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"Mille micce pronte a esplodere": il romanzo straziante di Jacqueline Roy per Giulio Perrone Editore

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Canta ancora, ragazza
di Jacqueline Roy
Giulio Perrone Editore, novembre 2022

Traduzione di Marta Olivi
Prefazione di Bernardine Evaristo

pp. 320
€ 20 (cartaceo)


Ovunque guardo, mi si para davanti il futuro. Cartelloni. Pubblicità. Tutto parla del domani. Ma la cosa buffa è che da quando mi hanno messa in ospedale il tempo per me si è fermato, mi hanno strizzata come una spugna e il futuro è gocciolato via. Ormai è tutto passato e presente, come se il futuro non esistesse. (p. 18)
Anni '90, Gran Bretagna, un ospedale psichiatrico e due donne, malate, nere, in lutto.
Questo romanzo di Jacqueline Roy edito da Giulio Perrone Editore e tradotto in modo impeccabile da Marta Olivi presenta diverse sfide, in primis per la casa editrice, in secondo luogo per il lettore stesso: la storia parla di persone di colore, Gloria e Merle, la prima grassa, lesbica e rumorosa, la seconda esile, fuori di sé, abusata, di fatto spinta a diventare pazza. Non è cosa semplice innescare tutte queste piccole micce in un solo libro, ma l'autrice, ingiustamente poco nota, una delle voci della Black Britain, lo fa con grazia e intelligenza: malattia mentale, donne di colore, obesità, anoressia, allucinazioni, assenza di un futuro, violenze.
Gloria, circa cinquant'anni, affronta il suo personale lutto e canta ad alta voce per fermare quel dolore che le vuole mangiare il petto. Si tratta di una donna e di una paziente scomoda: è grassa, urla, ride, grugnisce, esaspera quei lati gioiosi del suo carattere in modo teatrale, cosicché tutti dentro all'ospedale si ricordino ogni giorno che lei esiste.
Forse è questa la cosa più spaventosa di essere matti. Che se non stai attento, inizia a piacerti. (p. 110)
La voce di Gloria è il giusto contraltare ironico e caustico che ci permette di affrontare la parte di Merle: già, perché la narrazione corre su due binari narrati in prima persona, alternando prima il racconto di Gloria e poi quello di Merle. Se il tono della prima è volutamente frizzante, quello della seconda è uno strapiombo vertiginoso: anche qui, viene presentata un'altra miccia pericolosa, ovvero le diverse voci che Merle sente nella testa e che sulla pagina vengono trasposte con un carattere diverso. Non ve n'è solo una, ma anche una seconda, in grassetto corsivo, che rappresenta più che altro ciò che il suo io razionale (o almeno, che ci prova a essere razionale) traduce in forma di parole su un taccuino, una sorta di diario della follia
"Una volta che i farmaci inizieranno davvero a fare effetto, ti sentirai meno confusa. Perché non scrivi qualcos'altro? Prova a dirci come ti senti."
Sento. Non sento. Sono diventata una pietra. Niente mi separa dalle cose. Sono ogni cosa, sono tutto.
L'infermiera leggerà queste parole e penserà che è matta ma non le importa, lei le scrive lo stesso. (p. 112)
Grazie alle voci interiori di Merle capiamo di più chi è, cosa ha vissuto, perché è finita in internamento involontario. Una di queste in particolare è cattiva, la offende, la insulta, la fa sentire una nullità, e non è altro che la rabbia nei confronti di se stessa che trova sfogo come vocina dissennata. Se Gloria ci parla in modo lineare, composto, della sua vita da donna nera e lesbica, da donna disordinata ma amante della vita, Merle ci trascina nell'oscurità dei suoi drammi, facendo luce gradualmente sul rapporto tremendo col padre, poi con l'ambiguo (e, secondo il mio punto di vista, odiatissimo) Clyde, e infine sulla perdita che ha causato il tracollo. Due lutti quindi, di entità diverse, che paiono (ma potrebbe non essere così immediato) essere causa scatenante della pazzia delle due.
Faranno certamente amicizia, svelandoci i retroscena incredibili che si nascondono dietro le quinte di un reparto psichiatrico, i maltrattamenti, le gentilezze, i farmaci, le sedute con i medici, tutti dettagli che regalano credibilità e un tormento necessario alla storia.
Non ci trovo un senso, Perché mi hanno fatto questo? Perché essere piani di vita è così sbagliato? ora che mi sento mezza morta vengono a dirmi che sto meglio, In che casino di mondo viviamo, mi chiedo. (p. 173)
Non mi sento di dire che i racconti di Gloria e Merle siano un percorso di redenzione. Le donne non hanno nulla di che pentirsi: sono semplicemente due persone colpite duramente da eventi tristi della vita, che hanno incassato in modo imprevisto. Gloria ha risposto alzando la voce, accelero, corro, spingo via la tristezza così non la sento più, Merle chiudendosi in se stessa, per paura di essere ancora controllata, spiata, comandata, giudicata. 
Il racconto è inevitabilmente struggente, umano, vero. Il ritmo è dettato dai due toni completamente diversi che caratterizzano le protagoniste stesse, divertente/enigmatico, per le quali non si può non provare empatia. Ho apprezzato particolarmente la parte in prima persona (anzi, in prime persone) di Merle perché resa con un pathos e una straziante ricerca di sé, un ritrovamento essenziale per recuperare almeno una parvenza di sanità mentale.
Una lettura azzeccata per chi ama i romanzi in prima persona e le storie che fanno piangere.

Deborah D'Addetta