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Le ricette della signora Tokue

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Le ricette della signora Tokue
di Durian Sukegawa
Einaudi, 2018

Traduzione di Laura Testaverde

pp. 192
€ 12 (cartaceo, copertina flessibile)
€ 9,99 (ebook)




Un piccolo gioiello per lirismo, grazia e bellezza. Le ricette della signora Tokue è un romanzo piuttosto breve, pubblicato da Einaudi lo scorso anno e che personalmente ho riscoperto solo di recente: cercavo una lettura piacevole, forse neanche particolarmente impegnativa, da gustarmi in un weekend di relax e ho trovato una storia delicata e toccante, molto più ricca di quello che poteva apparire. Una storia infatti che dietro l’apparente semplicità rivela qualcosa mi ben più complesso, si apre a spunti e riflessioni con cui siamo chiamati a confrontarci, e che è anche racconto di una pagina probabilmente poco nota della storia giapponese recente. Un piccolo gioiello che mi è subito sembrato perfetto anche per il gruppo di lettura che guido, a cui sicuramente lo proporrò, certa se non di incontrare il gusto di tutti i partecipanti ma di suscitare senza dubbio un buon dibattito per i numerosi spunti di discussione che offre questa lettura.
Ambientato nei sobborghi di Tokyo, che Sukegawa evoca sulla pagina in maniera così nitida da riuscire quasi ad avvertirne odori, suoni, colori, è, in primo luogo, una storia di amicizia, di solitudini che si incontrano per il bisogno di non essere più tali: tra il pasticcere Sentarō, che di malavoglia gestisce una bottega di dorayaki (dolce tradizionale giapponese), e l’anziana signora Tokue che giorno dopo giorno si presenta alla sua porta chiedendo di diventarne l’aiutante. Conquistato dal gusto dello straordinario an, la confettura di fagioli con cui si farciscono i dorayaki, Sentarō pur con una certa ritrosia assume la donna e da lei, lentamente, apprende molto più della ricetta dell’an perfetto. Mentre scorrono le stagioni – scandite dalla deliziosa immagine del ciliegio davanti alla vetrina del negozio – il rapporto tra i due improbabili collaboratori assume sempre più i contorni dell’amicizia, i clienti affollano il locale deliziati da quel nuovo sapore e lo stesso Sentarō pare trovare inaspettata motivazione nel proprio lavoro alla pasticceria.

Non l’aveva scelto lui quel lavoro. Voleva tornare a essere libero il prima possibile. Era tutto quello che desiderava. Eppure provava uno strano senso di soddisfazione, era come se avesse raggiunto un traguardo. E quindi si sentiva un po’ disorientato. Da un lato aveva voglia di gridare vittoria, dall’altro sentiva che la situazione si complicava… aveva un po’ perso le coordinate. (p. 37)
Un equilibrio, tuttavia, che si spezza per il peso dei pregiudizi e della diffidenza ma che porterà i due ad avvicinarsi ancora di più, alla scoperta dei segreti del passato dell’uno e dell’altro, accompagnati da una ragazzina solitaria, Wakana, che non si arrende all’allontanamento di Tokue. 
C’è, in questo romanzo, tutta la dolcezza dei dorayaki e di un’amicizia che lentamente si fa sempre più salvifica per entrambi, c’è la ricerca di sé e il desiderio di scoprire ciò che rende felici e soddisfatti. Ma c’è, anche, l’ombra di una pagina della storia giapponese di cui poco si parla, almeno in occidente, ci sono la malattia, il segreto, la discriminazione, lo scontro con una società chiusa e diffidente.

