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«Io la salvavo dal nulla, e salvarla mi faceva sentire bene»: il laccio soffocante della dipendenza in "Quello che chiamiamo amore" di Loreta Minutilli

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Quello che chiamiamo amore di Loreta Minutilli


Quello che chiamiamo amore
di Loreta Minutilli
La Nave di Teseo, 2021

pp. 256
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


 

Quando eravamo soli Elisa era perfetta, perché la guardavo solo io e me la raccontavo. Volevo proteggere il piccolo mondo che stavo creando per me e lei, perché funzionava e il motivo, in fondo, non mi importava. (p. 102)

Non c'è niente che, nella vita di Ettore, possa stare senza Elisa: lei è il suo amore, il perno attorno a cui ruota tutto ciò che lui fa, pensa e desidera, nel bene e nel male. Fin dal primo giorno, quando Ettore ha visto sul balcone di fronte una bambina dai capelli ramati che splendevano al sole, intenta ad aiutare a stendere i panni, subendo le urla della madre Lucia, è iniziato l'amore. Il pensiero fisso per il piccolo Ettore è stato credere che, un giorno, avrebbe salvato la sua dirimpettaia Elisa dalla sua famiglia litigiosa e l'avrebbe portata via dal quartiere. Ai suoi occhi, infatti, non esistevano sfumature, per cui Ettore si è sempre limitato a interpretare l'ambiente dall'esterno, senza mai chiedersi che cosa davvero accadesse in quella famiglia e a quella donna, vittima di violenza domestica da parte del marito. Lui guardava Elisa, e gli bastava, a differenza delle donne di casa, sua madre e sua sorella Arianna, che commiseravano in parte la frustrazione e le sofferenze di Lucia. 



Va però detto che la madre di Ettore ha sempre criticato aspramente i dirimpettai, come del resto tutto il quartiere: così umile e decadente, non poteva che ospitare gente discutibile. Risparmiare per una nuova casa, fare qualsiasi sacrificio per spostarsi da lì, abbandonare il tavolo di formica e avere una cucina come quella dei compagni di classe di Ettore è il vero chiodo fisso della donna. Quando effettivamente Ettore e famiglia si trasferiscono, Elisa non è più sotto gli occhi e ci vuole poco perché il ragazzino pensi ad altro. 

Poi, però, un nuovo incontro casuale riaccende il desiderio di quella ragazza, che è cambiata, certo, eppure mantiene sempre il fascino infantile di quei primi anni. Bastano pochi incontri e un breve corteggiamento perché tra Ettore ed Elisa cominci una relazione, e il tempo che lui passa a Bari per studiare per l'università gli sembra sempre più insipido. Elisa diventa centro di tutto, pur non lasciandosi facilmente leggere dal fidanzato:

Di Elisa mi ha sempre tormentato questo: il punto al centro di lei che non riuscivo a raggiungere e a cui non mi dava accesso. Si comportava con me come una terra inesplorata, ferma e grandiosa, in cui io potevo arrischiarmi e avventurarmi, ma con cui non c'era modo di comunicare. (p. 95)

Ettore ha comunque l'opportunità di portare avanti il suo sogno: salvare Elisa dalle sue origini, da sé stessa, da un mondo privo d'amore o da chissà che altro

Io la salvavo dal nulla, e salvarla mi faceva sentire bene, mi dava uno scopo così appagante e facile da raggiungere che non potevo neanche pensare di metterlo in discussione. Lei si faceva salvare, si occupava delle cose futili del quotidiano, cresceva i nostri figli, era bella e accogliente e in cambio non aveva niente di cui occuparsi al mondo. (p. 216)

Elisa si lascia salvare, ma cosa pensa davvero? Essendo raccontato dalla voce narrante di Ettore, Quello che chiamiamo amore lascia poco spazio al punto di vista degli altri: predomina la visione del protagonista, che vuole proteggere a tutti i costi la sua nuova famiglia e il figlio nato da due giovanissimi genitori. Per quanto cerchi di far funzionare «un universo perfetto», in cui riesce «a immaginare esattamente come sarebbero stati i mesi successivi della sua vita, anche gli anni» (p. 190), Ettore sarà costretto a fare i conti con il fatto che non tutto si può controllare. Soffocare i desideri altrui in una realtà ovattata di benessere e amore non può restituire l'aria che continua a mancare. Ettore, che si scontra di continuo con la sensazione di essere continuamente giudicato dalla madre, dalla sorella Arianna e da Elisa («La mia intera vita mi sembrava un susseguirsi di donne che mi facevano notare le mie lacune e le cose che non vedevo», p. 214), è costretto a fare i conti con la verità: per quanto sfaccettata e relativa, questa non può ignorare i desideri e il punto di vista degli altri. 

Con questo romanzo, Loreta Minutilli mette in gioco temi estremamente complessi e caldi: dalla violenza domestica a varie forme di violenza psicologica, dal desiderio di autorealizzazione all'affossamento delle aspirazioni altrui. L'equilibrio di una coppia è pieno di assestamenti, compromessi, ma deve avere anche un'enorme dose di rispetto: Ettore non si rende conto o forse non accetta che Elisa possa avere un'altra idea di coppia; lui vede invece la dipendenza reciproca come base della relazione. Elisa deve dipendere economicamente da lui tanto quanto lui dipende sentimentalmente da lei. Ma dove può portare questa relazione? 

Intrecciata alla storia principale, sicuramente preponderante, Loreta Minutilli inserisce la storia d'amore altrettanto basata sull'ossessione e sulla dipendenza tra la sorella di Ettore, Arianna, e il fratello di Elisa, Gabriele. Inoltre, guarda nelle loro famiglie, perché - sembra suggerirci - la nostra idea di coppia dipende dall'amore che abbiamo ricevuto nell'infanzia. I suoi riverberi, infatti, si proiettano come dita d'ombra sulle storie dei più giovani, lasciando loro un margine di movimento solo in parte autonomo. 

Con grande maturità di scrittura, intessendo dialoghi rivelatori e sequenze riflessive talvolta annichilenti, in cui Ettore si guarda dentro e si analizza, l'autrice ci consegna un romanzo pieno di chiavi di lettura, per mostrarci la complessità di un sentimento che non può mai essere appiattito in qualcosa di prevedibile: l'amore. 

GMGhioni