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Una grande capitale europea fino alla Grande Guerra: la Napoli Belle Époque di Francesco Barbagallo

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Napoli, Belle Époque. 1885-1915
di Francesco Barbagallo
Laterza, 2015 (prima edizione)
Economica Laterza, 2018

pp. 196
€ 11,00 (cartaceo)


«Fino alla Grande Guerra Napoli è ancora una capitale europea. Dopo non lo sarà più». Si chiude con queste parole Napoli, Belle Époque, lo studio di Francesco Barbagallo dedicato alla città partenopea nel periodo che va dal 1885 al 1915. Ed è una sentenza evidentemente categorica, che traccia una linea netta di separazione tra un prima e un dopo nell’evoluzione di quella che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, aveva tutte le caratteristiche della metropoli moderna. Il volume, pubblicato da Laterza una prima volta nel 2015 e ora ristampato nella collana Economica, aiuta proprio a scoprire in che cosa consistesse questa modernità, e a comprendere come mai, per certi versi, la città più rappresentativa del Sud non abbia avuto nulla da invidiare addirittura alla stessa Parigi.

Non è la prima volta che Francesco Barbagallo si occupa di Italia meridionale: professore emerito di Storia Contemporanea nell’Università di Napoli Federico II, sono numerosi i suoi contributi sul Mezzogiorno e sull’Italia contemporanea. In questo lavoro, però, il focus è molto preciso, dal momento che l’analisi si concentra sullo sviluppo della principale città campana negli anni immediatamente precedenti il primo conflitto mondiale, in una disamina tesa a dimostrarne il desiderio vitalistico di progresso e di sviluppo:
«tra Ottocento e Novecento (…) Napoli vive davvero la sua Belle Époque, che non è fatta solo di luminosi café chantant e seducenti chanteuses, ma anche di iniziative economiche e progetti politici, di espressioni culturali di elevato livello e delle prime, originali forme della cultura di massa. Una città, quindi, che non sembra affatto ripiegata nella nostalgia di una mitica età aurea, quando un popolo intero cantava, felice di poter vivere all’aperto per il dolce clima e di sfamarsi grazie alla benevola magnanimità di sovrani e signori» (p. 103).
Nel corso di una trattazione che evidentemente si configura anche come un omaggio alla città partenopea, Barbagallo non manca talvolta di fare i conti con alcune tesi personali precedentemente espresse, e che vengono ora da lui rilette sotto una luce nuova, tesa a proiettare ombre meno nette e meno definitive rispetto a quanto fatto in passato:
«sembra giunto il momento di rivedere i giudizi troppo critici, espressi anche da chi scrive, sulle classi dirigenti napoletane nell’Italia liberale perché, nonostante i loro evidenti limiti sul terreno politico-amministrativo e delle iniziative industriali, il confronto con le classi dirigenti del settantennio repubblicano va tutto a vantaggio dei bistrattati aristocratici e borghesi della Belle Époque, che a Napoli non si svolgeva solo nel Salone Margherita con le belle sciantose» (pp. 136-137).
Nel suo complesso – sette capitoli in tutto – la disamina dello studioso non trascura nessun aspetto del vivere associato. Si parte con le grandi opere ingegneristiche che riguardarono Napoli in seguito alla terribile epidemia di colera che la sconvolse a partire dal settembre del 1884, e dunque grande spazio viene dedicato all’opera di Risanamento e alla messa a punto del sistema fognario; ed è sempre in questi anni che l’ingegnere Lamont Young (di sangue scozzese e natali partenopei) propone i suoi progetti per un nuovo assetto urbano (invano, dal momento che rimarranno sulla carta) e che il sistema dei trasporti viene ampliato, con i lavori delle ferrovie complementari Cumana e Circumvesuviana. Per quanto riguarda lo sviluppo industriale napoletano, al crocevia tra i due secoli esso appare legato a capitali prevalentemente stranieri, che entrano in gioco in particolare nel caso dei servizi pubblici: ai francesi la compagnia del gas, agli svizzeri le società elettriche, agli inglesi l’acquedotto, ai belgi il servizio tranviario  e quello delle ferrovie secondarie; per quanto riguardava le industrie, quella metalmeccanica dipendeva dall’iniziativa britannica e francese, quella tessile era in mano agli svizzeri e ai tedeschi.

