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Women’s Fiction Festival: qualcosa di rivoluzionario.

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«Le parole hanno sempre il potere di cambiare il mondo», scriveva Terry Pratchett. Ed è questa la massima che ha accompagnato il visitatore durante tutto il tragitto. WFF, Women’s Fiction Festival: qualcosa di rivoluzionario.
Women’s Fiction Festival, giunto alla XIV edizione, l’unico dedicato alla narrativa femminile in Europa, si è concluso domenica 30 settembre. Con la formula writer's conference, ha accolto più di 60 iscritti al congresso internazionale, provenienti da Europa e Stati Uniti, scrittori, editor, agenti letterari, esperti del settore. Tanti appuntamenti con gli autori hanno animato la città di Matera dal 27 al 30 settembre, molti anche nelle scuole, oltre alle attività formative di BIILL, la Biblioteca della Legalità, la prima nel Sud Italia fondata al WFF. È davvero qualcosa di nuovo quello che WFF fa: sostiene i libri e l’editoria in una città che ne era troppo povera. Matera, poetica già all’arrivo e piena di storie da portarsi dietro, alla partenza. 
Tra gli incontri più attesi, in apertura, quello con Dori Ghezzi, che ha raccontato la storia d’amore con Fabrizio De André in Lui, io, noi (Einaudi). Tra gli ospiti d’eccezione Olivia Sudjic, autrice inglese di Una vita non mia (Minimum Fax), ospite del WFF grazie al British Council; Roberto Moliterni, autore de La casa di cartone (Quodlibet), Veronica Raimo con Miden (Mondadori) e Violetta Bellocchio, autrice de La festa nera (Chiarelettere).

Sabato 29 settembre, Palazzo Lanfranchi si è tinto di giallo; tante eroine-detective si sono riunite per risolvere i loro casi. Umani? Anche. Cristina Cassar Scalia, autrice di Sabbia Nera (Einaudi), racconta come nasce quella che lei ama chiamare ‘la sbirra’; Chiara Moscardelli, autrice di Teresa Pappalardo e la maledizione di  Strangolagalli (Giunti).
«Teresa Papavero è Chiara Moscardelli», spiega con ironia, «le mie protagoniste sono sempre Chiara Moscardelli che si evolve, quindi, sono sempre delle povere sfigate»; Rosa Teruzzi, autrice di Non si uccide per amore (Sonzogno), racconta i suoi quattro personaggi femminili. Giuseppina Torregrossa, autrice de Il basilico di Palazzo Galletti (Mondadori), racconta Maró, detective a capo di un gruppo anti-femminicidio.  «È un avatar», spiega, «dove ho proiettato le mie contraddizioni e insicurezza»; Ilaria Tuti, autrice di Fiori sopra l’inferno (Longanesi), descrive, invece, la sua eroina come compassionevole: «definire i confini tra bene e male non è facile», dice l’autrice, «il mio personaggio trasforma la sua sofferenza in un fuoco di compassione»; infine, la detective Lolita Lobosco: per la risoluzione dei casi, un personaggio simile a Montalbano. Isabella Fava, moderatrice del tavolo, giornalista di «Donna Moderna» e parte attiva del Festival, sottolinea come tutte le protagoniste di questi romanzi siano, in qualche modo, l’alter ego delle scrittici. Un puzzle di figure femminili, affascinanti e introspettive. 

L’introspezione, spesso considerata prerogativa femminile, lo è realmente? L’uomo è davvero meno introspettivo della donna?
Secondo Giuseppina Torregrossa, il maschio ha una psicologia molto lineare rispetto a quella della donna, più contorta. Quindi sì, le donne sono più introspettive degli uomini nella realtà, ma non è detto che sia così nella scrittura. «Delitto e castigo», spiega Torregrossa, «è stato scritto da un uomo». Insomma, è come se il Giallo fosse pensato per la trasposizione cinematografica, cosa che impoverisce l’introspezione e predilige l’azione, motivo per cui, fino a poco tempo fa, era un genere tipicamente maschile. Che dire? Una rivoluzione anche di genere quella delle gialliste, del femminile e letterario.  

La giornata di sabato, si è conclusa con il Premio Baccante, nella suggestiva Casa Cava (uno spazio ricavato da un’ex cava di tufo), assegnato a Beatrice Masini, traduttrice e direttrice editoriale di Bompiani. La cerimonia, condotta da Alessandra Tedesco, giornalista di Radio 24, è stata accompagnata dall’esibizione del chitarrista materano Antonello Fiamma. «Sono molto contenta di aver ricevuto questo premio che conosco da anni per il suo prestigio», ha affermato Beatrice Masini, «e sono molto contenta di essere qui a Matera e a questo festival guidato da una squadra di Baccanti».

Domenica 30 ha chiuso le porte al festival con un programma altrettanto ricco. Lynne Kutsukake, autrice di Tradurre la parola amore (Nuova Editrice Berti), ha raccontato il suo romanzo storico, ambientato a Tokyo durante l’occupazione americana. Subito dopo si è tenuto l’ incontro con Teresa Radice e Stefano Turcone, autori del romanzo grafico Non Stancarti di andare(Bao Publishing), sul tema della distanza e dell’amore.

Infine, l’aperitivo letterario con «Donna Moderna» da Stefania Boutique, in compagnia di Isabella Fava, giornalista di «Donna Moderna», Giuditta Casale, docente e critica letteraria, Alessandra Clemente, assessora alle Politiche Giovanili del comune di Napoli; insieme hanno raccontato Donne come noi, pubblicato da Sperling&Kupfer e scritto da «Donna Moderna» per festeggiare trent’anni di attività delle rivista. Il libro raccoglie cento storie di donne eccezionali. «C’è un grande ottimismo ma non un ottimismo ideologico, è reale: attivo», spiega Giuditta Casale, «’Come’, ha il significato di ‘in mezzo a noi’. Raccontare queste storie, serve a fare capire che queste donne  sono eccezionali si, ma come noi». 

Tra le cento storie, quella di Alessandra Clemente. Sua madre, Silvia Ruotolo, è stata vittima innocente delle Camorra nel 1997; Alessandra racconta quello che ha visto a dieci anni e il motivo del suo attivismo politico oggi, consapevole che l’odio non serva a niente. Una chiusura fresca quella di Women’s Fiction Festival, che corona il senso stesso del festival: dare speranza a delle storie belle. 
«Qual è il tuo sogno di felicità?», chiede infine Giuditta Casale.
«Il mio sogno di felicità?», dice Alessandra. «È concepire un figlio nella mia città: Napoli. Non più violenta». 


Isabella Corrado