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Il "dolore bambino" di un piccolo uomo che diventa un pesce: "Sott'acqua" di Francesco Borrasso per Giulio Perrone Editore

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Sott'acqua
di Francesco Borrasso
Giulio Perrone Editore, aprile 2023

pp. 152
€ 16 (cartaceo)

Qui dentro l'acqua non c'è, pensa. E senz'acqua muoio. (p. 34)
Dolore bambino, acqua, lutto. Tre temi forti, più volte raccontati da Francesco Borrasso, già autore di romanzi e raccolte di racconti, che spesso ne ha parlato anche in pezzi usciti su "Nazione Indiana" per cui è editor. A questi si potrebbe aggiungere anche la trasformazione del corpo, o meglio, la sua trasfigurazione quasi biblica.
Sott'acqua, romanzo breve edito da Giulio Perrone Editore, raccoglie questi argomenti e li condensa nella figura di Luca, un bambino verosimilmente di circa dieci o undici anni, che affronta la perdita della madre con il rinnegamento: quando il padre gli dice ciò che è successo, lui sviene e si risveglia pesce. 
Fin da questa piccola premessa, io leggo un fondo fortemente metaforico, spinto verso la rappresentazione cristiana del tradimento (Cristo rinnegato da San Pietro e tradito da Giuda) e verso la simbologia di matrice greca del pesce come sinonimo di Cristo, ché "il pesce può entrare nella morte restando vivo" (p. 46). Lo stesso accade a Luca: dopo essersi risvegliato pesce, scappa di casa alla ricerca della madre, attraversando stati febbrili e di metamorfosi che tanto rasentano la morte stessa.
"Morirò anche io?".
"Tra moltissimo, moltissimo tempo".
"Quant'è moltissimo tempo?".
"Vicino al mai, ma non proprio mai".
"Allora è davvero tanto tempo". (p. 134)
Il pesce poi, sempre rifacendoci alla tradizione biblica, è un archetipo, un simbolo salvifico: Luca, allo stesso modo, parte alla ricerca della madre per salvarla dalla morte, dall'oblio, per riportarla nel mondo dei vivi. Allora Luca va per boschi, paesi e città, incontrando sul cammino svariati personaggi tra cui Anselmo, un uomo che lo accoglie e lo aiuta e che gli spiegherà il significato di quel simbolo (è un catechista, quindi anche qui si riprende la tematica religiosa).
Luca deve andare al "Borgo", un luogo lontano e sconosciuto, in cui è convinto di ritrovare la madre. Nel frattempo il padre lo cerca, preoccupatissimo, mentre la trasformazione da bambino a pesce avanza: i polmoni si comprimono, le parole si fermano - d'altra parte i pesci non parlano, così inizierà a comunicare solo attraverso un taccuino e una penna - nascono branchie e pinne e la pelle si copre di squame. La sua preoccupazione maggiore, oltre a quella di raggiungere il Borgo e la madre, è la ricerca di spazi aperti, ché in quelli chiusi non c'è aria; nel suo caso, acqua.
Luca costruisce un universo altro per razionalizzare la morte, si immerge letteralmente in un liquido onirico che tanto ricorda anche quello amniotico di una madre durante la gestazione. Un ritorno allora, metaforico e fisico, alle origini, a un tempo in cui non esisteva dolore, perdita, lutto, ma solo attesa.
Il calarsi nell'acqua è aiutato anche dalla scrittura: tutto è viscido, bagnaticcio, febbrile, anche se mi sarebbe piaciuta un po' più di ricchezza e profondità. Vero è che il punto di vista è quello di un bambino, ma la narrazione procede con una terza persona onnisciente e dunque qualche libertà espressiva in più poteva esserci (oppure, la butto lì, sarebbe stata più incisiva una narrazione in prima persona, magari intervallata da pagine/diario con i suoi pensieri intimi?)
Si chiede cosa fanno i pesci quando sentono dolore, se piangono. (p. 25)
Le sue stesse lacrime si confondono e si fondono con l'aria/l'acqua circostante, tant'è che non esistono più nuvole o cieli, ma "alghe e meduse bianche" (p. 25).
Dicevo all'inizio, dolore bambino: allora mi domando se un dolore possa essere piccolo o grande, se un lutto venga visto in modo più lieve perché si è piccoli, perché non si comprende fino in fondo, o se, all'esatto opposto, è insopportabile proprio perché sfugge alla ragione. Luca spesso sviene: forse per quello stesso dolore, forse per la febbre, perché ha freddo, mangia poco, dorme male. Probabilmente è una reazione di autoconservazione, il corpo si spegne per non cedere.
Alla fine del romanzo, verrà messo in scena un gesto estremo, estremo proprio perché il protagonista è un bambino. Ma non si tratta solo di un piccolo uomo? Perché ridimensionare il dolore solo perché non si è raggiunta l'età giusta per affrontare un lutto, semmai esista un'età giusta per affrontare un lutto?
Il romanzo, a mio avviso, non è appannaggio solo di un pubblico giovane: si tratta di un racconto sul lutto visto dagli occhi di un bambino, lutto visto come shock emotivo o evento traumatico che lascia ferite e che, come sosteneva Freud, se non viene affrontano correttamente può creare "aree di paralisi" nel tessuto emotivo (Luca pare percorrere proprio questa strada).
Di libri simili mi vengono in mente "L'eco" di Alessandro Riccioni e David Pintor (Edizioni Lapis): anche qui il protagonista è un bambino che ha perso la madre e la cerca grazie a un'entità antica che si manifesta attraverso una eco chiusa nelle montagne. Oppure "Io e niente" di Kitty Crowther (Almayer Edizioni): in questo caso la protagonista è una bambina che chiede aiuto a un amico immaginario per superare la perdita della mamma.
Il romanzo è breve, si legge in qualche ora, ma lascia addosso la sensazione tangibile di una testimonianza vivida e fortemente sentita da parte dell'autore. Avrei sicuramente preferito un pathos maggiore, una scossa profonda, perché ho come la sensazione che il discorso sia solo stato scheggiato in superficie, lasciando tutto il dolore a colare sul fondo, inespresso.
Lo consiglio a chi vuole affrontare testi sul lutto trattati in maniera poco lamentevole che pongono l'accento sul processo di guarigione (intesa come trasformazione del dolore) più che sul tema in sé, o potrebbe essere adatto a chi ha già letto Diario di un dolore di Lewis, Non ora, non qui di Erri De Luca (volendo stare larghi sul tema) o La cognizione del dolore di Gadda.

Deborah D'Addetta