Eppure è proprio a Napoli, e per iniziativa italiana, che nascono i celebri Grandi Magazzini Mele, un’impresa a conduzione familiare e allo stesso tempo modernissima e di vero respiro europeo, che ben prima di altre realtà destinate a entrare nella storia (si pensi ai negozi La Rinascente), fa competere il capoluogo campano direttamente con le Galeries Lafayette parigine e con tutti i “paradisi delle signore” consacrati da importanti trame letterarie. Grande vivacità, ancora, è quella che caratterizza la vita culturale cittadina: è questa la Napoli intellettuale di Benedetto Croce, la Napoli in cui Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao fondano il quotidiano “Il Mattino”; è questa la culla musicale di un autore quale Salvatore Di Giacomo, la cassa di risonanza in cui, anche grazie alla festa di Piedigrotta, si assiste alla diffusione (e poi anche all’inflazione) della canzone napoletana; è questo il palcoscenico in cui Edoardo Scarpetta (futuro padre dei De Filippo) diventa una leggenda del teatro sostituendo la maschera di Pulcinella con quella del “mamo” Felice Sciosciammocca; ed è sempre questo l’ambiente in cui  trovano un humus fertile le proposte architettoniche e decorative dello stile Liberty e floreale, le nuove arti della fotografia e del cinema muto, e in cui si diffondono nuove abitudini legate all’industria dello spettacolo, come gli intrattenimenti musicali dei café chantant (celebre, su tutti, il Salone Margherita).

Paragrafo dopo paragrafo, Francesco Barbagallo conduce il lettore fino al punto di non ritorno rappresentato dall’entrata in guerra dell’Italia, giudicato deleterio per tutto il paese e in particolare per il meridione. Così, non da ultimo per il suo finale preannunciante tragedia, Napoli, Belle Époque è un libro per certi aspetti ingannevole. Perché il suo titolo, senza dubbio molto suggestivo, potrebbe far immaginare un contenuto in cui una presunta dolcezza del vivere vada a riflettersi per contagio anche nella scrittura dell’autore. Non va proprio così: la bella prosa di Francesco Barbagallo, per quanto scorrevole, non mira mai al bozzetto nostalgico e pittoresco, e dunque tocca anche, come si è detto, numerosi aspetti problematici e addirittura drammatici; per questo ogni capitolo è fitto di date, nomi e avvenimenti concatenati, che richiedono tutta l’attenzione del lettore e presuppongono spesso una sua conoscenza pregressa dei principali fatti storici. Il pubblico ideale del volume, oltre a quello degli appassionati della storia della città e dei cultori del suo "mito", si configura dunque come quello accademico e scolastico, che non potrà non trarre utile vantaggio da un approfondimento tanto mirato, corredato da un bel fascicolo di immagini e da una ricca bibliografia in coda.

Cecilia Mariani



"Fino alla Grande Guerra, Napoli è ancora una capitale europea. Dopo non lo sarà piu": così si chiude "Napoli, Belle Époque" di Francesco Barbagallo, appena ripubblicato da @editorilaterza . La Napoli del colera e del Risanamento, delle ferrovie e dei capitali esteri, del quotidiano "Il Mattino" e dei Grandi Magazzini Mele, del Salone Margherita e dei café chantant, di Edoardo Scarpetta, Salvatore Di Giacomo, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao e Benedetto Croce. Cecilia Mariani lo ha letto, apprezzato e recensito per noi... il suo commento presto sul sito! #libro #book #instalibro #instabook #leggere #reading #igreads #bookstagram #bookworm #booklover #bookaddict #bookaholic #libridaleggere #librichepassione #libricheamo #criticaletteraria #recensione #review #recensire #recensireèmegliochecurare #napoli #napolibelleepoque #belleepoque #francescobarbagallo #laterza #editorilaterza #storia #storiacontemporanea
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