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Essere figlie come condizione di esistenza: "L'eredità dei vivi" di Federica Sgaggio

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L'eredità dei vivi
di Federica Sgaggio
Marsilio, settembre 2020

pp. 336
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


La sofferenza che apre il romanzo, quella della nascita di Francesco, fratello disabile dell'autrice e dell'io narrante, sembra già costituire in sé un romanzo in potenza. Il primo capitolo ha il tono delicato e intenso insieme del romanzo novecentesco, a metà tra Natalia Ginzburg e Virginia Woolf. Ma è solo andando avanti che si svela non solo la vera protagonista del romanzo, cioè Rosa, madre di Federica e di Francesco, ma anche la vera anima del romanzo. Che non si nutre di piccole scene dense di significato, che non si conclude in una scena a effetto fine a sé stessa a cui la narrazione ritorna, ma che al contrario si dilata all'infinito, mentre la voce narrante si affanna a raccontare tutti i dettagli che Federica ricorda di sua madre, per rendere ragione di un'intera esistenza orgogliosa e forte in un solo libro. Un'impresa disperata. 

La vita di Rosa nelle parole di sua figlia non ci viene romanzata, anzi. Al primo, delicato capitolo ne succede un altro che punta subito a destabilizzarci, a farci capire che il tono del romanzo non concederà sconti a nessuno. Nemmeno a Rosa, nemmeno a Federica stessa. L'io narrante non si vergogna nel tirare fuori i suoi ricordi più dolorosi, e punta sempre a farci un ritratto quanto più veritiero possibile di una donna comune, una donna che, nelle sue battaglie quotidiane, nel suo aver vissuto attraverso due secoli, una guerra, e otto decenni, reca racchiuse in sé le nostri madri, le nostre nonne, le nostre zie. Vite di cui non sappiamo i dettagli, di cui non ci siamo mai curati più di tanto, ma che prese nel loro insieme costituiscono la vera storia di un'Italia al femminile. La Sgaggio costruisce un'io narrante dalla voce così sincera da entrare quasi in conflitto con la forma scritta, una voce che risuonerebbe meglio parlata; la voce di Federica, che, nel suo essere stata una figlia in simbiosi con il corpo e l'anima di sua madre, non vuole che questa vita sia l'ennesima ad andare persa, a mescolarsi in una storia monocorde scritta da personalità grandi e vincitrici. 

Perché in questo romanzo vincere e perdere non esistono. Lo scopo della narrazione sincopata e nuda della Sgaggio è proprio superare queste categorie e giungere a qualcosa di esterno, di extraletterario. Conta solo il ruggito di Rosa, che risuona forte e chiaro nelle battaglie vinte tanto in quelle perse. E nell'alternanza di capitoli, la vediamo prima come una leonessa, pronta alla difesa dei suoi figli e della sua famiglia, e poi la vediamo provata, da malattie, dalla vecchiaia, dalle avversità della vita di tutti i giorni, nelle sue incoerenze e imperfezioni che i romanzi di solito evitano. Ma ora che Rosa non c'è più, Federica può raccontare la sua vita tirandone le fila. La vita nei momenti più strani, cupi, bui, insensati, dolorosi. Niente ci viene risparmiato, e lo scopo è costruire un ritratto vero, vero e importante, di una donna come tante altre, che poteva essere nostra madre, ma che è stata la madre di Federica. 
La sua morte mi ha regalato più decisione nell'affermare il mio senso, che è il senso di tutti e allo stesso tempo un significato esclusivamente di mia proprietà: è il dove sono io, è il dove sono stata, è il perché il mondo mi riguarda, è il perché il dolore, è il perché la bellezza. 
Solo una storia che ha trovato la sua fine può acquistare un senso: il senso che le dai tu, il tuo senso. In un certo modo, solo una storia finita può essere raccontata, perché non c'è più l'impegno di viverla.
(...)
È come se, paradossalmente, la vita che vivi fosse vita in potenza, e la vita finita fosse finalmente vita in atto. (pp. 264-265)
Ma ha davvero senso, distinguere tra l'io narrante Federica e la scrittrice Sgaggio? Non ci è dato saperlo. La nudità graffiante della prosa sembrerebbe suggerirci di no, ci consiglia di abbandonare le riserve del lettore e di fondere la narrazione con la vita vera. Ma se la narrazione della vita ormai conclusa di Rosa ha avuto un senso, è stato quello di farci conoscere la voce che ce la raccontava; Federica Sgaggio, l'autrice e narratrice, figlia e madre a sua volta, che nel suo essere sempre stata fusa con il corpo che l'ha generata, non ci racconta l'esperienza dell'esserne separata, ma piuttosto di com'è portare nelle ossa e nelle parole le donne che ci hanno preceduto, il loro dolore e la loro bellezza. Una genealogia nata con la vita stessa, che la morte non può interrompere. 

Marta Olivi


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Il romanzo di Federica Sgaggio, L'eredità dei vivi (@marsilioeditori) è senza dubbio un romanzo particolare. Innanzitutto è impossibile determinare fino a che punto la definizione di romanzo sia corretta; nella storia della piccola Federica, di suo fratello Francesco e di sua madre Rosa troviamo tantissima verità, un'onestà difficile da trovare anche nelle autobiografie dichiarate. Che mette a nudo la storia di un'eroina che, nel suo essere fuori dal comune, ci richiama alla mente le donne della nostra famiglia, le madri, zie, nonne dei cui quotidiani eroismi non sappiamo niente. @m.andorla sta divorando i brevi capitoli, piccoli quadretti intensi e concentrati che messi insieme compongono il puzzle di una vita, e ed è sempre più affascinata dalla figura di Rosa, di cui presto vi parlerà sul sito. Anche voi amate leggere di personaggi ordinari e straordinari allo stesso tempo? #marsilioeditore #bookstagram #booklover #instabook #instalibri #criticaletteraria

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