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Raccontare la crisi, e farlo con tutte le storie necessarie: "La crisi colpisce anche di sabato" di Christophe Palomar

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Christophe Palomar La crisi colpisce anche di sabato



La crisi colpisce anche di sabato
di Christophe Palomar
Ponte alle grazie, 26 agosto 2021

pp. 432
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Raccontare la storia contemporanea non è mai facile e occuparsi della crisi mondiale che stiamo attraversando richiede grande coraggio: un po', perché è difficile non restare emotivamente invischiati in ciò che stiamo vivendo e trasformare il testo in un contributo patetico; un po', perché trattare la storia contemporanea richiede di saper fare un passo indietro, per guardare meglio le cose e riconoscere tanto le contraddizioni quanto i punti di raccordo tra un evento e l'altro. Effetti e conseguenze, a livello politico, economico, culturale, sociale, ma anche a livello personale: un romanzo non può limitarsi a coglierli, deve raccontarli, farceli sentire. Christophe Palomar, già autore di Frieda, con La crisi colpisce anche di sabato, sa fare tutto questo, senza cadere in tristi luoghi comuni o indugiare troppo in elementi patetici. Poi potremmo chiederci se abbiamo voglia di leggere una narrazione sulla crisi, o che perlomeno muove da lì e lì ritorna con un rintocco angosciante, ma questa è un'altra questione, che ogni lettore risolverà individualmente. 

Vediamo, invece, come Palomar ha costruito questo libro, che gli è costato anni di lavoro e di ricerca, anni in cui la storia gli cambiava sotto gli occhi, influenzando così la scrittura. Apparentemente, potremmo definire La crisi colpisce anche di sabato un romanzo corale, ma penso che si adatterebbe meglio l'espressione "romanzo di individualità", perché le storie di vita che sfilano e poi si intrecciano in questo romanzo sono leggibili anche nella loro autonomia. Viceversa, va detto che lette insieme, in sequenza, colgono diverse declinazioni della crisi, denotando la sua pervasività, fino alla capacità di infilarsi nella quotidianità dei personaggi, presi dal turbine di un loro presente. 

Innanzitutto incontriamo Adriano a Roma, un  impiegato alle poste che vive a Testaccio, dove ha provato a costruire una vita normale, secondo i dettami del tempo; poi, tutto si è sfaldato, e il Duemila lo vede solo, con una ex moglie, un po' di acciacchi, una globale solitudine, placata solo rarissimamente dal contatto con una prostituta. La parte dedicata ad Adriano ospita uno sguardo molto più ampio sul quartiere di Testaccio, nonché sui cambiamenti che ha attraversato, e una vena nostalgica si affaccia inevitabilmente, unita all'attenzione al folclore, agli usi e alle stramberie locali. Anche il palazzo di Adriano è guardato al microscopio e poi da lontano, portandoci a conoscere altri personaggi, a distinguere le regole del vivere comune e le personali idiosincrasie. Agli occhi dei condomini, Adriano - lo si vedrà bene alla fine del pezzo - è proprio uno, nessuno, centomila... 

L'azione si sposta poi su Milano, dove facciamo la conoscenza di Gioia, alle prese con l'acquisto di un registratore, di cui scopriremo più avanti la funzione. La vediamo parlare con un addetto alle vendite con contratto a tempo determinato, percepiamo i rispettivi pensieri almeno finché Gioia non esce da lì e diventa unico punto di focalizzazione su una vicenda a dir poco angosciante. Gioia è la tipica dirigente milanese: angosciata dal tempo («Il tempo mi mette sempre più ansia, me lo sogno di notte. [...] Sono esausta, sfinita. Forse lo ero anche prima e non lo sapevo, adesso sì però», p. 265), che la fagocita, perennemente in difetto verso la lista di cose da fare che si è prefissata, in lotta con l'invecchiamento e i cambiamenti del suo corpo, preoccupata per il rapporto con la figlia adolescente, cambiata sensibilmente, e con il secondo marito, di cui apparentemente accetta i tradimenti periodici. Se a volte ci porta nel mondo aziendale, con le sue logiche spietate e i cambiamenti pesantissimi portati dalla crisi economica, in altre pagine Gioia ci trasporta nella sua vita privata. Intanto il tempo passato viene marcato dagli oggetti che cambiano davanti ai suoi occhi, dalla tv che passa i prodotti del momento e lascia filtrare un presente che Gioia non ha modo di vivere davvero. 

