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Viaggio dentro la città ispirata dal cielo: armonia, fascino, segreti, una storia millenaria. Il nuovo possente lavoro del grande sinologo Adriano Màdaro

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Pechino imperiale
di Adriano Màdaro
Giunti editore, febbraio 2023

pp. 432
€ 20,00 (cartaceo)
€11,99 (ebook)


Adriano Màdaro è uno dei massimi esperti internazionali della Cina, cui ha dedicato una vita intensa di studi attenti ed appassionati, è l’unico non cinese tra i membri dell’Accademia Cinese di Cultura Internazionale con sede a Pechino. Un uomo, per elencare i meriti del quale, ci vorrebbe molto più spazio di quello di una modesta, ma entusiasta recensione ad uno dei suoi libri. 
Màdaro indossa qui per noi le vesti del cicerone e ci introduce alle bellezze, alle contraddizioni - anche agli orrori - di una città impareggiabile, unica in tutto il mondo e in tutte le epoche della storia. Pechino, Beijing, la città celeste, la città che si è ispirata al cielo e ne ha assorbito lo splendore, la simbologia, l’armonia.

L’autore, oltre a ricostruire, sezione per sezione, l’antica città, ha anche rilevato le numerose mappe che ne illustrano i luoghi simbolici, gli altari, i giardini, i padiglioni, le aree esterne alla Città proibita.

Il sinologo immagina di portarci nella Pechino nel 1780, «quarantacinquesimo di regno dell’Imperatore Qianlong, il cui accesso è rigorosamente proibito agli stranieri» (p. 27). Ogni struttura della città, ogni suo elemento è riflesso del cielo, si ispira all’ordine cosmico nella triade Cielo-Terra-Uomo, la sua mappa rispetta l’antica geomanzia dettata dallo Yin e dallo Yang, ma anche dalla legge che disciplina il giusto orientamento delle cose, chiamata feng-sui. Le sue mura sono poderose, potrebbero sfidare al confronto quelle delle più massicce città della storia antica occidentale e uscirne vincitrici. L’architettura difensiva quasi fiabesca lascia già intendere l’indole del popolo cinese: dotarsi di muraglie potenti per difendersi e non essere costretti a fare guerre. 


Foto 1: immagine tratta dal libro

La Città Celeste, sigillata nella sue mitiche mura, è il cuore di quell’ideale di sinocentrico egoismo che ha fatto della Cina il Paese del Contrario. Più di duemila anni prima della nostra èra le grandi linee della sua Storia erano già tracciate e la sua opera originale fondata. Uno spettacolo del genere non aveva eguali e oltrepassava infinitamente quello delle altre società antiche. Per lo spazio di venticinque secoli aveva risolto, da sé sola e per sé sola, tutti i problemi della sua società isolandosi dietro la Grande Muraglia. (p.47)

Pechino è un sistema chiuso e rigorosamente sorvegliato: un immenso sistema di porte murarie la difende da eventuali aggressori esterni e dagli Spiriti malvagi. Nessuno straniero è ammesso, tranne rarissime eccezioni e comunque non può portare con sé carta e penna, nel timore che possa fare rilievi delle mappe della città. Ogni porta è dedicata all’ingresso e all’uscita di merci specifiche e la principale è la Zheng Yang Men, tanto da «venire comunemente chiamata soltanto Men, la Porta», o Porta del Sole: è quella da cui passa l’Imperatore per officiare agli altari principali, o quando esce per i viaggi di ispezione, importanti per far sentire la sua presenza ai cittadini del suo vasto Impero.

Màdaro, con la sua godibilissima penna che alleggerisce un lavoro a dir poco poderoso, più volte in questo viaggio, si sofferma sulla figura dell’Imperatore e ne traccia le pesanti responsabilità: egli è una sorta di padre per il suo popolo, lo guida, amministra con giustizia e con saggezza, ma, come tutti gli abitanti del suo dominio, deve soggiacere alla sovranità assoluta della Legge, la Fa che

è il principio primo e supremo che regola ogni minimo comportamento dentro i confini del Celeste Impero. Tutto è puntualmente codificato nel Codice Penale, una serie di testi ispirati esclusivamente alla punizione, mai al recupero del reietto. (p. 210)

