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«Io sono vivo, voi siete morti»: vita e disperazione di Philip K. Dick nella biografia di Emmanuel Carrère

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Io sono vivo, voi siete morti
di Emmanuel Carrère
traduzione di Federica e Lorenza Di Lella
Adelphi, 2022 

pp. 382

€ 14 (cartaceo tascabile)

€ 7,99 (ebook)


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Dick disse di essere convinto che uno scrittore non inventa mai niente: si limita a scoprire delle verità che aspettavano solo di essere portate alla luce, e sono quelle verità a trovare il loro «inventore», non il contrario. (p. 351)

Questo libro, la cui edizione economica «Gli Adelphi» ha visto la luce nel settembre di quest’anno, è stato pubblicato in Italia nel 2016. La versione originale è datata 1993. Quando Carrère – che, potremmo dire, all’epoca era ancora "agli esordi" avendo all’attivo pochissime pubblicazioni – scriveva della vita di Dick, lo scrittore statunitense era morto da appena undici anni. In quegli undici anni, a leggere le ultime pagine di Io sono vivo, voi siete morti, erano già state pubblicate tre biografie. Dick non è uno di quei casi letterari postumi, anzi: già in vita aveva raccolto intorno a sé uno stuolo di adepti, molti dei quali andavano al di là dell’apprezzamento meramente letterario e si interessavano piuttosto alle sue teorie sul mondo e sulla realtà. Navigando sui social media, e in generale su Internet, possiamo notare che molte delle teorie che Dick ha contribuito a rendere famose sono ancora in auge: dalla sostituzione di alcuni esseri umani con degli androidi all’idea che la razza umana sia stata trapiantata sul pianeta Terra da civiltà extraterrestri, le teorie del complotto si sprecano.

Philip K. Dick era una mente complicata. La sua storia familiare non ha aiutato, così come l’uso di droghe – gli anni Sessanta sono stati l’epoca dell’LSD – ma da quello che emerge dalle pagine di Carrère possiamo presumere che Dick fosse naturalmente predisposto verso un certo tipo di pensieri; pensieri che le compagnie frequentate e le droghe assunte non facevano altro che rafforzare. Ciò che emerge sin dai primi capitoli infatti è il fascino esercitato dalla personalità di Dick. Nonostante un carattere di difficile gestione era sempre circondato da figure femminili in grado di supportarlo – e sopportarlo – e da amici e colleghi attratti dalla sua figura e da quello che potremmo definire il Dick-verse, ossia un mondo in cui le regole e i personaggi da lui inventati prendevano vita e travalicavano, come si è detto, l’ambiente letterario.

È stato bravo in questo senso il “giovane” Carrère a collegare i testi di Dick con la sua vita privata. Vi sono autori che scrivono romanzi che nulla hanno a che fare con gli accadimenti quotidiani: sono autori che riescono a gestire la scrittura come una professione tout court, trattando i temi a cui sono interessati in modo distaccato. Scrivono, e quando poi il libro esce è chiara la loro voce all’interno del testo, così come è chiaro che ciò che hanno creato è un’opera di pura finzione. E ci sono poi autori, come Dick, che traggono ispirazione da quel che gli capita durante il giorno. Se questo non è un evento raro in ambito letterario – o artistico in generale – è pur vero che il codice con cui si raccontano i propri fatti privati può essere più o meno semplice da affrontare. Dick ha scelto la fantascienza, che trova al centro una domanda fondamentale, quel “What if” in grado di generare mondi paralleli, futuri incredibili e presenti distopici. È il metodo utilizzato per creare La svastica sul sole, ad esempio: cosa accadrebbe se tedeschi e giapponesi avessero vinto la seconda guerra mondiale? È anche quello utilizzato per La penultima verità: cosa accadrebbe se i potenti del mondo inventassero un’apocalisse solo per spartirsi le risorse del pianeta?

Dick utilizzava questa domanda, “Cosa accadrebbe se”, per impostare l’impalcatura dei propri romanzi, che poi infarciva delle proprie ossessioni e dei propri dubbi – lo Stato ci controlla? La Casa bianca è dominata dai comunisti? Gli alieni sono fra noi? – e colorava tutto con ciò che accadeva fra le pareti domestiche. I personaggi femminili erano spesso copie neanche troppo velate di quelle donne – a volte possessive, altre volte troppo docili – con cui l’autore decideva di convolare a nozze.

I romanzi di Dick erano tutto questo: finzione pura, sì, ma straripante di realtà. Della sua realtà, di ciò che lui credeva essere la realtà. Carrère lo evidenzia bene nella seconda parte della sua biografia: a un certo punto della vita dell’autore c’è un cambio di rotta. Ciò che scrive non è più tratto dalla realtà: è la realtà che diventa parte di ciò che scrive. Come anticipato nella citazione all’inizio di questo articolo, da un certo momento in poi Dick è convinto che ciò che sta scrivendo sia la verità. Il suo obiettivo cambia: non è più interessato a scrivere romanzi di fantascienza, bensì a portare su carta – nero su bianco – le verità nascoste fra le pieghe di questo mondo. La sua missione diventa raccontare i fatti incontrovertibili di cui è a conoscenza, e non importa che sia la presenza degli alieni sul pianeta Terra o la teoria secondo cui l’Impero romano non è mai crollato. Complici probabilmente la lieve forma di schizofrenia diagnosticatagli dallo psichiatra, così come i pensieri ossessivi e paranoici rafforzati dall’uso delle droghe, la vita adulta di Dick è stata un susseguirsi di teorie mistiche e visioni divine, tutte inserite in modo più o meno consapevole all’interno dei propri scritti.

Fanucci, dal 2015, sta portando in Italia tutta la sua opera, compresa quell’Esegesi che è il risultato di anni e anni di infruttuoso lavoro sulla sua più grande ispirazione mistica e trascendentale, e che hanno portato a oltre ottomila pagine di manoscritti. Carrère è stato magnifico nel mescolare elementi puramente biografici a quell’aneddotica che rende tutto molto più interessante, e a colorare soprattutto il proprio testo con una leggibilità che non stanca mai, anche nei momenti più “rilassati” della vita di Dick.

David Valentini