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L’epistemologia del colonialismo italiano in Africa e le sue attuali conseguenze: “Mare in fiamme”, di Francesco Troccoli

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Mare in fiamme
di Francesco Troccoli
L’asino d’oro edizioni, luglio 2020

pp. 279
€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


La letteratura, tra le sue varie e molteplici funzioni, ha il (a volte difficile) compito di analizzare, rielaborare e criticare i fatti storici che caratterizzano il nostro presente e che hanno radici profonde nel nostro passato, molto spesso macchiato di colpe che cerchiamo di nascondere a noi stessi. In particolare, negli ultimi anni l’Europa ha dovuto confrontarsi con l’attuale movimento migratorio proveniente dalle coste africane e dai suoi relativi paesi in guerra. Con le migrazioni, i paesi dell’Unione Europea sono stati costretti a confrontarsi con le conseguenze di una realtà che loro stessi hanno creato nella corsa alla colonizzazione dell’Africa tra il XIX e il XX secolo. Quella dignità umana che è stata negata ai nativi africani attraverso la schiavitù, il commercio umano nella tratta atlantica, lo sfruttamento territoriale, la negazione culturale e gli stermini etnici, è la stessa che ora i migranti chiedono che venga riconosciuta quando arrivano sulla soglia dei nostri paesi. Negando la dignità di queste persone, l’Europa dimostra di aver dimenticato (o di voler dimenticare di proposito) il proprio passato coloniale, radice del male che oggi ha dato i suoi frutti. 

Mare in fiamme di Francesco Troccoli parte da questi presupposti, legando il dramma delle migrazioni di oggi alle responsabilità storiche dell’Italia di ieri. Un’Italia che, troppo spesso, dimentica il ruolo che ha avuto nell'impresa coloniale nel Nord Africa, cominciata già a fine Ottocento. La campagna di Libia, iniziata nel 1911, non trova opposizione da parte degli italiani che iniziano a macchiarsi di gravi crimini, i quali aumentano durante il Fascismo: razzie di villaggi, uso di gas tossici contro i nativi, esecuzioni sommarie di uomini, donne e bambini, stragi, deportazioni di massa in campi di lavoro. Fatti che ancora oggi gli archivi storici nascondono e che non entrano nei nostri programmi scolastici.

Mare in fiamme prende atto di ciò e, attraverso la capacità che la letteratura ha di poter rielaborare i traumi del passato, ci offre una storia che non può non farci riflettere. In una Roma multietnica, suburbana e caotica, Marina è professoressa di una scuola di borgata e, dopo aver saputo che suo padre, Italo, è entrato in coma a causa di un’esplosione in Libia dove lavorava come giornalista e ricercatore, si vedere recapitare una fotografia di una donna africana con la frase in arabo «sorella mia, aiutami». Per fare luce sul passato di un padre che, di fatto, sembra non conoscere, e per svelare il mistero di una sorella che non sapeva di avere, Marina chiederà aiuto a suo nonno Orazio, capostipite delle due generazioni della famiglia Sarretti che, ancora prima della Seconda guerra mondiale, ha messo radici in Libia. Alla narrazione principale si uniscono altre voci e altre storie: quella di Zihad, ragazzino curdo che subisce i soprusi razziali dei compagni di classe italiani; Gary, badante nigeriano di Orazio, che ha un fratello gemello che gli procura solo guai e che lo riporta indietro con la memoria ad un passato che vuole dimenticare; Genet, amante eritrea di Italo, e la misteriosa Mia, figlia di Genet.

Il romanzo si basa interamente sul tema dell’identità, del territorio e della colpa. Tutti i personaggi provengono da luoghi diversi, hanno origini che non sono italiane, ma allo stesso tempo sono sradicati dal loro paese natale a causa degli eventi storici e cercano rifugio in Italia, paese che invece non li accetta. Marina ne è l’esempio: figlia di un italiano nato in Libia e di una madre originaria di Malta, è il personaggio che tutti scambiano per italiana “pura”, ma di “sangue italiano” ne ha ben poco. È questa “purezza italiana” che Mare in fiamme vuole mettere in discussione: quanti di noi "italiani" hanno origini fuori dal nostro paese? Quanti ragazzi, anche se di origini straniere, sono nati in Italia e, alle volte, sono molto più “italiani” di noi? Come si può far capire al nostro paese che l’italianità non è più data dal sangue, dalla nostra genealogia o dalla nostra pelle? Come possiamo trasmettere alle nuove generazioni che il concetto di identità italiana è più complesso di quello che i nostri politici ci vogliono far credere, e che in quel concetto vi è racchiuso anche un passato coloniale che abbiamo rimosso (o abbiamo voluto rimuovere)?

