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#CriticaLibera - Dentro i sogni di Antonio Tabucchi

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Nel 1992 Antonio Tabucchi, scrittore e studioso, fece un sogno. Sognò di vivere i sogni di altri, di camminare tra i percorsi notturni dei loro spiriti grandi. Lo fece per venti volte, affidando questi sogni a una raccolta di racconti che, come sempre per Tabucchi, è una carta geografica di valori e ricordi.
Apuleio, Caravaggio, Goya, Collodi, Cechov, Pessoa, Garcia Lorca... ogni racconto è dedicato a un personaggio del passato che Tabucchi ha letto, studiato, amato.

Si parte da Dedalo, il primo che ha sognato di costruirsi delle ali per sfuggire dal labirinto in cui siamo rinchiusi; si arriva a Freud, che per primo ha cercato nel sogno uno spazio privilegiato di accesso alla psiche dell'uomo. Un libro-passeggiata che comincia in un'epoca impossibile da datare e si conclude alle porte del secolo scorso, in quel 1899 che sembrava ancora un lungo sogno, in una Europa dove il positivismo e il progresso scientifico incontravano l'irrazionale.
Troviamo Ovidio che, trasformatosi in farfalla, canta alla presenza del Cesare, Cecco Angiolieri che diventa una palla di fuoco tra le vie di Siena, Rabelais che in una notte di tempesta incontra il signor Pantagruele, Toulouse-Lautrec che balla libero un can can con la sua Jane Avril.
E, anche se non nominati, dentro ci sono tanti altri grandi sogni della letteratura: Leopardi (Era il mattino, e tra le chiuse imposte/ Per lo balcone insinuava il sole/ Nella mia cieca stanza il primo albore), Pascoli (io ne seguiva il vano sussurrare/sempre lo stesso, sempre più lontano), Shakespeare (Sire, voi parlate un linguaggio che non comprendo. La mia vita è alla mercé dei vostri sogni ed io ve l'abbandono), Carrol (Alice! a childish story take/ And with a gentle hand/Lay it where Childhood's dreams are twined...). 

Sogni di sogni è un'opera profondamente tabucchiana perché gioca con la materia del tempo, a volte così tangibile, altre così incorporeo. È come una clessidra che continua a ribaltarsi: da un lato ci sono i personaggi che la mitologia e la storia ci hanno consegnato con le loro opere e gesta, dall'altro c'è l'immaterialità dei loro ricordi, delle loro coscienze che Tabucchi mette in forma letteraria come "pallide illusioni, implausibili protesi". 
Perché è questo che sono i nostri sogni: supposizioni di un altrove. E doppiamente lo sono i sogni degli altri, luoghi che possiamo solo immaginare. È con umiltà che Tabucchi tesse la tela dei sogni dei suoi artisti e li interpreta timidamente, firmandosi "povero postero" nella prefazione della raccolta.
Un omaggio ai poeti, ai sognatori, agli inventori, un omaggio all'illusione della letteratura come solida realtà che ci sostiene.

Io ho letto questo libro per la prima volta in una sola sera, proprio prima di dormire; mi ha aperto le porte a una notte piena di sogni. A volte lo riprendo per risfogliarlo, per ricordarmi i passi più intensi del sogno di Caravaggio - accecante come la luce dei suoi quadri - o la commovente chiusura di quello di Pessoa. Mi succede sempre la sera, forse perché spero che ancora una volta Tabucchi mi accompagni moltiplicando la mia capacità di sognare.


Claudia Consoli