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Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre

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L'essere e il nulla
di Jean-Paul Sartre
ilSaggiatore, gennaio 2023
 
Traduzione di Giuseppe Del Bo
Prefazione di Massimo Recalcati

pp. 744
€ 28 (cartaceo)


Fare una recensione di Sartre, non si può. Sarebbe abuso di supponenza, peccato di hybris. Farne nuove edizioni, però, con prefazioni eccezionali e traduzioni aggiornate, si può e forse si deve: l’ha fatto ilSaggiatore, che a gennaio ha ripubblicato quella che è considerata l’ultima opera-monumento della filosofia moderna. Con la traduzione di Giuseppe Del Bo e la prefazione di Massimo Recalcati, questo classico dell’esistenzialismo torna in libreria più fruibile, più comprensibile anche a chi non mastica abitualmente la filosofia. L’essere e il nulla si colloca in una tradizione che deriva dal pensiero di Heidegger, di Kierkeegard e di Husserl. Il titolo dell’opera è già geniale di per sé, perché contiene gli unici due poli di cui, in fondo, ogni filosofia come ogni antropologia deve occuparsi: la vita dell’uomo, con tutti i valori morali e sentimentali che la arricchiscono, e la pulsione di morte, quel nulla col quale ci dobbiamo sempre confrontare. L’ontologia di Sartre, però, interpreta questi poli in maniera originale e si distanzia dal pensiero dei colossi che l’hanno preceduto: la tesi centrale dell’opera sartriana è che «l’esistenza precede l’essenza», vale a dire che non c’è una concezione dell’”umano” che preceda la vita del singolo individuo, calato nella contingenza dell’epoca e dell’ambiente sociale in cui nasce. Ecco perché l’esistenzialismo di Sartre «è un umanesimo»: l’uomo nella sua realtà concreta è il fulcro dell’esistenzialismo di Sartre, che non può ignorare il corpo, mentre parla dello spirito. 
Ma l'essere non è né una qualità dell'oggetto afferrabile fra le altre, né un senso dell'oggetto. L'oggetto non fa richiamo all'essere come a un significato: sarebbe impossibile, per esempio, definire l'essere come una presenza – anche l'assenza rivela l'essere perché non essere la è pur sempre essere. (p. 15) 
Non può ignorare neppure ciò che definisce l’uomo – e che lo distingue dall’animale: la libertà di scegliere, e il desiderio. Anche a questi concetti – dopo temporalità, trascendenza, in sé e per sé – Sartre dedica abbondanti capitoli. La libertà, per cominciare, è tutt’altro che libera, perché l’uomo per Sartre non ha libertà di scegliere le coordinate in cui nasce; e, nonostante ciò, non c’è determinismo nella vita umana, c’è solo la non finitezza della libertà, che si estende lungo tutta la vita umana e infesta ogni suo giorno. C’è una punta di Kierkegaard nel Sartre che afferma che dalla scelta non si fugge, perché anche non scegliere significa schierarsi, e che dunque la libertà si configura come una condanna: ma c’è qualcosa di più, qualcosa dell’uomo impegnato di pieno Novecento quando scrive: 
La conseguenza essenziale delle nostre precedenti osservazioni è che l’uomo, essendo condannato a essere libero, porta il peso del mondo tutto intero sulle spalle: egli è responsabile del mondo e di se stesso in quanto modo d'essere. Prendiamo la parola responsabilità nel suo senso banale di «coscienza (di) essere l'autore incontestabile di un avvenimento o di un oggetto». In questo senso la responsabilità del per-sé è molto grave, perché è colui per cui succede che c'è un mondo. (pp. 628-9) 
Nel trattare del desiderio, invece, Sartre si confronta con il padre della psicanalisi, Freud, contestando apertamente la natura sessuale del desiderio da lui tratteggiata. Il desiderio non può essere sessuale perché non è in primis rivolto all’Altro: secondo Sartre il desiderio primario è il desiderio di essere Dio, ovvero desiderio della paradossale e ontologicamente impossibile riunificazione tra essere e nulla. Questo è il cuore pulsante dell’opera, nel quale trova posto anche la “pulsione di morte” freudiana: il paradosso del desiderio per come lo concepisce Sartre è che, se potesse realizzarsi, porterebbe alla risoluzione delle mancanze dell’essere – che così fortemente caratterizzano l’umano – e, in definitiva, annullerebbe la soggettività stessa. Desiderando essere Dio, ovvero il Tutto, l’uomo desidera il Nulla: 
È come se il mondo, l'uomo e l'uomo-nel-mondo non giungessero a realizzare che un Dio mancato. È dunque come se l’in-sé e il per-sé si presentassero in stato di disintegrazione in rapporto a una sintesi ideale. Non che l'integrazione abbia mai avuto luogo, ma invece precisamente perché essa è sempre indicata e sempre impossibile. (p. 707) 
Recensire Sartre è impossibile, è blasfemo, ma leggerlo è cosa buona e giusta, se si vogliono comprendere il pensiero moderno e le basi filosofiche dell’uomo del XXI secolo. E poi, il libro, con le sue 700 pagine e una copertina da urlo, fa un figurone in libreria.

Michela La Grotteria