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#CriticaNera - "Il caso Morel" racconta il Brasile di Rubem Fonseca che ci disgusta e ci affascina

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Il caso Morel




Il caso Morel
di Rubem Fonseca
Fazi, marzo 2023

Traduzione di Daniele Petruccioli

pp.196
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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La costruzione di questo noir a tinte forti è disturbante, l’intera vicenda si rivela un gioco al rialzo, con due protagonisti che funzionano nelle reciproche mancanze e per la loro vita non propriamente di successo e che creano una tensione fortissima.

Il delitto passionale, in tutta la sua crudezza e la sua insensata risolutezza è servito.  Ma non si tratta solo di questo, l’intero romanzo è costruito come un mondo, una favèla dentro cui si intravedono, annaspano ed emergono i vari personaggi. Fonseca è un maestro nel restituirci colori forti, tipici della letteratura brasiliana, che si alimenta della sua stessa passionalità, sfociando spesso in violenza, come un crescendo in musica.

Vilela torna nel suo appartamento vuoto e si addormenta seduto in poltrona. A notte fonda si alza, va a letto ma non riesce più ad addormentarsi. Guarda la notte finire, è impaziente, ha voglia di bere, si trattiene. 


Sono vuoto, pensa Vilela, ricordandosi  che Morel aveva usato la stessa parola. “Sono vuoto da quando sono nato”. (p. 78)

L’idea che pervade tutta l’opera è quella di un delitto che può prestarsi a essere un’opera letteraria o viceversa. I due protagonisti sono appunto un ex commissario, ora scrittore di gialli, Vilela, alle prese con Paul Morel, un artista incarcerato per l’omicidio di una delle sue amanti.


Per quanto riguarda la trama, Morel chiedere di vedere Vilela, per fargli leggere dei brani di un manoscritto in cui racconta la sua vita e forse la verità sull’omicidio della sua amante. L’ex commissario, che è in crisi creativa, accetta di leggere il libro, sempre più intrigato dall’ambiente descritto dall’artista: da una parte il gran mondo carioca tra il perverso e il gaudente, fatto di orge in grandi appartamenti lussuosi a Copacabana e di piccole angherie borghesi; dall’altra un sottobosco di prostitute, delinquenti e immigrati dalle zone povere del Brasile. Procedendo nella lettura, a Vilela viene voglia di indagare sul delitto. A poco a poco, i nomi dei personaggi vengono sostituiti da quelli reali, le scene del libro si sovrappongono a quelle della vita vera, Vilela a Morel, i romanzi ai diari, fino alla risoluzione dell’enigma o fine alla fine del romanzo.


Il romanzo è del 1973 e diventò subito un bestseller, ora Fazi lo pubblica per la prima volta in Italia. Il Brasile che Fonseca ci racconta è un paese oppresso, dove vige la Dittatura militare o Regime dei Gorillas e raccontare ciò che succede nei quartieri più degradati diventa per lo scrittore, che è stato anche un poliziotto, un’urgenza condivisibile. 


Il suo stile è crudo, lineare, con dialoghi incalzanti e scene violente e spesso disturbanti, per tutte queste ragioni e per la dimestichezza con la vita quotidiana delle classi sociali, Rubem Fonseca è considerato uno dei maestri del Neorealismo brasiliano. 


Le tematiche sono diverse e in questo si vede il mondo visionario e variegato, che lo scrittore, autore di sceneggiature, vuole narrare, mettendo in scena tantissimi argomenti e spunti di riflessione. 


Le sue donne non sono creature rassicuranti, hanno tutte in qualche modo a che fare con la violenza, subita o inflitta e con traumi che le plasmano, muovendosi in mondi di assoluto degrado o di esagerata ricchezza. Qualcosa manca sempre nei suoi personaggi, che hanno contorni sfumati e ossessioni celate e la penna dello scrittore si sofferma su queste mancanze, sui tratti della loro infelicità. 


Questo romanzo è un copione dal finale aperto, con tanti filoni narrativi che prendono diverse strade e confondono, infarcito di citazioni, riferimenti, idee, quasi un work in progress letterario, che cattura e respinge nello stesso tempo. Non è una lettura facile e non è per cuori deboli, del resto la vita regala spesso più rammarico che felicità, e questo, in fin dei conti è ciò che scegliamo di raccontare, se è vero, come dice Fonseca che «di niente dobbiamo aver paura, se non delle parole».


Samantha Viva