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«In un romanzo pochissime cose sono esattamente come appaiono, e se ci pensate, in realtà non appare quasi niente»: "Il demone di Maxwell" di Steven Hall

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 il demone di maxwell il saggiatore



Il demone di Maxwell
di Steven Hall
Il Saggiatore, 2022

Traduzione di Luca Fusari

pp. 340
€ 23,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)



«L'unico modo di uscirne è passarci attraverso» (p. 201): forse questa è la soluzione per riuscire a mettersi in contatto con Steven Hall e il suo Il demone di Maxwell, ma non ne sono del tutto certa.

Thomas Quinn, narratore e protagonista del libro, è un fallito. Egli vorrebbe essere uno scrittore di successo, ma è davvero difficile quando anche tuo padre, presumibilmente defunto, è stato uno dei più grandi scrittori del nuovo secolo, per non parlare del suo erede spirituale, un certo Andrew Black, autore e genio del thriller best seller Il motore di Cupido. Due grandi talenti intasano il presente di Quinn, che si ritrova in un vortice di ossessione e allucinazione: la segreteria telefonica pare registrare la voce del genitore morto, e Black gli invia una polaroid che immortala una piccola sfera nera, e sul retro a penna una sola e semplice domanda: A te cosa sembra?

L’inspiegabile e il caos, all’improvviso, piombano nella vita senza senso di Thomas, che inizia a sciorinare riflessioni ed elucubrazioni scientifiche e filosofiche su argomenti disparati: l’entropia, l’apocalisse, l’esistenza o meno del bue e l’asinello nel presepe, e il vero aspetto dei cherubini. Tutto è un turbinio di pensieri che svolazzano come foglie morte rinsecchite dall’autunno, e che imperversano fuori dalla finestra di casa sua e sulle pagine del libro (strani elementi tipografici e annotazioni a forma di foglia ci confondono, come fossimo finiti in una scatola letteraria postmoderna, nulla a che fare con i calligrammi del poeta Guillaume Apollinaire).

Il lettore è disorientato, a tratti infastidito da quella narrazione in prima persona e da quel costante rivolgersi al pubblico suo malgrado intrappolato con Quinn in un mondo senza tempo, fatto di carta e di personaggi stereotipati ascrivibili a generi letterari precisi. Eppure Il demone di Maxwell di Steven Hall, nonostante ci abbia catturati nella sua rete, non si lascia osservare, tantomeno analizzare. La trama è solo il punto di partenza per un’altra storia, e ancora un’altra narrazione; una cosa ne diventa un’altra, continuamente. Esso è il vertigo hitchcockiano di Hall, è la sua entropia.
Proprio per questo motivo, Thomas Quinn sviluppa una dipendenza cronica, una pulsione verso l’ordine intimo e apparente. Come quei libri e tomi impolverati sistemati con maniacale dedizione sugli scaffali della sua libreria, che una volta scelti si spiegano con le loro pagine «piene, così piene che quasi ne rimangono cancellate, di cambiamenti, espunzioni, e centinaia e centinaia di ordinatissime note e correzioni, scritte a mano a penna nera con la punta fine» (p. 20). Un ordine, quello di Quinn, fatto di smodatezza, di ricerca continua che non raggiunge mai un reale risultato, poiché «quando dico ordine parlo dell'ordine in tutto il suo buon vecchio splendore ottocentesco newtoniano, con cappello a cilindro e baffi a manubrio: le cose giuste che accadono nelle parti giuste della struttura giusta al momento giusto, in maniera e prevedibili e sistematiche, sempre e per sempre» (pp. 109-110). Ed è secondo questa considerazione che il libro, la letteratura è un motore perfettamente funzionante di cose che accadono per intimo piacere e desiderio dello scrittore, lontanissimo dalle dita e dagli occhi dei lettori. Pertanto, la narrativa è soltanto un inganno senza tempo, tuttavia ordinato.
«L'autore stabilisce a quale velocità far viaggiare il lettore, ma l'autore non viaggia a quella velocità. E’ un altro trucco. La relazione temporale dello scrittore con il testo e quella del lettore distano diversi ordini di grandezza: per quanto riguarda la loro relazione con il libro, si muovono nel tempo a velocità clamorosamente diverse. Perciò, se al lettore sembra che un personaggio abbia sfoderato una risposta sagace buttandola là, dobbiamo ricordare che l'autore potrebbe avere impiegato mesi per scrivere e riscrivere quell'unica breve frase, prendendosi tutto il tempo necessario per mettere al posto giusto ogni lettera e segno di punteggiatura» (p. 116).
Quanta insoddisfazione da tali parole, lasciatemelo dire. Quasi si è sul punto di aver raggiunto il limite di insofferenza per le ovvietà e le confessioni a guisa di “caro diario” di Quinn, che Hall inaspettatamente sconvolge i piani del suo libro-motore. Un’altra storia prende il posto di quella precedente. Il narratore-protagonista si racconta in terza persona, poi in prima, poi ancora in terza. La trama ora è criptica. Thomas Quinn non è più chi credeva di essere; Andrew Black non scrive ma costruisce modellini in scala di case di bambole e castelli spettrali, ed è convinto di aver incontrato i veri Don Chisciotte e Sancio Panza. La finzione si fa reale, e il reale diviene inattendibile, non più autentico. Tutti i personaggi che parevano piatti e archetipici si fanno dinamici e complessi. I ruoli si scambiano, si mischiano come quelle foglie arancioni e gialle sollevate da una bufera improvvisa. «Il succo, direi, è che i romanzi, anche i più semplici, sono infidi. In un romanzo pochissime cose sono esattamente come appaiono, e se ci pensate, in realtà non appare quasi niente. Chi legge Il signore degli Anelli non vede Frodo, non sente Gandalf parlare. Ne è convinto, ma è un trucco. In realtà non vede altro che file di simboli scuri su una superficie chiara, in realtà non sente nulla» (p. 115).

Ma non fatevi illusioni a riguardo. «Una comprensione a tutto tondo non è possibile. Mettere davvero a fuoco non si riesce; al massimo si può cogliere sul piano concettuale la possibilità di mettere a fuoco» (p. 183).

L'unico modo di uscirne è passarci attraverso.

Olga Brandonisio