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Il rovescio del paradiso non è l'inferno, ma la letteratura: "La più recondita memoria degli uomini" di Mohamed Mbougar Sarr

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la più recondita memoria degli uomini


La più recondita memoria degli uomini
di Mohamed Mbougar Sarr
Edizioni E/O, 2022

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

pp. 432
€ 19,50 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Niente potrà tornare a quando il mare era calmo”, intona cantilenante la mia testa a lettura ormai inoltrata de La più recondita memoria degli uomini di Mohamed Mbougar Sarr. Certo, un’associazione piuttosto azzardata quella con Andrea Laszlo De Simone in “Conchiglie”, ma dopo aver letto il libro vincitore del Premio Goncourt 2021 (assegnato per la prima volta a un autore senegalese), tutto ciò che si era convinti di aver capito all’improvviso pare non essere più chiaro.

Eppure la trama è una carezza, di quelle che ti accoglie e ti rassicura a non avere timore, perché in fin dei conti si tratta solo di un giovane ricercatore e scrittore senegalese, Diégane Latyr Faye, che scopre a Parigi un libro, Il labirinto del disumano, pubblicato nel 1938 da un certo T.C. Elimane, anch’egli africano, definito dai critici dell’epoca il “Rimbaud negro”, la rivelazione della letteratura nera, che mai nessuno è riuscito a incontrare, vedere, capire chi e cosa avesse illuminato il suo genio. E cosa c'è di più eccitante per un giovanotto emergente della letteratura afro-francese di ritornare sulle tracce del misterioso Elimane?
Il soggetto è semplice, quasi insignificante, se non fosse che tra il principio e la fine del libro la linea essenziale dello svolgimento dei fatti diviene viscere cocenti e palpitanti.

Il romanzo assume via via i caratteri di un creatura multiforme, chiara nelle sue figure ma maledetta nella sua comprensione. T.C. Elimane ha lasciato all’universo intellettuale un unico pezzo di letteratura, un solo libro, inintelligibile e incompleto. L’incipit è una profezia: un re vuole il potere assoluto ma per averlo deve ammazzare tutti gli anziani. Mitologia o maleficio?
«Elimane è stato una specie di primo uomo che, bandito dal paradiso, è riuscito a trovare rifugio solo in quello stesso paradiso, ma nella faccia nascosta, nel rovescio. Qual è il rovescio del paradiso? Ipotesi: il rovescio del paradiso non è l’inferno, ma la letteratura» (p. 88).
La fievole torcia che illumina quella parte rovesciata del regno dei cieli ci conduce nell’abisso del solitario, di incubi ancestrali e allucinazioni sinistre, di una vita passata e di un futuro di cui siamo già nostalgici ancor prima di averlo vissuto. Il lettore ha sintomi claustrofobici, ritrovandosi a trascinare i fardelli dell'umanità: il recupero del passato, il ritorno e l'affannosa ricerca della singolarità. Quella che Sarr porta alla luce è una narrativa in cui il mistero permane tutto intero. Eppure Diégane si sforza di puntare un faro su quella zona d’ombra, inseguendo «la pista delle parole come un cane da caccia, un detective, un uomo geloso» (p. 100). Egli raccoglie testimonianze, interviste, biografemi, ritagli di articoli di giornale e recensioni dell’epoca della pubblicazione del Labirinto del disumano, ma tutto diviene sempre più contorto, più martellante e incantatore come il suono dei tamburi che accompagnano lo spirito Kumpo (danza tradizionale senegalese).
Diégane è avviluppato nel maleficio ancestrale di Elimane. Il passato diventa ossessione e dolore, perché dà all’uomo «la coscienza tragica dell’indefettibile e dell’irreparabile. [...] La paura del passato porta solo il peso della propria inquietudine, e neanche i rimorsi o i pentimenti bastano a modificare il carattere irrevocabile del passato, ne confermano anzi l’eternità. Non rimpiangiamo soltanto ciò che è stato, rimpiangiamo anche e soprattutto ciò che sarà per sempre» (p. 190).

La più recondita memoria degli uomini è uno studio antropologico dell’Antico Testamento, un libro che appartiene a una letteratura altra, palpabile eppure inafferrabile. Ha le sembianze di una preghiera miracolosa che vuole in cambio qualcosa, non un ringraziamento eterno, ma il principio vitale dell’uomo, l’anima. Esso è una possessione demoniaca, è la paura delle origini, è la manifestazione della vita e dei suoi imprevedibili percorsi, è magia nera e misticismo. È un caleidoscopio labirintico di registri linguistici, eventi personali, politici e storici, e genealogie familiari. È un “inno alla letteratura” che non cerca «la verità in quanto rivelazione, ma la verità in quanto possibilità, in quanto luce in fondo alla miniera in cui da sempre scaviamo senza lampada frontale» (p. 108).

La più recondita memoria degli uomini «è un quadro che nessuno può illuminare per intero», ma può solo seguire le tracce dello scrittore che ci mostrerà la via dell’uomo o della donna che vogliamo diventare. Mohamed Mbougar Sarr, proprio come T.C. Elimane, ha lasciato in eredità una narrativa immortale, che sarà accompagnata da lettori e critica, e nel tempo che verrà, andrà avanti da sola.
«Il passato ha tempo, aspetta sempre pazientemente all'incrocio con il futuro e lì apre all'uomo, che pensava di essere evaso, la sua vera prigione a cinque celle: l'immortalità degli scomparsi, la permanenza del dimenticato, il destino di essere colpevole, la compagnia della solitudine e la salutare maledizione dell'amore» (p. 418).

Olga Brandonisio