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#CriticaNera - L'ultima avventura dell'avvocato Guerrieri: "La misura del tempo".

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La misura del tempo
di Gianrico Carofiglio
Einaudi, Stile Libero Big, 5 novembre 2019 

pp. 288
€ 15,30 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Sono due le linee narrative che compongono l'intreccio de La misura del tempo, l'ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio: la prima è quella prettamente giallistica, che segue le indagini prima e il processo dopo e che vedono impegnato l'avvocato Guerrieri; la seconda riguarda la storia d'amore avuta da Guerrieri con la madre dell'imputato tanti anni prima. Una linea in presa diretta, quindi, con un linguaggio più snello e la prevalenza di sequenze narrative e dialogiche, e una linea di lungo flashback, dove invece abbondano le sequenze descrittive ma soprattutto riflessive, nelle quali Guido Guerrieri si lascia avvolgere da una dolce malinconia, dalle "rimembranze" di un amore in cui lui ha dato certamente più di quanto ha raccolto. 
"Era Lorenza. Cioè lei. Se l’avessi incrociata per strada non l’avrei riconosciuta. Era lì davanti a me, a quel punto sapevo benissimo chi fosse, ma ugualmente non ne avevo la più pallida idea". 
Così appare nello studio di Guido Guerrieri Lorenza, "Cioè lei" chiosa felicemente Carofiglio, dicendo tanto con solo due parole. La donna fascinosa e ambigua che aveva amato durante gli anni universitari, quella che era poi scomparsa senza preavviso e motivo, riappare opaca, ingrigita dalla vita e dalle preoccupazioni: suo figlio è stato condannato in primo grado per omicidio e Lorenza chiede a Guido di occuparsi della difesa nel processo d'appello. Guido accetta, pur sapendo che questo processo lo porterà a fare i conti anche con i suoi ricordi e con la difficoltà di tenere insieme le due immagini ormai non più sovrapponibili della Lorenza di ieri e di quella di oggi. "Quando incontri dopo tanto tempo una persona con la quale hai condiviso un pezzo di vita, della quale hai addirittura creduto di essere innamorato, è inevitabile che ti sembra diversa. È cambiata, come cambiamo tutti, e questo ti appare normale. Poi, a volte, se osservi con attenzione, se non distogli lo sguardo, ti rendi conto con sgomento che quella persona non è diversa. È la stessa, almeno nei tratti sostanziali. Era nel passato in cui vi eravate incrociati, che ti era sembrata diversa. Proiettavi su di lei i tuoi desideri, le tue aspirazioni e i tuoi bisogni. In un certo senso te l’eri inventata, l’avevi creata, ti eri raccontato una bugia complessa, articolata e difficile, molto difficile da svelare".
Accetta forse solamente perché vuole andare alla ricerca dello stupore perduto: 
"Col passare del tempo alcuni luoghi della città – la pineta è uno di questi – mi ricordano sempre piú intensamente sensazioni e fantasticherie del passato remoto. Un’epoca di stupore. Ecco, certi luoghi della città mi fanno sentire nostalgia per lo stupore. Essere storditi dalla forza di qualcosa. Mi piacerebbe tanto, se capitasse di nuovo", 
come ammette durante la sua passeggiata in pineta, mentre la giuria è in camera di consiglio.
Il romanzo si snoda coniugando felicemente queste due anime: Carofiglio è un maestro nell'incollare il lettore alla pagina, quando Guerrieri ipotizza, congettura possibili scenari per l'omicidio, interroga i testimoni. Ben riuscita anche è la gestione dei personaggi secondari, gli aiutanti dell'avvocato, anche la detective privata con cui lui condivide una bizzarra ma piena storia d'amore. 
Come in ogni buon giallo seriale che si rispetti, anche i tempi morti del protagonista vengono ritualizzati, attraverso abitudini che riannodano i legame fra lettore e personaggio: in primis il dialogo catartico col sacco da pugilato, poi  le ore notturne da Ottavio, all’Osteria del Caffellatte. Ciò che invece eccede la struttura del giallo è l'incontro con il passato, l'amarezza per ciò che l'avvocato Guerrieri ha perso di quel giovane praticante che era, ma soprattutto un linguaggio poetico, non meramente denotativo, che risulta in taluni casi fortemente evocativo: 
"L'aria era asciutta, soffiava un vento leggero che a tratti dava i brividi e suggeriva un presagio di irripetibilità".
Queste digressioni nelle insidie dei ricordi, tuttavia, rallentano ma non raffreddano la lettura, la corsa alla scoperta del colpevole. 
Senza svelare nulla, posso solo dire che anche il finale delude le aspettative di chi cerca un detective onnipotente come Poirot o Sherlock Holmes e ci consegna, invece, un giallo sui generis, ben riuscito e meditato.

Deborah Donato




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