Un romanzo agrodolce, si è detto, un po’ come lo è la confettura di an, che nella sua semplicità e scorrevolezza permette tuttavia di riflettere su diverse tematiche: il ruolo degli anziani e della memoria, il peso della discriminazione, la solitudine, l’alienazione del mondo contemporaneo. Sentarō e Tokue, con la loro inattesa amicizia, creano un legame tra mondi per certi versi diametralmente opposti eppure si ritrovano molto più simili di quanto le differenze generazionali possono a un primo sguardo lasciare intendere: entrambi, per ragioni diverse, emarginati dalla società, con differente energia e motivazione combattono per uscire dall’isolamento cui si sono ritrovati e per cercare la propria ricetta della felicità. È questo, infatti, l’insegnamento più importante della signora Tokue, la ricetta che pagina dopo pagina vediamo svelarsi e di cui anche noi insieme a Sentarō proviamo a scoprire il segreto: la felicità, che si conquista mediante la capacità di ascoltare tutto ciò che ci circonda, le persone innanzitutto, ma anche l'armonia generale del mondo, e comprendere il valore unico di ognuno di noi. Tokue, che immagina il viaggio dei fagioli rossi usati per preparare l’an, ne “ascolta” la storia, sente il vento e la pioggia che hanno accolto, e solo grazie a queste attenzioni la confettura secondo lei ha quel sapore delizioso che la contraddistingue da tutte le altre. Ho trovato meraviglioso il modo di sentire il mondo come lo avverte Tokue:
Sono convinta che ogni cosa in questo mondo abbia il dono della parola. Secondo me si può prestare ascolto a tutto, ai passanti sulla strada, ovviamente, ma anche a tutti gli esseri viventi, e persino ai raggi del sole e al vento. Forse per lei ero solo una vecchia chiacchierona ma, malgrado tutte le mie parole, mi è rimasto il rimpianto di non essere riuscita a trasmetterle l’essenziale. (p. 116)
La parola che, ancora una volta, salva. Avvertire la presenza del mondo, il contatto con tutto ciò che ci circonda, creare connessioni umane che arrivano davvero al cuore, combattere l’indifferenza, la discriminazione, il pregiudizio. È questo – e molto altro – che si cela appena sotto la superficie di questa storia, è questa la ricetta che Tokue tenta di trasmettere a Sentarō, a Wakana, a noi lettori. Una donna piccola ma caparbia, che non si è spezzata sotto il peso della malattia e delle difficoltà che ne sono derivate, che non si è lasciata vincere dalla rabbia nei confronti di una società che per tutta la vita ne avrebbe voluto fare una reclusa.
Finalmente siamo liberi di uscire da qui… ma tornare nel nostro paese natale non è altrettanto semplice. Mia mamma e i miei fratelli sono morti. Ho contattato mia sorella ma, come temevo, mi ha chiesto di non farmi vedere, quindi non posso tornare laggiù. Nessuno ha voluto le spoglie di Yoshiaki. Qui riposano i resti mortali di più di quattromila persone. Quando è cambiata la legge è stata una grande gioia, ma una gioia momentanea. Ormai sono trascorsi più di dieci anni e quasi nessuno dei famigliari si è presentato a reclamarli. Il mondo è sempre così duro. (p. 108)
«Il mondo è sempre così duro», ma alla sua crudeltà non possiamo arrenderci. C’è vita, c’è bellezza, c’è speranza. Anche nei momenti più bui. Anche quando abbiamo smarrito la strada:
Perché io credo che qualsiasi siano i nostri sogni, prima o poi troveremo per forza ciò che cerchiamo, grazie alla voce che ci guida. La vita di un essere umano non è mai uniforme: ci sono momenti in cui il colore cambia di colpo. (p. 136)
E all’improvviso, quel colore, ha le sfumature meravigliose di un ciliegio in fiore. Speriamo solo di essere attenti a riconoscerlo, di essere in grado di ascoltare davvero il mondo. E, se così non fosse, di trovare accanto a noi una signora Tokue capace di metterci in ascolto.
[…] gli insetti, gli alberi, le piante e i fiori. Il vento, la pioggia e la luce. La luna. Tutte le cose del mondo hanno il dono della parola, ne sono convinta. Solo ad ascoltarle ci si riempie il cuore. Essere nel bosco del Tenseien è abbastanza, perché lì dentro c’è un mondo intero. La notte, basta prestare ascolto al mormorio delle stelle per sentire lo scorrere eterno del tempo. (p. 137)

Di Debora Lambruschini