta. Il suo editore, dopo un primo pacato sollecito a imparare la dattilografia, si è lasciato andare una sera in un bar, dopo qualche bicchiere di troppo, e gli ha dato del pazzo: a suo parere, Carrère avrebbe scritto dieci volte meglio con tutte e dieci le dita! E così Carrère ha imparato, ma... si è ritrovato a scrivere con sei o otto dita, compiendo però molti errori, che gli richiedono di passare un sacco di tempo a correggere. Insomma, non si è trattato di un grande guadagno di energie! 


Peter Cameron

Peter Cameron con l'interprete
foto scattata durante l'evento a #SalTo23
da Gloria M. Ghioni
«La vita di tutti è piena di dramma, intenzione e bellezza, se viene raccontata in modo diretto»

Che cosa fa la gente tutto il giorno?, appena uscito per Adelphi, raccoglie dodici racconti incentrati sull'incomunicabilità, tema che i lettori di Peter Cameron non stenteranno a riconoscere come uno dei suoi capisaldi. Questi racconti sono stati scelti e rivisti alla luce del fatto che, anche a distanza di anni, per Cameron continuano a parlargli e anche tra di loro hanno un certo legame. 

LA CENTRALITÀ DEI DIALOGHI E L'ATTENZIONE ALLA LINGUA

La lingua che troviamo in questi racconti, come ci racconta la traduttrice Giuseppina Oneto, si muove con grande eleganza tra dimensione quotidiana e letteraria: l'autore afferma che di solito ha già pensato le parole nella sua testa prima di trascriverle e non di rado figurano parole che nel parlato quotidiano non usa, perché gli piace invece come queste appaiono e suonano sulla pagina scritta. Oltre a operare una revisione costante di quanto va scrivendo, Cameron pone un'enorme attenzione alla costruzione dei dialoghi. E infatti confessa che si accorge che una sua opera andrà avanti quando i personaggi iniziano a fare e a dire cose che lui non aveva previsto. 

Giuseppina Oneto
foto scattata durante l'evento a #SalTo23
da Gloria M. Ghioni
UN RAPPORTO SPECIALE E PLURI-DECENNALE CON GIUSEPPINA ONETO

Al centro dell'incontro non c'è solo la scrittura di Peter Cameron, ma anche il rapporto di fiducia e di amicizia con la sua traduttrice italiana, Giuseppina Oneto, incontrata dopo che lei si è trovata tra le mani la bozza di Un giorno questo dolore ti sarà utile e di Quella sera dorata nel 2006. «Mi sono innamorata di quel testo, che racconta l'umanità, con le sue insensatezze e stramberie», ha dichiarato Giuseppina Oneto. E per sciogliere alcuni dubbi, anziché sentire l'autore via mail o per telefono, ha pensato di approfittare di un suo viaggio a New York per incontrare Cameron dal vivo. E così è iniziato un rapporto che prosegue all'insegna della reciproca gratitudine: «Ho capito che nei suoi testi aveva raccontato tanto di sé, per quanto in modo non autobiografico». Ed è proprio alla luce di questo sentimento che si muove l'incontro, in un dialogo pieno di sorrisi e di complicità che provengono da tante sfide superate insieme. 

LA COMPLESSITÀ DI TRADURRE I TESTI DI PETER CAMERON

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Se teniamo conto, come ci invita a fare Giuseppina Oneto, della biblioteca e dell'enciclopedia di Peter Cameron, entrambe decisamente folte, si coglie già che sarà difficile tradurre le sue opere. Soprattutto sono i non detti a chiedere di essere sempre  rispettati, con gli spazi bianchi che concorrono a dare ritmo: ecco perché interpretare e tradurre Cameron richiede un lavoro più sul levare che sul mettere. Altra sfida è rappresentata dalla circolarità di piccole ripetizioni che, con la predominanza della paratassi e l'impiego non raro del polisindeto, rendono necessario in italiano un grande lavoro sull'equilibrio. Sappiamo bene che la nostra lingua fatica a tollerare le ripetizioni, ma dove si può, è giusto mantenerle per non tradire l'originale. 

Piuttosto che semplificazioni e adattamenti alla lingua di arrivo, Peter Cameron dichiara che preferisce mantenere la specificità delle parole che si riferiscono ad altre culture: prendendo un esempio molto semplice, non vorrebbe mai che un "bagel" venisse tradotto in italiano come "ciambella", perché sono cibi diversi. Ed è proprio su questo piano di ricerca di verosimiglianza e di sensibilità che si muovono alcuni accorgimenti di Giuseppina Oneto, che ci porta esempi diretti tratti da Che cosa fa la gente tutto il giorno?. E bastano questi esempi per lasciare la sala senza parole, con profonda ammirazione per un lavoro che è pieno di arte.

LIBRI E FILM: CHE RAPPORTO C'È?

Per Peter Cameron, non possiamo parlare di "traduzione" per i film che sono stati tratti dalle sue opere, ma di "ricreazione": per l'autore infatti occorre accettare di cedere la propria storia a un altro artista, pertanto si perde il controllo sul prodotto finale. È necessario essere ben consci di questo, prima di cedere il proprio libro. Ecco perché per Peter Cameron è molto meno soddisfacente vedere un film tratto dalle sue opere che stringere tra le mani il libro appena uscito. 

GMGhioni