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Con "Cristina" Matilde Serao ci racconta l'animo umano nella sua produzione più aristocratica

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Cristina di Matilde Serao

Cristina
di Matilde Serao
A cura di Simona Lomolino
Edizioni Croce, 2020

pp. 96
€ 14,90 (cartaceo)


In questo delizioso libretto, a cura di Simona Lomolino, si trovano due novelle della Serao dell’ultimo periodo, il cosiddetto periodo “aristocratico”. Siamo nel 1908, Matilde Serao è ormai entrata a ragione tra le narratrici del verismo meridionale, affiancando la sua fama di narratrice all’intensa attività giornalistica, prima con il marito Edoardo Scarfoglio, fondando Il Corriere di Roma, Il Corriere di Napoli e Il Mattino, e infine, separatasi nel 1904 fondando Il Giorno.


Le sue opere si caratterizzano per una spiccata rievocazione del mondo borghese, e politico-giornalistico napoletano, spesso abietto e animato da passioni e ambizioni, ma senza tralasciare uno sguardo all’animo femminile che illumina anche un certo sentire collettivo del periodo.


Nella prima novella, Cristina, una giovane della provincia napoletana, abbiamo una storia d’amore che segue i canoni della tradizione ma che stupisce per il finale inconsueto. La giovane, di buona famiglia, viene infatti corteggiata da uno squattrinato ragazzo del luogo, che però lei caparbiamente rifiuta. Dopo diversi tentativi, anche audaci, il giovane, assumendo gli atteggiamenti melodrammatici da amante infelice, si trasferisce a Napoli dove si avvicina all’attività politica e al giornalismo. 


Pur ripetendo alle amiche, e a sé stessa, di non nutrire alcun interesse per lui, la protagonista, attraverso alcuni gesti, lascia trapelare che il ragazzo non le era affatto indifferente. E anche se nel frattempo accetta la proposta di matrimonio di un ricco bottegaio del luogo che inizia ad amare «con un’affezione calma e sicura», Cristina dimostra di essere ancora interessata all’altro ragazzo seguendone le notizie sul giornale locale. E l’inatteso ritorno di lui stravolgerà tutti i piani stabiliti.

Rispondere a quel pazzo? Che rispondere? Non aveva nulla da dirgli, come sempre, e temeva che qualunque risposta avrebbe peggiorato le cose. Forse si convincerà da sé, senza che io gli risponda - pensava, con la transazione abituale degli spiriti tranquilli, che rifuggono dalle grandi decisioni. (p. 25)

Cristina è una donna vittima delle convenzioni, cerca nel suo futuro marito un porto sicuro, fugge dalle passioni e dall’ignoto che un giovane così indomito potrebbe offrirle, per poi però capitolare di fronte ad un fatto del tutto inatteso, che rimetterà in discussione ogni decisione. Come la curatrice fa giustamente notare, numerosi sono i riferimenti letterari che trovano spazio nella novella, da Dante a Petrarca ad Hugo, ma non mancano anche le contaminazioni tra generi in un racconto che cresce come una tragedia e si conclude con un ossimoro di triste comicità. Interessanti sono anche le allusioni che accompagnano il desiderio, quando nel sentire il corteggiamento del giovane, Cristina avverte quasi come un sibilo, quasi lo strisciante serpente di biblica memoria che viene a tentarla.


Il volume contiene anche un’altra novella, dal titolo Sacrilegio, che narra la vita di due protagonisti, un uomo e una donna, distrutti dalla loro stessa dissolutezza, che mai hanno creduto fortemente nell’amore come generoso donarsi e quando infine l’hanno sperimentato sono stati entrambi traditi, delusi, annientati dall’abbandono dei rispettivi innamorati. Così come Guido, improvvisamente si infiamma:

D’un tratto, egli col suo temperamento eccessivo si buttò nell’amore, come si era buttato nella politica, nella speculazione, nell’arte, portandoci gli ultimi slanci, le ultime collere, gli ultimi ardori. Fu una vampata. Fu un incendio sanguigno. Fu un fuoco divorante e stringente. Fu una selvaggia espansione, l’avvinghiamento disperato di colui a cui tutto è sfuggito, il terrore bianco della solitudine. Amava, gagliardamente, tenacemente, più con rabbia che con tenerezza. Andava alla conquista dell’amore, come a una battaglia, tremando dell’ultima sconfitta. (p. 39)

Nello stesso modo Teresa, naufraga in un sentimento che mai le era appartenuto:

Ma un giorno, in un sito qualunque, per due minuti soltanto, ella vide un uomo che non la guardava, che non era bello, che non era elegante — e se ne innamorò, così d’un tratto solo. Questa creatura cattiva e fantastica, che non aveva conosciuto serenità di gioventù, che si era burlata dell’amore, che non aveva mai capito l’amore, sentì struggersi tutta la parte malvagia di sé nell’intenerimento soave di un affetto spontaneo e vivificante. (p. 41)

In questo incontro troveranno dapprima fastidio, poi conforto, e si illuderanno anche di provare amore. Ma nel volersi illudere sulla genuinità del loro sentimento, ecco che sta il sacrilegio di cui la Sera ci racconta. L’amore non può avere come fine ultimo quello del consolarsi, non è un reciproco sfogo di dolore, è unione di anime e di intenti. Il loro incontro avrà un epilogo doloroso, che non sarà di conforto a nessuno dei due.


Di sicuro due testi non molto noti della Sera e qualitativamente non i migliori, ma ci consegnano una globalità di narrazione che giova al lettore, per inoltrarsi nella figura di una narratrice così unica e innovativa, quale la Sera è.


Samantha Viva