Le punizioni erano variegate e anche brutali, prevedevano anche la decapitazione davanti al popolo, ma il fatto curioso è che il condannato poteva farsi sostituire da qualcuno che si faceva battere con le canne di bambù, ma addirittura anche decapitare, dietro pagamento: non mancava mai il poveraccio che, per dare sollievo alla propria famiglia, si faceva uccidere dietro un’adeguata somma di denaro. Le punizioni corporali e la pena di morte non erano però riservate ai Mandarini, alti funzionari di Corte, depositari della cultura, dei riti e delle leggi, né tantomeno all’Imperatore. Chi era sospettato, nel caso dei primi, di abuso di potere o, nel caso di un Imperatore, non era riuscito a farsi amare e rispettare dal popolo, venivano allontanati oppure, in qualche caso, con grande rispetto e garbo, si donava al reo un cappio di seta, un invito al suicidio. I suicidi non erano rari in un Paese che prevedeva punizioni spietate e brutali, come lo scuoiamento da vivo che poteva durare anche due giorni: si moriva dissanguati tra gli strazi più atroci.

Ogni aspetto dell’esistenza è governato dalle leggi immutabili dello Stato, considerato il bene supremo che su tutto vigila e su tutto giudica. Questi concetti devono essere compresi da chi, fuori dalla Cina, volesse capire quel mondo così diverso, e per certi aspetti opposto ad altre culture, specie a quelle occidentali. Il “mondo cinese” è un continuum, per oltre venticinque secoli, di una visione che sta alla base culturale di un pensiero sviluppatosi separatamente dal resto del mondo. (p. 138)

Màdaro ci racconta l’affascinante storia della principessa turkmena, Xiang Guifei, che rifiutò le sue grazie all’imperatore Qianlong, tanto da farlo ammalare d’amore: non si sa se la principessa profumata, così è passata alla storia, sia morta giovane per una terribile malattia o sia stata istigata al suicidio dall’Imperatrice Vedova, eventualità non tanto remota, a quei tempi. 

Foto 2: immagine tratta dal libro

L’autore ci introduce nelle stanze dove vengono preparate le concubine dell’Imperatore all’arte del piacere, in quelle degli eunuchi e ci racconta la loro storia, le loro speranze. Siamo al fianco dell’imperatore ad officiare il culto degli antenati, unica vera “forma di religione” cinese.

Ciò che più conta è però far pervenire allo spirito del defunto il sentimento del buon ricordo e la generosità delle offerte, soprattutto i soldi (falsi) bruciati per la circostanza, e le immagini di cose che probabilmente egli desidera nell’aldilà, che in definitiva sono quelle a cui era affezionato da vivo. Nel mondo dei morti essi continuano una esistenza da Immortali, sempre pronti a soccorrere i famigliari, a intervenire in loro aiuto, a vigilare sulla buona sorte e a gioire di come sono ricordati e amati. Nulla è più naturale e rassicurante di questa certezza. (p. 325)

In Pechino imperiale veniamo a conoscenza della Cina e della sua civiltà millenaria, più antica di quelle occidentali, per certi aspetti molto distanti dalla nostra visione del mondo, ma che presenta anche delle somiglianze e dei punti di contatto. In particolare durante il regno di Qianlong, l’imperatore più amato di tutti, ci fu la massima apertura verso gli stranieri, soprattutto verso i gesuiti, come padre Matteo Ricci e Giuseppe Castiglione, da Màdaro citati tante volte nel libro.

Interessantissime le pagine dedicate allo svolgimento degli esami per diventare dignitari di corte, ossia Letterati, piene di sdegno quelle che parlano delle “guerre dell’oppio” e dell’invasione franco-inglese che distrusse il meraviglioso “Palazzo d’estate” coi suoi tesori e il bellissimo e irriproducibile Giardino dello splendore perfetto, ancora sognato con immensa malinconia dai Cinesi. La storia delle “due guerre dell’oppio”, in Cina studiata normalmente nelle scuole, da noi è quasi sconosciuta, perché è una delle pagine più vergognose della storia europea.

La narrazione del libro ha inizio con la fondazione della città da parte del suo Imperatore-architetto Yongle intorno al 1406-1424, alla distruzione del Palazzo d’estate e la seconda guerra dell’oppio, avvenuta nel 1860.

Una lettura meravigliosa che aiuta a scoprire, e quindi anche a comprendere, questo immenso Paese che percepiamo così distante.

I viaggi degli Imperatori e la loro documentazione narrata, disegnata e dipinta, sono anch’essi prova di come la cultura del ricordo ha permeato un pensiero apparentemente diverso. Se è vero, come penso, che la mancanza di tradizioni è barbarie, nel nostro viaggio attraverso una “non così antica” Pechino imperiale possiamo trovare risposte anche per il presente. E forse ancora più per il futuro. (p. 114)


Marianna Inserra