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Quando la salvezza si costruisce insieme: per la Giornata della Memoria, la testimonianza di Ada Ottolenghi

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Ci salveremo insieme
di Ada Ottolenghi
Il Mulino, 2021

pp. 180 
€ 15,00 (cartaceo)
€ 10,49 (ebook) 


Fa bene leggere, per la Giornata della Memoria, una narrazione come quello di Ada Ottolenghi, recentemente edita da Il Mulino. Si tratta di uno scritto dal forte carattere personale, una storia di famiglia, come rivela anche la dedica iniziale alla nipote Raffaella, in seguito estesa a quelli nati successivamente. L’istanza è fortemente testimoniale: Ada avverte, come molti altri ebrei che hanno vissuto in prima persona gli anni terribili della seconda guerra mondiale, il pericolo rappresentato dal tempo che scorre, dalla sparizione progressiva di tutti i superstiti, dai racconti che alle nuove generazioni appaiono sempre più lontani, forse vaghi. È allora fondamentale che si crei un filo rosso, diretto, che lega i padri ai figli, i nonni ai nipoti, nella trasmissione di quel che è stato: “sono [...] sicura che tanti orrori non devono essere stati invano e che la tua generazione debba conoscerli ancora direttamente da quelli che li hanno vissuti” (p. 19). Solo così i più giovani potranno accogliere il senso etico e i valori di chi li ha preceduti, farsene eredi; ricordare ogni giorno che “val la pena di essere onesti e dignitosi e fieri di mantenersi ebrei in mezzo a tante traversie” (p. 19).
Uno degli aspetti peculiari dell’opera è la sua cifra di positività, la forza che emerge dalla narrazione. Il titolo stesso è un inno alla speranza: “ci salveremo”, con la promessa solida, rassicurante, dell’indicativo futuro, e “insieme”, con un riferimento non soltanto alla unitissima famiglia della protagonista, ma anche a tutte le persone amiche, che con generosità gratuita aiutano gli Ottolenghi a “passare immun[i] attraverso tutte le persecuzioni e gli agguati” (p. 19).
È Guido l’anima del gruppo, il pilastro che sorregge Ada nei momenti di difficoltà, con il suo carattere aperto e sicuro, la sua capacità di entrare in relazione con gli altri e farsi voler bene; con lui anche la fede è “così bella, così semplice” (p. 32), mai messa in discussione. Guido è quello che reagisce con determinazione agli imprevisti e che non ha rimpianti: non avrebbe voluto, lui, rifugiarsi in America come il fratello: “lui voleva essere sul campo” (34), rendersi utile, far qualcosa per l’Italia restando al cuore degli eventi. Al contempo Ada è madre e moglie accudente, mai arresa, pronta a forzare il proprio carattere più mite quando serve una risoluzione decisa.
Degli eventi vissuti dalla famiglia Ottolenghi negli anni della guerra, ma soprattutto dopo l’8 settembre 1943, viene data una lettura retrospettiva, analitica, che non vuole solo presentare gli eventi nella loro successione storico-cronologica, ma anche riesaminarli alla luce delle scelte fatte e dei principi che costituivano i fondamenti di queste scelte:
Che cosa ci guidò? Chi fece da invisibile guida ai nostri passi? Io penso ora che sulle nostre decisioni sempre pesarono tre idee fondamentali che erano dentro di noi: quella di separarci il meno possibile e di correre tutti insieme gli stessi pericoli; quella di non venir meno alla nostra fede ebraica e, possibilmente, di non nasconderla; e quella di poter contribuire in qualche modo alla lotta che gli antifascisti conducevano per riportare l’Italia alla libertà e con questo gli ebrei alla vita. (p. 52)

Desta grande interesse alla lettura la luce che viene gettata sulla condizione degli Ottolenghi in quanto ebrei italiani, per lo più accolti e sostenuti da amici e conoscenti, ma anche da perfetti sconosciuti, durante il loro tentativo di sfuggire alle persecuzioni. Lo ripete spesso Ada, a mostrare e a rievocare una realtà di profonda umanità, tanto più importante nei tempi della confusione e della violenza dilagante: “ma come, dove saremmo andati con le nostre carte d’identità su cui era stampato razza ebraica? Chi ci avrebbe aiutato? TUTTI ci aiutarono” (p. 63).
Il senso di pericolo provato dai protagonisti, e di conseguenza la gratitudine nei confronti della gente buona che li supporta mettendo a rischio la propria vita, cresce di pari passo con la progressiva presa di coscienza di cosa sta succedendo agli ebrei nelle parti d’Italia ancora in mano ai tedeschi, o in cui sono entrate in vigore le leggi repubblichine. Il volume si fa dunque opera della memoria in duplice senso: memoria di eventi che non possono essere dimenticati, ma anche memoria di donne e di uomini che, pur non essendo nati eroi, non si tirano indietro di fronte alla necessità del prossimo.
Il momento di svolta della narrazione è la decisione improvvisa e spiazzante di lasciare la pacifica Cotignola, rifugio accogliente durante i mesi invernali del ’43 e ormai resa lieta dalla primavera, per raggiungere la capitale in vista di un ormai prossimo arrivo degli Alleati.
Quello che deve condurre gli Ottolenghi a Roma è un viaggio della speranza, la speranza folle e un po’ incosciente di chi vuole essere libero il prima possibile, anche a costo di rinunciare a un posto apparentemente sicuro per affrontare l’azzardo di un percorso a tappe forzate dalle molte incognite. L’unione rimane durante i giorni di angoscia la forza degli Ottolenghi e della buona Marie, che condivide le loro sorti per antica lealtà pur avendo l’alternativa di una salvezza facile, approfittando del proprio nome “ariano”. Solo la fede in Dio è superiore alla fiducia che i fuggitivi hanno l’uno nei confronti dell’altro, ed entrambe sono determinanti per la salvezza.
Nella narrazione intensa di Ada, Roma diventa presto meta e simbolo di una possibile, sempre sperata liberazione: e quello che per l’Italia tutta è il preludio alla rimozione di un giogo sempre più insopportabile, per la famiglia dei protagonisti è anche la possibilità di tornare ad appropriarsi orgogliosamente della propria identità, di poterla finalmente proclamare a gran voce dopo il tempo dei sotterfugi. Di poter, anche e soprattutto, rendere grazie per tutto l’aiuto ricevuto.
 
Carolina Pernigo