Il tema della colpa emerge costantemente. In Marina, per non essersi mai fatta più domande riguardo all'attività di suo padre in Libia e per non aver approfondito la memoria di un passato coloniale trasmessa da suo nonno e che vede concretizzato ogni giorno tra i banchi di scuola; in Orazio, unico testimone delle violenze degli italiani in Libia e che sente la sua coscienza pesante a causa dei crimini commessi da un intero paese in suolo africano:
«Ecco, vedi, è soprattutto grazie a mio figlio che ho alla fine saputo quante porcate il mio paese ha fatto in Africa. Non rinnego nulla del mio passato, ti sia chiaro. In molti abbiamo fatto il nostro dovere e nulla di più. E se la mietitrice non fosse dietro l’angolo, lo rifaremmo daccapo. Ma io…». Orazio si ferma un istante. «Anche a me non resta molto, cosa credi? Ho pensato che lasciarvi fare fosse una piccola ricompensa per tutte le cose che la tua terra ha subìto.» (p. 153)
Infine, arriva la rabbia. La rabbia di chi è stato la vittima di tutta la violenza coloniale e che, oggi, non viene riconosciuta. La rabbia di chi viene indicato per strada o nelle classi di scuola come diverso, reietto, scarto umano, parassita:
«Come darti torto. Tutta questa rabbia ha un’origine precisa. Siamo simili, io e te, figliolo». Orazio si ferma per un istante. «La sola differenza fra noi è il tempo. Tu vorresti un migliore futuro. Io invece vorrei un migliore passato. Diverso comunque». (p. 205)
In ultima istanza, il romanzo di Francesco Troccoli ci invita all'empatia. Ci invita a capire ed accettare il nostro passato storico, falsamente mistificato dall'affermazione “italiani brava gente”. Con una cruda dolcezza, ci invita ad accogliere, ad aprire le nostre braccia a chi ne ha bisogno. Ci invita a comprendere colui/colei che troppo spesso indichiamo come "l'Altro" nella "nostra" società. Ci indica la strada per estirpare quelle radici dell’odio piantate dai nostri antenati e per farci carico delle colpe commesse per poterle oggi, almeno, parzialmente, espiare. Per poter riconoscere la dignità di quei ragazzini che, come Zihad, vogliono sentirsi parte di un tutto, liberi, uguali e semplicemente umani: «Zihad, quello a cavalcioni, ha appena undici anni. Ma i suoi pugni, piccoli, incerti, pieni di rancore, hanno secoli, forse millenni.» (p. 9)

Nicola Biasio



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Un mare, due paesi. Italia e Libia. O meglio, due continenti che si fanno rappresentanti della divisione tra il Nord e il Sud globale e dei relativi processi storici: l'Europa e l'Africa. Nel mezzo, il Mediterraneo, uno spazio geopolitico che è nel contempo luogo di memoria e teatro di terribili tragedie. Di ciò ne sono consapevoli i personaggi di "Mare in fiamme", ultimo romanzo di @francesco_troccoli69 e edito da @lasinodoroedizioni. Marina, professoressa di una scuola di borgata a Roma, si vedere recapitare una fotografia di una donna africana con la frase «sorella mia, aiutami». Le risposte alle domande di un'intera esistenza si celano tra le mandibole serrate di suo padre, Italo, in coma a causa di un'esplosione in Libia, e nei ricordi di Orazio, suo nonno, vecchio eroe della guerra coloniale italiana; si ritrovano tra i pugni pieni di rancore di Zihad e nella doppia vita di Gary. "Mare in fiamme" diventa allora un romanzo corale di un'Italia che deve confrontarsi con le sue diverse presenze etniche. I suoi personaggi sentono sulla propria pelle le conseguenze della colonizzazione italiana in Africa, vivono nel loro quotidiano la complessità del fenomeno migratorio, il dramma della diaspora e le difficoltà di integrazione a causa della società italiana che, ancora oggi, non vuole fare i conti con il proprio passato. Un romanzo in cui si mischiano e confondono permessi di soggiorno, passaporti, identità, voci, lacrime, popoli, storie. Ricordi. Ve ne parlerà presto @nicolabiasio_ sul sito. Intanto diteci, vi sta a cuore la tematica? #libri #books #instabooks #bookstagram #lettura #inlettura #inlibreria #reading #nowreading #bookshelf #bookporn #bookreading #booksofinstagram #libridaleggere #librichepassione #booklover #bookreader #criticaletteraria #recensione #review #recensire #lasinodoroedizioni #colonialismo #immigrazione #criticasociale #romanzo

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