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Equivoci, amori e malintesi sullo sfondo della Spagna franchista in "Ultime sere con Teresa" di Juan Marsé

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Ultime sere con Teresa
di Juan Marsé
Bompiani, 2017 

Traduzione di Hado Lyria

pp. 432
€ 19 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


A distanza di tre anni dalla prima pubblicazione in Italia e a quasi sessant'anni dalla prima pubblicazione in Spagna, ho finalmente letto il bellissimo Ultime sere con Teresa dello scrittore spagnolo Juan Marsé, edito da Bompiani (l'editore ha già annunciato per la primavera del 2021 un nuovo libro dello stesso autore) e tradotto da Hado Lyria.

Dico finalmente perché era da un po' di tempo che ci giravo intorno e, dopo la morte dell'autore, avvenuta nel luglio di quest'anno orribile sotto tutti i punti di vista, non ho più esitato e ho voluto fare la conoscenza di Manolo Reyes, meglio conosciuto con l'intraducibile nomignolo di "Pijoaparte", protagonista assoluto delle vicende narrate:

[...] ci sono soprannomi che illustrano non solo un modo di vivere, ma anche la natura sociale del mondo in cui una persona vive [...].

Il romanzo è considerato una pietra miliare della letteratura spagnola e, nonostante la censura dell'epoca abbia cercato di evitarne la pubblicazione prima e di frenarne la diffusione dopo, Ultime sere con Teresa è riuscito a varcare i patri confini e il suo successo è diventato quasi planetario. I censori franchisti pubblicamente lasciavano intendere che la "condanna" era dovuta ai contenuti sessuali del libro; la verità, invece, era assolutamente un'altra e cioè che disturbavano, e non poco, sia i risvolti politici della storia, sia il nome dell'autore conosciuto ai più per le sue frequentazioni marxiste e per essersi distinto come un fiero oppositore del regime.
Ma chi era Manolo Reyes? Un semplice "charnego". Uno di quelli che oggi verrebbe definito un immigrato, figlio di una immigrata (il padre non si è mai saputo chi fosse anche se a lui piaceva ostentare una discendenza da un nobile inglese) che si era trasferita a vivere in Catalogna, a Barcellona, e che occupava una delle baracche costruite alla bisogna nel quartiere del monte "Carmelo", una borgata, si direbbe oggi, dove si adattavano a vivere in condizioni a dir poco disagiate e in estrema povertà gli spagnoli provenienti da altre regioni che per un lungo periodo hanno rappresentato la manodopera a basso costo degli imprenditori catalani.

Era un ladruncolo che viveva di espedienti, specializzato nel furto delle moto e che, come tutti gli emarginati, viveva sognando il suo riscatto sociale. L'occasione gli capita quasi per caso, quando la sera del 23 giugno 1956 anziché recarsi, com'era sua intenzione, al veglione pubblico al Pueblo Espanol, senza un vero e proprio motivo cambia idea e si reca presso il borghese quartiere di San Gervasio dove si intrufola ad un veglione che si teneva in un giardino privato. Una bella faccia tosta, si dice oggi, ed è innegabile che questa sia una caratteristica peculiare del carattere del "Pijoaparte".

A quella festa conosce Maruja, che seduce quella sera stessa e ne diviene l'amante. All'inizio la scambia per una ragazza appartenente alla ricca borghesia: questo l'affascina più di ogni altra cosa, perché ci intravede l'occasione per il suo riscatto, e solo in seguito si rende conto che Maruja altri non è che la cameriera della agiata famiglia Serrat. Teresa Serrat la conosce grazie alla ragazza e sempre grazie a Maruja, nel frattempo vittima di un incidente che la costringerà ad essere ricoverata in coma in ospedale, i due si incontrano e danno inizio alla loro storia d'amore che, se per il "Pijoaparte" rappresenta l'occasione buona per chiudere una volta per tutte con il suo passato, per Teresa, irrequieta leader del Movimento studentesco che inizialmente scambia Manolo per un operaio sovversivo, rappresenta il coronamento di un suo sogno: la realizzazione delle sue idee rivoluzionarie e anti classiste.

Qui vengono fuori tutti i risvolti politici del libro: se da una parte Marsé guarda con simpatia e comprensione i "vinti" e gli "esclusi" del Carmelo, dall'altra è molto corrosivo e sarcastico nei giudizi contro la borghesia catalana classista e ipocrita. Ne dà un chiaro esempio quando descrive le gambe di Marta Serrat, mamma di Teresa, dotata di gambe «veramente catalane, robuste, familiari, confortevoli, tranquillizzanti. Piene di sottomissione e persino di complicità finanziaria, simbolo di un vigoroso senso pratico e di una solida catalanissima virtù...»; per non parlare del giudizio al vetriolo che riserva ai leader del Movimento studentesco: 

[...] con il tempo alcuni sarebbero apparsi come buffoni e altri come vittime, la maggior parte come imbecilli o bambini, qualcuno come assennato, generoso e persino premiato con un futuro politico, e tutti come quel che erano: dei signorini di merda [...].

Giudizi tranchant che non lasciano spazio a interpretazioni diverse da quelle che l'autore intendeva. 

E in tutto questo che ne sarà della "storia d'amore" tra Manolo e Teresa? Avrà un lieto fine o vinceranno i pregiudizi di classe? Marsé non è un autore da romanzetti rosa quindi ci vuole poco a intuire come possa evolvere la relazione tra i due. Il tema principale del libro, tra l'altro, non è la passione amorosa e, anche se Marsé le dà un ampio risalto, la storia tra Manolo e Teresa diventa il mezzo, quasi il pretesto, per tracciare, spesso servendosi di un umorismo e di un'ironia irridenti e taglienti, un quadro completamente negativo della società catalana post guerra e, come dicevo sopra, di quella borghesia franchista e post franchista che con la dittatura era in affari attirandosi critiche feroci sia da quella destra borghese e populista collusa con il regime, sia da quella sinistra colta e benpensante legata al Movimento studentesco. 

Un gran bel libro, questo di Marsé, e non lo scopro certamente io. Sembra incredibile come a distanza di sessant'anni abbia mantenuto tutta la sua qualità letteraria e tutta la sua dirompente forza ideologica e politica.

Liborio Volpe