in

Il premio Nobel per la Letteratura Abdulrazak Gurnah racconta la condizione degli esuli in “Sulla riva del mare”

- -






Sulla riva del mare
di Abdulrazak Gurnah
La nave di Teseo, dicembre 2021

Traduzione di Alberto Cristofori

pp. 384
€19,00 (cartaceo)
€9,99 (ebook)



“Io con le mappe ci parlo. E a volte loro mi rispondono qualcosa. Questo non è strano come sembra, né è una cosa mai sentita. Prima delle mappe il mondo era senza limiti. Furono le mappe a dargli forma e a farlo sembrare un territorio, qualcosa che si poteva possedere, non solo devastare e saccheggiare.” (p. 65)
Quando un libro attraversa i continenti e le culture per portare il suo messaggio, non è mai facile rendergli giustizia nel piccolo spazio di una recensione, tanto più se si tratta del romanzo del Premio Nobel per la Letteratura. Abdulrazak Gurnah, con la sua esperienza a cavallo fra la Tanzania e il Regno Unito, dà alla luce un romanzo trasparente e rigoroso sulla situazione di chi, come lui, ha sperimentato sulla propria pelle la condizione dell’esule. Ne viene fuori un libro delicato, efficace e straordinariamente autentico, di un autore che "per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti" si è aggiudicato il Nobel.

Il romanzo ruota attorno a due protagonisti, il cui rapporto potrebbe essere qualificato, in prima battuta, come del normale antagonismo. Si comincia dalla storia di Saleh Omar, un uomo di più di sessant’anni che si presenta all’aeroporto di Londra con un visto non valido per chiedere asilo. Gli hanno consigliato di fingere di non sapere una parola d’inglese, così sarà tutto più facile, e inizialmente Omar è solo una spugna pronta ad assorbire tutto ciò che lo circonda, cercando di rimanere invisibile. L’assistente sociale che ha preso in carico il suo caso, non riuscendo a comunicare con lui, deve chiedere la consulenza di un esperto di kiswahili. Il caso vuole che l’uomo interpellato sia il professor Latif Mahmud, il figlio dell’acerrimo rivale di Omar. Da anni lontano da casa, Latif ricorda bene Omar ed è combattuto: dal profondo del suo cuore sale un risentimento difficile da gestire, eppure la rabbia si scarica in una spontanea e strana cortesia. Sembra quasi naturale dialogare, scambiarsi opinioni, e comprendere.

Il confronto tra i due uomini si trasforma in un vero e proprio viaggio nel passato dove si ripercorrono eventi cruciali che intrecciano la storia degli uomini a quella del loro Paese. Il lettore viene catapultato a Zanzibar, descritta in maniera così diversa rispetto a Londra, al punto che sembra sia la penna di un altro scrittore a tratteggiare la vita in questo affascinante luogo sulla riva del mare. E invece è solo la maestria di chi ha vissuto fra due realtà diverse, e col tempo ha imparato a comprenderle e amarle, accogliendone debolezze e contraddizioni.

Impariamo come funzionavano i grandi viaggi dei commercianti, pronti a spostarsi da un luogo all’altro in un dato periodo dell’anno. Apprendiamo come si svolgevano le questioni tra mercanti, nelle quali si potevano elargire prestiti pur non sapendo se sarebbero tornati indietro. Ma attraverso le parole e le esperienze dei due protagonisti respiriamo non solo i profumi e i colori dell’Africa, ma anche le lacerazioni di un Paese estremamente problematico. A Latif, una sorta di alter ego di Gurnah, viene affidato il compito di ricostruire la situazione a Zanzibar alla vigilia dell’indipendenza, e di mostrare quali sono le fasi dell’esilio: in definitiva, quali sono i piccoli pezzi di noi che ci vengono sottratti quando decidiamo, per scelta o per necessità, di lasciare la nostra terra.

Un quadro così nitido e chiaro trova la sua efficacia nella capacità dell’autore di raccontare semplicemente le cose così come sono. Non c’è spazio per sentimentalismi o esasperazioni, meno ancora per il moralismo, il romanzo non fa altro che strizzare l’occhio alle nostre coscienze attraverso una lucida e asciutta esposizione di alcuni dati di fatto. E così non c’è bisogno di spiegare la discriminazione, quando basta che un’assistente sociale dica che è stato trovato un interprete della tua zona, come se l’Africa fosse un punto in mezzo all’oceano e tutti i popoli, le lingue, le culture e differenze potessero essere assimilati a una sola realtà. Ma la sensazione che pervade il lettore alla fine del libro è quella di aver acquisito una verità tanto semplice quanto grande: tutti siamo ospiti su questa terra, anche se non vogliamo vederlo. Ma basta aprire gli occhi tanto quanto basta per vedere lo spazio che scivola sotto i nostri piedi, allo stesso modo in cui il tempo ci scappa dalle mani, e allora tutto si fa chiaro. Ed è forse questo il pregio migliore del libro: Abdulrazak Gurnah ci racconta il disorientamento e lo sconforto di tanti, ma ne definisce i contorni in maniera così inequivocabile da farci realizzare che forse, anche quando non sembra, quello narrato è lo sconforto di tutti.

Alessia Martoni