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Intorno a un grande fiume: il nuovo romanzo di Giulio Pedani

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Grande fiume senza cuore
di Giulio Pedani
Effequ, novembre 2022

pp. 280
€17,10 (cartaceo)
€ 7,99 (eBook)


Secondo romanzo dopo l’Iguana era a pezzi (Effequ, 2019), Grande fiume senza cuore è un’opera che parla di storie di persone comuni, avvicinati dalla presenza nella loro vita di un grande fiume, chiamato ora il Gigante, ora, secondo il tratto del suo percorso, Fiume bianco.
È il fiume che dà il titolo al romanzo e che, fuori da ogni epiteto, è identificabile nel nostro Po, come risulta anche alla cartina muta presente all’inizio delle pagine della storia. Non è necessario - sembra dire Pedani - indicare i nomi delle cose, delle città o di alcuni personaggi, poiché essi rappresentano l’archetipo, un modello riscontrabile nella realtà, una realtà che per certi aspetti trascende il tempo.
Il Gigante è qualsiasi fiume, qualsiasi elemento della natura oltraggiato dall’urbanizzazione spietata, dagli sversamenti di liquami tossici o maleodoranti, dalle centrali idroelettriche che, da un lato assicurano certamente posti di lavoro, ma a quale prezzo? Giacca Azzurra, che attraversa solo qualche pagina del romanzo, incarna tutti quei giovani infelici, quegli emarginati della società e vittime della droga che cercano di iniettare nelle loro vene quell’elisir di temporaneo di paradiso.
La vena non l’aveva presa subito. Negli ultimi mesi lo spazio sul braccio era diminuito. Ma al secondo tentativo ce l’aveva fatta. E a quel punto niente freddo, niente muffe sul muro, niente affitto, niente lavoro, niente fughe dai locali inseguito dai baristi, niente pestaggi, niente di niente, nemmeno Ferrone che lo sbatteva fuori dall’Audi e lo lasciava tra i campi con meno cinque gradi, in mezzo alla nebbia gelida delle marane, niente di niente, solo un grande calore che sbocciava da dentro, come godere dentro un fuoco, come dormire in paradiso. (p. 57)

Il Regio, che conosciamo da subito nel capitoletto introduttivo, è un anziano signore che ha trascorso la vita su una barca, a pescare e a contemplare il Gigante e rappresenta lo spartiacque tra mondo rurale e mondo tecnologico.

Fanno eccezione a questa sorta di anonimato, i personaggi principali che, invece, hanno un nome: Altea, Miro, Fogliani detto il Muto. La prima, all’epoca dell’inizio della storia, datato 1986, ha dodici anni e la vediamo assistere tra il fascino e il disagio, al “rito” della macellazione di un maiale insieme agli abitanti adulti della piccola comunità della Cascina. Altea è una bambina diversa dalle coetanee, è più forte, più matura con una personalità da subito ben definita. In queste pagine in cui facciamo la sua conoscenza, campeggia il rito violento e fecondo dell’uccisione di un maiale. È un momento atteso da tutti gli abitanti del villaggio ed è il passo più violento del libro, che mette a dura prova anche i lettori meno sensibili. È intento dello scrittore quello di colpire la nostra sensibilità e quel senso di colpa si insinua in noi e anche nella piccola Altea che

era orripilata dalle atrocità dello spettacolo, ma intanto lo guardava; non avrebbe mai voluto che l’animale morisse, eppure ne avrebbe mangiato con gusto le carni, una volta purgate di ogni traccia di violenza e trasformate in pietanze profumate. (p. 19)

Miro, che durante l’arco della narrazione, incontrerà Altea più volte, in vicissitudini diverse, all’inizio del romanzo è un adolescente disadattato, timido, insicuro, un giovane atleta che però decide di lasciare la sua squadra, non più disposto a vivere una vita fatta di competizione spietata e di amicizie imposte. Bullizzato dai compagni di scuola, dopo una breve, ma intensa amicizia col Regio, nonno di Altea, trova sé stesso nella musica e diventerà batterista. L’occasione che farà incontrare Altea e Miro sarà proprio una festa: da semplici conoscenti, poiché abitanti della stessa comunità, diventeranno più che amici e nel corso della narrazione, vicissitudini disparate li porteranno sempre l’uno nelle braccia dell’altro. Altro personaggio, forse il più interessante e positivo è il ragazzo muto, conosciuto anche per il suo cognome: Fogliani. È di un anno più giovane di Miro, è una figura  positiva, intelligente che sa fare qualsiasi lavoro, impara velocemente ed eccelle nelle attività manuali:

La testa rasata, le ciglia spesse sotto le quali a volte luccicava il giallo scuro delle iridi, il corpo scolpito, il silenzio e le abilità artigiane lo rendevano una figura carismatica, rassicurante, e averlo vicino era gradevole per tutti. Fogliani sapeva osservare ogni dettaglio, ma non lo giudicava mai se non per quel che effettivamente era. Non dispensava opinioni, ma offriva il suo apporto prima che se ne manifestasse il bisogno. Era una compagnia discreta, preziosa come il fuoco stesso. Nessuna sua azione tendeva a dimostrare alcunché, nessun gesto altruista aveva lo scopo di ingraziarsi gli altri. Fogliani era a sua insaputa un eremita, e la sua autenticità lo aveva reso una presenza indispensabile. (p. 131)

Tutta la storia si svolge nell’arco di un venticinquennio, dal 1986 età del boom del consumismo e dell’ urbanizzazione, al 2011. Le parti narrate e quelle dialogate sono ben proporzionate tra loro, non ci sono flashback, ma solo salti temporali in avanti. Si tratta di un romanzo ben strutturato che lascia spazio anche a pagine di viaggio (Altea e Miro si sposteranno in Asia). 

La penna di Pedani è cristallina, ma sa anche trovare punti di suggestione: la meravigliosa atmosfera dicembrina delle prime pagine, evocata con i suoi profumi  e le sue dense nebbie che quasi il lettore sente sotto il naso, il fiume che campeggia con i suoi colori, tratteggiato ora come un vecchio saggio e stanco ora come una forza vitale e possente che rovescia i perversi meccanismi dell’antropizzazione pirata dei suoi ambienti.

Grande fiume senza cuore è un romanzo dalla vena ecologista, che può coinvolgere per la storia d’amore e  dei legami forti tra i personaggi, fa riflettere e fa anche indignare per gli affari loschi della mafia che ogni anno sversa nei fiumi tonnellate di scorie radioattive e liquami, con la complicità degli Stati che fanno finta di non saperlo, fanno rabbia le storie sull’utilizzo dei fondi statali per le bonifiche finiti nella costruzione di centrali idroelettriche che non rispettano i parametri di ecosostenibilità.

L’uomo non ha capito che <<la corsa al benessere era stata una geniale truffa contro sé stessi>> (p. 91): la Natura ci ha dato tutto quello di cui potevamo avere bisogno, sarebbe stato opportuno solo modificare qualcosa per migliorare comodità e accesso alle risorse, ma si è comportato e si comporta ancora come se veramente potesse sfidare e piegare gli equilibri naturali a suo piacimento. Non sarà certo la Natura, ad estinguersi su questa Terra, ma l’uomo.

Eppure era proprio mentre lo vedeva fragile, sporco e dimenticato, che Miro ne sentiva le pulsazioni; il gigante aveva resistito agli ultimi decenni, e non sarebbe morto mai. Veniva prima degli umani, e agli umani sarebbe sempre sopravvissuto. (p. 225)


Marianna Inserra