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Ernst Cassirer, “Il diritto e la ragione. Rousseau, Kant, Goethe”.

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Il diritto e la ragione. Rousseau, Kant, Goethe
di Ernst Cassirer
Donzelli, 2017

pp. 150 
€ 18,50 


Vi sono alcuni filosofi “fatali” per lo sviluppo e l’elaborazione di un pensiero di un altro filosofo, come lo fu Schopenhauer per Nietzsche, Nietzsche per Heidegger, Hegel per Croce. Non vi è alcun dubbio, e il presente testo ne dà un’ulteriore e illuminante conferma, che per Ernst Cassirer il filosofo imprescindibile, quello con cui non smise mai di dialogare, fu Immanuel Kant. Il testo qui recensito fu pubblicato nel 1945 a Princeton ed è la prima opera postuma di Cassirer, pubblicata da Donzelli nel 2017 con la traduzione, la cura e un bel saggio introduttivo di Giulio Raio.
Il testo comprende due saggi: Kant e Rousseau e Goethe e la filosofia kantiana, che nelle intenzioni dell’autore dovevano essere una introduzione nel mondo accademico americano alla Filosofia dell’illuminismo. È importante rilevare la data di scrittura dei due saggi, rispettivamente 1939 e 1944, anni nei quali Cassirer in esilio dalla Germania nazista rifletteva – nell’unica maniera in cui un filosofo del suo rango poteva fare, cioè con radicalità e non solo sotto la spinta della contingente drammaticità – sul rapporto tra norma e violenza e sulla libertà come fondamento della società. La fatica a cui l’ermeneutica cassireriana di Rousseau va incontro è debellare definitivamente l’interpretazione naif dello «stato di natura» di Rousseau e le conseguenti riflessioni sulla visione facilmente ottimistica dell’essenza dell’uomo. Nei nostri studi scolastici, in effetti, siamo stati abituati a porre Kant e Rousseau, e la loro maniera di intendere l’illuminismo, su due binari inconciliabili. Il saggio di Cassirer, invece, inizia da un dato biografico di fatto: lo studio di Kant, arredato con la semplicità spartana che siamo soliti attribuire al filosofo di Königsberg, aveva un unico ornamento: un ritratto di Jean-Jacques Rouseau. Quale il senso di questa riverenza? Si domanda Cassirer.
Non c'è dubbio che ciò Kant pensava di dovere a Rousseau non erano determinate singole dottrine, ma il fatto che Rousseau gli avesse indicato, in un punto cruciale del suo sviluppo, la via che da allora egli non avrebbe più abbandonato. Kant non vide in Rousseau il fondatore di un nuovo «sistema», ma il pensatore che possedeva una nuova concezione dell'essenza e del compito della filosofia, della sua destinazione e della sua dignità.
La comprensione di questa nuova "destinazione" della filosofia è sì il concetto di "stato di natura", ma in modo completamente diverso da come i colleghi illuministi di Rousseau lo andavano interpretando. Kant polemizza con Voltaire e con la sua interpretazione in senso realistico dello stato di natura, come se Rousseau potesse veramente incoraggiare il genere umano ad un ritorno nelle foreste. Lo stato di natura deve essere interpretato non come un principio costitutivo ma come un principio regolativo. Cassirer mostra bene, dunque, quanto di Kant vi sia nella sua esegesi del filosofo francese, cioè quanto sia servito a Kant il confronto con Rousseau per elaborare la sua Fondazione della metafisica dei costumi. Analogamente, noi lettori ci chiediamo in che modo questa riflessione su Kant e Rousseau serva a Ernst Cassirer ad illuminare il suo presente.
Kant ha detto che se il diritto morisse o fosse distrutto, l'esistenza dell'uomo sulla terra non avrebbe più senso. Rousseau prova il primo forte sconvolgimento del suo essere, quando deve riconoscere che la società, che dovrebbe essere la custode del diritto, è sempre divenuta in tutte le sue forze strumento di oppressione e di gravissima ingiustizia.
Che Cassirer scriva queste parole nel  '39, nel momento in cui la società europea da custode del diritto si è tramutata in barbarie, è qualcosa che ci fa comprendere l'urgenza non solo teoretica con cui il filosofo interroga i suoi due illustri predecessori.
Anche il secondo saggio contenuto nel presente testo, sebbene apparentemente appaia più interno al dibattito criticista sulla figura di Goethe, ha un suo aggancio alla contemporaneità di Cassirer, perché si interroga sul concetto di vita, di limite, di forma. SI interroga, cioè, sulla possibilità di trovare una razionalità meno rigida di quella illuminista, eppure che funga da diga alle derive irrazionaliste che si sono presentati nella società europea. Cassirer, al pari di altri suoi contemporanei (Wittgenstein e Spengler) è attratto dal Goethe scienziato e dalla sua idea di "metamorfosi". La scienza goethiana si presentava come un metodo alternativo a quello cartesiano-galileiano.
Goethe non conosce un intelletto siffatto, che domina in modo assoluto e legifera. Egli vuole anche qui non fermarsi al mero pensare e giudicare: è sospinto al vedere. Non vuole solo concettualizzare; come Faust, vuole vedere la natura operante dinanzi alla propria anima.
Goethe incarna l'attitudine alla visione, all'immergersi nell'abbondanza e nella molteplicità delle forme viventi, contro una scienza astratta e schematica. In questo come in altri testi di Cassirer resta a mio avviso inspiegabile il mancato confronto con chi aveva detto qualcosa di definitivo sulla differenza tra intelletto e ragione: ossia Hegel. Anche nel testo qui recensito, di pregevolissima qualità e utile tanto alla comprensione di Cassirer quanto ad una lettura sotto una nuova feconda ottica di Rousseau e Kant, resta un convitato di pietra: l'idealismo tedesco. La storiografia cassireriana si ostina  a tornare a Kant come se non vi fosse stato l'idealismo, eccezione fatta - in questo testo - per due brevi, ma marginali citazioni di Fichte.


Deborah Donato