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Il 2017 da lettrice di Debora

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Il 2017 di Debora è stato
speranza

Non è stato un anno facile dal punto di vista personale, segnato da un gravissimo lutto che ha aperto uno squarcio nel cuore, impossibile da risanare davvero del tutto. Ho perso mio padre e questo in qualche modo ha cambiato tutto: cercare di venire a patti con una sofferenza devastante, rendersi improvvisamente conto della caducità della vita e diventare adulti, di colpo, senza più possibilità di tornare indietro. Sì, ha cambiato tutto, spostato il centro e costretto a reimmaginare il quotidiano, ma qualcosa per fortuna non è cambiato: il mio sguardo sul mondo, quel misto di fiducia, ottimismo e un po' di sconsideratezza che sempre lo faceva sorridere, qualche volta arrabbiare nel tentativo di proteggermi e riportare con i piedi per terra quella figlia con la testa costantemente tra le storie. Perché, oggi più che mai, sono profondamente convinta che ci sia bellezza, nonostante tutto. E, come in quegli strani casi della vita che non è necessario spiegarsi, anche il fil rouge delle mie letture di questo 2017 è racchiuso in quella parola, speranza, che si intreccia a bellezza, poesia, umanità. Un sentire che mi ha accompagnato nella vita e tra le pagine, da portare con me anche nel nuovo anno.
Ho aperto il 2017 con la struggente Trilogia della pianura di Haruf (NN editore), un canto di speranza e straordinaria umanità: il racconto di quelle vite semplici, ancora una volta rese straordinarie dal miracolo della letteratura, un quotidiano di felicità misurata, solitudini, speranza, affetti e famiglia, qualsiasi forma essa assuma. La vita, imperfetta, ma proprio per questo vita. E il lascito più importante di Haruf, quella straordinaria fiducia nell'uomo, nei suoi istinti migliori, che è un vero atto di ribellione e coraggiosa sfida a questi tempi di cinismo e superficialità dilaganti.

Un inno alla vita, si diceva, e di fiducia nelle possibilità che ci offre, se siamo disposti a riconoscerle, a riconoscere la bellezza: come in Tutto è possibile (Einaudi), di Elizabeth Strout, la storia più bella ed intensa che ho letto quest'anno. Al piacere della lettura e della straordinaria opportunità di incontrare l'autrice (qui la cronaca dell'incontro) ospiti in casa editrice Einaudi, si intreccia l'emozione per l'arrivo di una nuova, del tutto inaspettata felicità che la fine dell'estate ha portato con sé e che, ancora una volta, mi ha spinta a credere che tutto è – davvero – possibile, se solo siamo disposti a crederci e a riconoscere quegli attimi di grazia, lampi di luce e bellezza abbaglianti nel caos della vita. La verità perfetta che ho imparato un po' anche grazie ad Elizabeth Strout e alla sua storia.

E se Haruf e Strout sono i cantori della vita semplice, di un quotidiano in cui sforzarsi di cercare lo straordinario, i due romanzi di George Saunders e John Williams che ho letto quest'anno, seguono un percorso differente, ma che riconduce ancora una volta alla parola che ho scelto come simbolo del mio anno da lettrice. Non l'umanità piccola e le vite di una qualche sperduta comunità del Midwest americano, ma due personaggi storici che in forma diversa hanno contribuito a cambiare il mondo: il presidente americano Lincoln, nel primo romanzo di Saunders, Lincoln nel Bardo (Feltrinelli) , e l'imperatore Ottaviano Augusto, in quello di Williams, Augustus appunto (Fazi editore). Entrambi, però, ritratti nella loro veste più intima, umana, sofferente, messi di fronte alle prove più difficili della loro esistenza come semplici uomini. Il dolore privato, la ragione di stato, i dubbi, le paure, la sofferenza più lacerante. Eppure, ancora, ho trovato tra quelle pagine inaspettata bellezza e speranza, consolazione perfino.

È il potere salvifico della parola, della letteratura che sa andare dritta al cuore di ognuno di noi, che ci ricorda di quanta grazia e bellezza può essere ricco il mondo, se riusciamo ad andare oltre il cinismo e la violenza che ci circonda. Credendoci con coraggio ed ostinazione, perfino quando sembra impossibile di fronte alle prove più dure, di fronte al dolore, nell'ora dorata di un'innocenza perduta per sempre, come in The Outsiders (Rizzoli): perché se quella bellezza riesci a riconoscerla, solo così puoi sopravvivere. E sfidare la vita, sfidare il dolore.

Ecco, la capacità di riconoscere la bellezza è il mio augurio per me stessa e per voi. 

Debora Lambruschini