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L'ironia, lo struggimento, il racconto e la miniatura, il quotidiano e l''interiorità: le storie di Lydia Davis tra etichette e confini labili

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Osservazione sulle faccende domestiche
di Lydia Davis
Mondadori, settembre 2022

Traduzione di Adelaide Cioni

pp. 300
€ 20 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Se esiste una forma letteraria che più di altre svicola dalle etichette troppo rigide, questa forma è il racconto. Al di là delle problematiche critiche in cui non ci addentreremo in questa sede, la natura sperimentale stessa del racconto ne fa una forma viva, difficile da inquadrare secondo rigide categorizzazioni. Esempio perfetto della molteplicità di questa forma sono le storie di Lydia Davis, di cui Mondadori ha da poco portato in libreria la raccolta Osservazione sulle faccende domestiche: un centinaio di scritti, alcuni brevissimi altri più articolati, che ben rendono l’idea del perché Davis sia stata definita dalla critica statunitense una “miniaturista”.
A scritture che identifichiamo come racconti si alternano aneddoti, miniature, stralci di lettere, sogni, poesie, di poche righe fino a diverse pagine.
Sotto tutto questo sporco 
il pavimento è davvero pulitissimo (“Osservazione sulle faccende domestiche”, p. 94)
Anche il tono di queste storie è variegato, dall’ironico allo struggente, mentre il confine tra presenza autoriale e invenzione letteraria è sempre più labile e superfluo. Ciò che più di ogni cosa lega le storie di Davis, non solo quelle di questa raccolta ma che ne caratterizza l’opera intera, è l’interesse per il quotidiano, scandito dalla routine, dal dettaglio banale che sulla pagina prende corpo e ragione e che ne spiega l’accostamento ad autrici dall’esperienza simile come Lucia Berlin, Amy Hempel, Grace Paley. È l’interiorità dei personaggi il centro nevralgico delle storie, la mente in continuo fermento, l’emotività più importante dell’azione.

Ciò che cattura l’attenzione di Davis nelle storie qui radunate è quindi il dettaglio del quotidiano, molto spesso rappresentato da un oggetto specifico che apre alla narrazione, al ricordo, alla riflessione; piccoli oggetti a forma di foca, regalati negli anni, sono per esempio il veicolo con cui attraversare la memoria e indagare il lutto, la perdita, la mancanza.
Mi manca così tanto. Forse le persone ti mancano ancora di più quando non riesci a capire bene che rapporto avevate. Oppure quando sembrava incompleto. (“Le foche”, p. 145)
Nello scandagliare le emozioni, Davis racconta la varietà di queste, le contraddizioni, la confusione, ed ecco come il confine tra personale e universale diventa sempre più labile e non necessario. Il lutto per la perdita della sorella comprende l’indagine sul passato condiviso e il punto di vista sempre soggettivo e parziale su ogni esperienza; i sentimenti sono complessi, così come la mancanza e il tempo stesso che viene scandito da quanto ci allontana dalle persone che abbiamo amato.
A volte il dolore mi stava vicino, come in attesa, si teneva appena un passo indietro, e per un po’ riuscivo a ignorarlo. Ma altre volte era come una tazza che rimane piena e continua a traboccare. (“Le foche”, p. 162)
Osservatrice attenta, le storie di Davis sono ricche di dettagli inaspettati: pochissimi i nomi e i riferimenti precisi, abbondano invece certi particolari, i piccoli oggetti di uso quotidiano e il mistero che rappresentano, pur senza mai divagare inutilmente o dare spazio a descrizioni astratte, per focalizzare invece l’attenzione sul movimento, sulle sensazioni suscitate. La mente in perpetuo movimento, pronta a catturare il ricordo scatenato da un oggetto banale che interrompe la routine quotidiana, a soffermarsi sul caso che scombina le cose.

L’ironia e l’umorismo si alternano e si mescolano alla malinconia e allo struggimento, la scrittura ben salda resa ancora una volta dalla traduzione di Adelaide Cioni, voce italiana di Davis anche nelle raccolte apparse in passato per Minimum Fax e Rizzoli e che si muove abilmente fra registri espressivi diversi. Molto apprezzata tra i suoi colleghi scrittori, da David Foster Wallace a Dave Eggers, la scrittura di Davis  mette alla prova il lettore, per il continuo mutamento di forma e registro, lo spazio bianco della narrazione e le domande sospese, la sperimentazione. Ma se accettiamo il mistero e la sfida che queste storie rappresentano, se vi dedichiamo più tempo di quello necessario alla lettura meccanica di un racconto di poche righe, ecco che forse riusciamo a intravedere l’architettura complessa che si cela dietro gli oggetti quotidiani. Prendiamoci il tempo necessario. Come Davis stessa, mentre osserva l’immobilità apparente di una mandria di mucche.
La loro attenzione è totale, mentre guardano dall’altro lato della strada; sono immobili, e ci osservano. Già solo per il fatto di essere immobili, sembrano avere un atteggiamento filosofico. (“Le mucche”, p. 121)


Di Debora Lambruschini