Nel terzo quadro, ci spostiamo nella più tranquilla e periferica Ferrara, dove un gruppo di ragazze e di ragazzi decide di tornare a vedere Avatar al cinema, in occasione di una proiezione speciale, per festeggiare la riapertura delle sale cinematografiche dopo il Covid. I ragazzi non hanno un nome, ma solo un numero che li contraddistingue e non ci vuole molto perché, spogliati delle loro identità, i personaggi diventino un esempio della potente crisi generazionale che stiamo vivendo; tra loro passa un caos di emozioni, pulsioni e tensioni. Odi nascosti e passioni sopite si alternano a una fame di presente che si fa necessità. Anche i rapporti sono liquidi, passibili di continui mutamenti, senza preoccupazioni su quello che verrà dopo, senza programmi a lungo termine. 

Più timido è il quadro dedicato a Ugo, il fratello di Gioia: un personaggio defilato, che ha scelto di vivere in mezzo ai libri sia come bibliotecario sia nella vita privata; i libri sono un rifugio, sì, ma anche una via che gli permette di capire meglio il presente, di giudicarlo e di prenderne le distanze. Raccoglie in parte l'insegnamento materno: 

La lettura era tutto ciò che non si poteva dire. Tutto ciò che era più grande e più forte della vita. E tutto ciò che era altro, altrove. (p. 353)

Di lui si sa che ama fotografare una Milano dimenticata, meno turistica, e che vuole continuare a lavorare nella sua biblioteca nel quartiere periferico di Porto di mare. Di sé dice poco, tant'è che la sorella pensa che non abbia una vita privata, mentre in realtà Ugo coltiva una relazione con Jamila, una donna egiziana che ha tutta una sua calda e accogliente delicatezza. Ugo è quello fuori dal coro, la voce di chi ha una cultura alle spalle e fatica ad adattarsi al presente tecnologico e freddamente basato sulla produzione. Preferisce, piuttosto, ritagliarsi un suo spazio defilato, su misura per sé, senza adattarsi pedissequamente alle mode o alle finte esigenze create dal mercato.    

Se i personaggi si intervallano (a questi, principali, è poi possibile aggiungerne altri, come il commesso del centro commerciale o uno studioso d'arte straniero), Palomar si tiene il diritto di decidere lui come, quando e anche quanto spazio dedicare a un filone narrativo. Non c'è volutamente equilibrio tra le storie, che a tratti si sovrappongono, altrove si rincorrono, in altri casi ancora si contrappongono simbolicamente. Curiosa è poi la conclusione, che ci porta nel futuro, ma su cui è meglio non aggiungere niente, per non fare spoiler. 

Ogni lettore attento trarrà da La crisi colpisce anche di sabato suggestioni e occasioni per riflettere a fondo; anch'io, che non avrei mai scelto un libro sulla crisi, mi sono invece trovata profondamente colpita da alcune delle vicende narrate, infastidita da altre, commossa o immalinconita da altri passi, come probabilmente voleva ottenere l'autore. Prendete questo romanzo come una chance per guardare al nostro presente con più consapevolezza e più empatia; purtroppo si esce dal percorso piuttosto angosciati, perché questo tempo non perdona e semmai concede piccoli momenti di tregua, niente di più. Tuttavia, le scelte stilistiche dell'autore, in particolare i tanti cambiamenti di punti di vista, ci permettono di apprezzare a fondo l'opera, una testimonianza inattesa sul nostro tempo. 

GMGhioni