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Domare la pantera dell'identità: "Identità assassine", il nuovo saggio di Amin Maalouf

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Identità assassine 
di Amin Maalouf
La Nave di Teseo, ottobre 2021

Traduzione di Fabrizio Ascari

pp. 160
€ 12 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook) 


Sono stato sul punto di dare al presente saggio un doppio titolo: l'identità, o come domare la pantera. Perché la pantera? Perché è un animale che uccide se lo si molesta, che uccide se non lo si tiene a freno, un animale che diventa pericolosissimo se lo si lascia in circolazione dopo averlo ferito. Ma la pantera, anche, perché la si può, appunto, domare. È un po' ciò che avevo l'ambizione di dire, in questo libro, a proposito del desiderio di identità. (p. 147)

Domare la pantera identitaria che è in noi non è così semplice.
C'è una parte di lei che nasce nell'istante stesso in cui nasciamo, che muove i primi passi mentre entriamo a fare parte del mondo; c'è un'altra parte che invece si crea - strato dopo strato - mentre succede l'inverso, cioè il mondo entra a fare parte di noi. 
Amin Maalouf conosce bene le varie complessità insite nel concetto di identità. Nel 1976 ha lasciato il Libano, sua terra d'origine, per trasferirsi in Francia. Continuano ancora a chiedergli se si senta più libanese o più francese e la risposta continua a essere: "L'uno e l'altro!".
L'arabo è la sua lingua madre, il francese è quella dei suoi libri. In un solo indistinto sentire, identità diverse si mescolano fino a dar luogo a una nuova materia. Sì, perché l'identità non si divide in compartimenti stagni, non è una questione di metà, o di porzioni, o di percentuali. Ne abbiamo una sola fatta di elementi che si dosano diversamente a seconda della loro natura, delle nostre scelte, delle esperienze che facciamo. 

Scrivere questo saggio, Identità assassine, sembra quindi il modo per Maalouf di riflettere ad alta voce, e con urgenza personale e collettiva, sulle idee plurali che abbiamo di identità e sul modo con cui queste conducano purtroppo a un frequente bisogno violento di appartenenza. 
Siamo abituati all'idea che "appartenere" sia qualcosa di imprescindibile per "essere". In parte è così: apparteniamo ai territori, alle famiglie, alle persone, ai luoghi della memoria, alle lingue che parliamo. 
Ma nel costante bisogno di appartenere c'è anche un dolore profondo che aspetta di sfociare in lotta.
Questa lotta è proprio l'azione della pantera che, se non domata, ci può divorare. In un presente che si frantuma e si moltiplica sempre di più in umanità diverse, appellarci a un concetto piatto di identità con l'obiettivo di affermare chi siamo è molto rischioso.
I massacri etnici, le manifestazioni di intolleranza, gli episodi di segregazione, gli scontri religiosi ci dimostrano che è così. Dopo la Guerra Fredda si è passati da un mondo in cui gli scontri erano essenzialmente ideologici a uno in cui sono essenzialmente identitari. 
L'aspetto più controverso di queste nozioni comuni di identità è che spesso non capiamo dove termini la affermazione della nostra e dove cominci la limitazione di quella altrui, dove termini il bisogno di radicarsi e cominci quello di ferire l'altro.
Maalouf discute, con un tono estremamente dialogico - a tratti davvero problematizzante - il confine tra queste dimensioni, appellandosi alla sua esperienza identitaria diretta, alla propria storia e alle storie delle persone che ha incontrato e di cui ha scritto. 
Il suo saggio è il tentativo di trovare insieme degli orientamenti possibili di fronte al disorientamento, di recuperare serena lucidità di fronte all'agitato sentire che ci contraddistingue negli scontri in cui con indifferenza etichettiamo popoli e gruppi in base ad atti che ci sembrano collettivi e invece spesso sono solo generalizzati. Talvolta diciamo "noi" e diventiamo settari, parziali, intolleranti, dominatori. 
Identità assassine plana con leggerezza - cioè ci invita sostanzialmente a riflettere - su temi di portata molto solida come nazionalità, etnia, religione, comunità. Ci ricorda che nessuna appartenenza, per quanto decisiva, merita di prevalere in maniera assoluta sul restare umani. All'autore capita a volte di fare degli esami di identità, momenti di presa coscienza del suo continuo mutare. Scava nella memoria, rilegge i fatti, li riallinea, non li rinnega. 
È un esame che personalmente mi rendo conto di non avere mai fatto e credo richieda abitudine ed esercizio. Ma, come in tutte le forme di autoanalisi, penso che avrebbe il vantaggio finale di liberarci: 
Poiché è il nostro sguardo che rinchiude spesso gli altri nelle loro più strette appartenenze, è anche in grado di liberarli. (p. 31)


Claudia Consoli