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Scampoli del nostro presente devastato, dove costruire aspettative, speranze e affetti è un grande rischio: "Tasmania", di Paolo Giordano

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Tasmania
di Paolo Giordano
Einaudi, ottobre 2022

pp. 272
€ 19,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Paolo Giordano ha ceduto all'autofiction? Se mi avessero detto ai tempi della Solitudine dei numeri primi o a uno degli incontri in occasione dell'uscita dei suoi libri che sarebbe arrivato questo giorno, probabilmente non ci avrei creduto. E ancora fatico ad accettare che dentro al nuovissimo Tasmania, già molto chiacchierato in rete e tra i titoli più contesi alla Fiera di Francoforte, ci siano delle tessere di privato così intime da far impallidire. E non parlo di scene erotiche, ma di dubbi sul legame di coppia, sul proprio io, sulla solidità di un'idea di futuro che ci si è costruiti a suon di fatiche... Insomma, viene da chiedersi se in Tasmania dietro al P.G. protagonista e io narrante si nasconda davvero l'autore, messosi a nudo in modo così tanto esplicito e così poco piemontese, o se l'omonimia (un personaggio lo chiamerà apertamente "Paolo") e i vari indizi disseminati nel romanzo siano solo sapienti espedienti letterari. 

Quel che è certo è che il protagonista, a quarant'anni, si trova a diffidare di tutto: di sé e dei suoi desideri, del suo matrimonio con una donna più matura di lui, della sua vita sessuale, della sua collaborazione con un giornale,... In poche ma pesantissime parole, a venire meno in P.G. è la fiducia nel futuro. E come biasimarlo, in effetti, quando la nostra cronaca è disseminata di orrori quotidiani? Accanto alle minacce climatiche, il terrorismo, il precariato, le disparità di genere (colte qui in ambito accademico) sono solo alcuni dei tanti fattori che ingrigiscono le giornate del protagonista tra preoccupazioni razionali e paure che si appigliano invece al più atavico desiderio di autoconservazione. A complicare la posizione di P.G., ci si mettono la sua formazione scientifica e l'approccio giornalistico: da intellettuale, è una forma mentis, per lui, indagare le cose, cercare quelle parti di verità (o perlomeno quelle teorie) non ancora divulgate e provare a fare chiarezza. È, almeno inizialmente, con queste finalità che P.G. si trova ad avvicinarsi a Novelli, accademico singolare e studioso irregolare, a Curzia, giornalista che si occupa di terrorismo, al sacerdote Karol, che problematizza il suo celibato, e ad altri personaggi che creano un microcosmo di anime inquiete. Paiono tutti trovarsi in sintonia con il protagonista, fintanto che non interagiscono con la sua famiglia. 

Sì, perché quando la moglie Lorenza incontra amici o conoscenti di P.G., accade sempre una piccola o grande rivoluzione all'interno della coppia, e non di rado gli altri rischiano di ledere l'equilibrio già difficoltoso. La storia di Lorenza e del protagonista sta affrontando infatti una grande prova, dal momento che i due hanno appena rinunciato al sogno di avere un bambino, dopo varie cure invasive e illusioni altrettanto onerose. Lorenza ha già avuto un figlio da un precedente matrimonio, un ragazzo che ormai si sta affacciando alla sua indipendenza, ma a P.G. può bastare tutto questo o deve prendere in esame l'ipotesi di ricominciare daccapo? Il desiderio di evadere dalle preoccupazioni e dalla situazione di impasse, inoltre, fa capolino e spinge il protagonista a viaggiare, con la scusa del lavoro («Scrivere ha la comodità indubbia di giustificare (quasi) ogni stravaganza», p. 182). Parigi e Torino sono solo alcune delle tante città dove P.G. soggiornerà, chiamando però regolarmente Lorenza e confrontandosi sempre con la cronaca e gli allarmi del nostro presente.

In questa dimensione in cui le verità vengono messe in dubbio, a cominciare dalle certezze della vita privata, immaginate quanto possano traballare le informazioni cercate, trasmesse, divulgate. È indubbiamente angosciante questa nostra epoca "pre-traumatica", così definita ad esempio sul «Corriere della Sera», tra gli altri. E anche il passato che interessa a P.G. è quello dell'enorme e irrisolvibile trauma, ovvero l'evento cruciale della bomba atomica. Non è forse un caso se P.G. prova da anni a raccogliere materiale per un suo libro sulle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ma non sa cosa si possa rivelare di non ancora edito: 
Ci sono progetti che si portano addosso un senso di inevitabilità, che ti tengono avvinto oltre ogni ragionevolezza, e per motivi che non comprendi. Spesso sono dei miraggi, lo sai, ma non puoi fare a meno di avvicinarti fino a quando ti svaniranno di fronte. La bomba era così. Scrivevo sempre più a rilento e con una specie di lucida disperazione, aspettando il momento in cui mi sarei ritrovato con niente in mano. (p. 148)
Mi è sembrato, in realtà, di intravvedere una possibile risposta a questo dissidio del personaggio tra le pagine intensissime e crude presenti nel libro: si tratta di passaggi degni di un reportage, che condividono testimonianze dirette da parte dei sopravvissuti alle bombe atomiche. Sono pagine di grande valore, dove ho ritrovato tutta la forza comunicativa del Giordano-giornalista, con un affondo nel pathos degno del grande narratore.

Eppure... Eppure sono certa di non aver compreso fino in fondo Tasmania, e me ne rincresce, avendo seguito Paolo Giordano di libro in libro, di articolo in articolo. A turbarmi in particolare è stata la struttura del libro, probabilmente erede dei nostri tempi, che vogliono sottrarsi alla definizione di genere: dove finisce il romanzo e inizia il saggio? Dove si interrompe la narrazione e si affaccia il reportage? E come si uniscono queste parti? Non sempre con armonia, mi verrebbe da dire. D'altra parte, siamo in tempi dissonanti, pieni di asprezze, di angosce, di pensieri apocalittici. Dunque, perché un autore / un narratore / un personaggio dovrebbe costruire, nella vita come nella prosa? Perché addolcire la forma, esplicitare i passaggi, adulare il lettore con un po' di suspense? Che si voglia dare maggiore respiro alla denuncia? Che con uno sguardo tanto empatico sui drammi della bomba atomica si voglia lanciare un implicito monito? Lascio aperte le domande alla discussione e sono curiosa di leggere o sentire se l'autore espliciterà l'intentio operis, perché per ora Tasmania resta per me una lettura piuttosto inattingibile e aspra.  

GMGhioni