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#inchiostronero - Tra fantascienza e realismo magico: essere scrittrici di colore nell’America di fine Novecento secondo Octavia E. Butler e Toni Morrison

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Legami di sangue                                                                Amatissima
di Octavia E. Butler                                                            di Toni Morrison
Sur, settembre 2020                                                            Frassinelli (Sperling & Kupfer), 2013

Traduzione di Veronica Raimo                                            Traduzione di Franca Cavagnoli

357 pp.                                                                                pp. 410
€ 18 (cartaceo)                                                                    10,90 € (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)                                                                     3,99 € (ebook)



Nella seconda metà del Novecento, in un contesto in cui la segregazione razziale iniziava a lasciar spazio alle donne nere nella letteratura mainstream, si affermavano modi diversi di rappresentare l’eredità culturale afroamericana. Ascoltando queste voci con orecchie contemporanee, queste narrazioni si declinano come testimonianze differenti ma egualmente fondamentali della condizione femminile nera degli anni della desegregazione: in un gioco di specchi, le sottoscritte, due giovani donne contemporanee, hanno deciso di impostare un dialogo congiunto tra due di queste autrici in particolare, facendo risuonare oggi le voci convergenti di Octavia E. Butler e Toni Morrison.

L'edizione americana
di Kindred di 
Octavia E. Butler


Partendo dalla biografia delle due autrici, si intravede chiaramente la loro diversità di esperienze. Nate a poco più di dieci anni di distanza in due Stati opposti dell’America (Morrison in Ohio, Butler in California), anche i rispettivi contesti familiari, tra valori trasmessi, educazione formale e modelli letterari, non potevano essere più distanti. Pur appartenendo a una famiglia della working-class, Morrison fu incoraggiata fin da piccola a seguire una sua naturale propensione alla parola scritta, che entrò nella sua vita prestissimo e nelle forme più varie; dalle storie del folklore afroamericano che i genitori le raccontavano, fino ai romanzi di autori europei che facevano parte del canone scolastico. In tal modo iniziava a prendere forma in lei la consapevolezza di trovarsi a un punto d’incontro - o di scontro - tra due tradizioni letterarie. Diversissima fu l’esperienza di Octavia E. Butler, la quale dovette affrontare difficoltà consistenti fin da giovanissima: crescere come la figlia dislessica di una madre vedova, donna delle pulizie in piena segregazione razziale, le lasciava ben poche speranze di dedicare la sua vita alla letteratura. Eppure iniziò prestissimo a fissare su carta le numerose storie che la sua immaginazione produceva, e approdò presto alla fantascienza come genere che più di ogni altro le concedeva una fuga dalla sua quotidianità.

Questa differenza nel vivere il mestiere dello scrittore continuò a marcare le due autrici anche nella maturità. Mentre Butler scriveva nelle poche ore notturne libere dai lavori umili a cui doveva dedicarsi, Morrison si distingueva per una brillante carriera universitaria che la fece approdare al ruolo di prima senior editor di colore presso la Random House. Nonostante le influenze differenti, tra fantascienza e canone europeo, entrambe faticavano a trovare modelli letterari che rappresentassero pienamente la loro esperienza di vita: la zia di Butler soleva dirle "Honey ... Negroes can't be writers",  e Jane Austen, amata autrice di gioventù di Morrison, non offriva di certo possibilità di rispecchiamento a un’adolescente nera negli anni Sessanta. Anche più di recente, la stessa autrice è stata citata non a caso come uno dei modelli adolescenziali di un’altra scrittrice, Chimamanda Ngozi Adichie, dimostrando la refrattarietà del canone letterario contemporaneo ad includere modelli di colore. Solo nel 1993, infatti, una donna nera vincerà il Nobel per la letteratura, e sarà proprio Toni Morrison, smentendo la zia di Butler.

L'edizione italiana
di The Bluest Eye

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Per entrambe, emerge il ruolo di lente attraverso cui guardare il mondo assunto dalla letteratura. Infatti, nonostante la loro predilezione per generi molto diversi, gli stili in cui le due donne scrivevano rispecchiano sia le loro esperienze autobiografiche, ma anche due modi diversi di affrontare il mondo. Se fin da piccola Butler ha utilizzato la fantascienza come strategia di evasione da una realtà di bullismo, razzismo e segregazione, Morrison prediligeva forme narrative più verosimili, seppur con forti elementi di realismo magico e rifacendosi alle storie popolari e alle ghost tales della sua infanzia. In queste narrazioni, che si muovono tra realismo, simbolismo e allegoria, nessuna delle due rinuncia però a inserire messaggi di denuncia sociale. Tale intento raggiunge la sua massima espressione nel racconto del trauma storico e personale della schiavitù: se in Kindred (Legami di sangue, 1971) Butler sceglie lo strumento del viaggio nel tempo per mettere a confronto l’esperienza di una donna di colore del Novecento con una del Settecento, Morrison prende spunto per il soggetto del suo romanzo più acclamato, Beloved (Amatissima, 1987), dalla vicenda di una donna realmente esistita, l’ex schiava Margaret Garner.

Copertina di una 
delle prime edizioni
italiane di Legami
di Sangue, 
del 1994

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Anche l’esperienza personale ha offerto alle due autrici una ricchezza di spunti da utilizzare per far capire al lettore cosa significava essere una donna di colore, condizione che, nei contesti suburbani in cui sono cresciute, non era molto rappresentata. La protagonista di Kindred, Dana, è una scrittrice nera che, proprio come Butler agli inizi della sua carriera, deve lavorare di giorno e scrivere di notte, ed è significativo che tra Dana e il marito Luke, anche lui scrittore, ma uomo bianco, sarà lui a ottenere successo. Tuttavia, dopo questo inizio difficile causato dalla condizione economico-culturale della sua famiglia di origine, Butler riceverà il successo che meritava, venendo riconosciuta come una delle più importanti scrittrici di fantascienza. Similmente, Morrison prende spunto anch’ella dalla sua vita personale, ambientando il suo primo romanzo, The Bluest Eye (L’occhio più azzurro, 1970) nella sua cittadina natale, Lorain, in Ohio, e ispirandosi agli ambienti della sua infanzia. Inoltre, il desiderio di dare risonanza alle narrazioni di autori e personaggi di colore si nota anche nell’attività della Morrison con insegnante e editor: mentre occupava questo ruolo, si impegnò a promuovere e a curare opere di autori come Angela Davis, Chinua Achebe e Wole Soyinka.

La differenza di genere letterario tra le due autrici ha comportato anche una significativa differenza nella loro ricezione, specie da un punto di vista internazionale. Butler vinse prevalentemente premi relativi alla science fiction e in Italia sta solo recentemente venendo riscoperta (ad esempio con la ripubblicazione di alcune sue opere da parte della casa editrice Sur). Morrison, invece, in quanto prima autrice afroamericana a vincere il premio Nobel per la letteratura, segnò un traguardo importantissimo sia per la letteratura nera che per la scrittura femminile. Nonostante le percezioni distinte che oggi abbiamo di queste due autrici così diverse, entrambe si sono confrontate con contesti similmente avversi, rielaborandoli tramite la letteratura. Rileggere i loro romanzi oggi significa ritrovare non solo una lucida analisi dell’essere donne di colore alla fine del Novecento, ma anche quella capacità rappresentativa universale riconosciuta nella motivazione del Nobel a Toni Morrison, la quale sottolineava “che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica [Morrison] dà vita ad un aspetto essenziale della realtà statunitense”. E cos’è la fantascienza se non forza visionaria?

Lucrezia Bivona e Marta Olivi