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#PagineCritiche - Tucidide, il primo «cronista embedded» della Storia

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Tucidide
La menzogna, la colpa, l'esilio
di Luciano Canfora

Economica Laterza, 2017



353 pp.

13 €



In questo bellissimo e importante studio Luciano Canfora, professore emerito dell'Università di Bari,  ci prende per mano e ci conduce a risolvere un enigma che per decenni ha angustiato gli studiosi di storia greca. Chi era davvero Tucidide? Il pregiatissimo storico da tutti universalmente riconosciuto o un autore che lavorava di fantasia?  Il valoroso stratega o l'esiliato, macchiatosi della colpa dell'incapacità? Addentrandoci nei testi greci, nella storiografia tràdita e nelle varie interpretazioni storiografiche, saremo portati da Canfora a svelare il mistero, che, alla fine, sembrerà dispiegarsi, chiaro e palese, ai nostri occhi. Almeno seguendo la logica di questo validissimo studioso. Il quale, in questo libro, offre alla storiografia moderna una versione oserei dire definitiva (se solo si potesse usare questo aggettivo, cosa abbastanza ardita, visto che gli studi non si fermeranno e le interpretazioni sono state tante e mutevoli, nel corso degli anni) della vicenda tucididea. Una versione sicuramente consolidata dallo studio dei testi greci, che Canfora frequenta da decenni con sicura perizia, e messa in cassaforte dall'indiscutibile competenza filologica e linguistica che messa in campo dallo studioso.

Siete pronti a partire, come Indiana Jones, alla scoperta del mistero di Tucidide? Allacciamo le cinture e...  si parte. Da dove? Dal titolo del saggio. Che contiene quattro parole: Tucidide, ossia lo stratego e storico greco a cui da oltre quarant'anni Luciano Canfora ha dedicato il suo tempo e la sua carriera di studioso. La menzogna... di chi? di Tucidide? Era quindi un bugiardo il grande storico a partire dal quale tutta la storiografia ha avuto inizio e a cui l'arte di raccontare la Storia ancora deve così tanto? La colpa... Ma di che cosa mai si sarà macchiato Tucidide per essere condannato, e qui veniamo all'ultima parola del sottotitolo, all'esilio? La tradizione recepta, a partire dall'età alessandrina (che tanto bene fece per la trasmissione dei documenti antichi, ma che, a volte, fece anche qualche piccolo pasticcio) vuole che Tucidide passasse vent'anni della propria vita lontano da Atene, processato e cacciato a causa della perdita della città di Amfipoli. E qui è necessario, in modo molto stringato, riassumere la vicenda. Questa località, in un episodio della lunghissima guerra che vide contrapporsi Sparta e Atene, fu conquistata dal nemico, nella persona di Brasida, spartano, che aveva osato, contrariamente a quanto erano soliti fare i Lacedemoni (non allontanarsi troppo dai propri territori), portare battaglia addirittura in Tracia, riuscendo nell'intento di far passare dalla sua parte alcune città (in verità, solo due: Acanto e Argilo). Chi erano gli strateghi che avevano il compito di difendere questi territori? Tucidide, mandato in Tracia perché qui aveva diversi interessi economici, legati all'usufrutto delle miniere del Pangeo (e qui Canfora, con una digressione fin troppo precisa ed esaustiva ci spiega la differenza tra l'usufrutto e la proprietà delle miniere, notizia che ci tornerà utile in seguito) ed Eukles, dislocato proprio ad Amfipoli. Tucidide era invece di stanza a Taso, poco lontano. Mentre Brasida cerca di indurre i cittadini di Amfipoli a passare dalla propria parte, Eukles cerca rinforzi, chiamando Tucidide. Che parte subito, con la poca flotta che ha a disposizione (per forza! gli Ateniesi non gli avevano dato molte navi, considerando che il vero teatro di guerra fosse la Beozia, non certo la Tracia), ma non arriva in tempo: Amfipoli è perduta! Tucidide riesce soltanto a impedire che anche la cittadina di Eione faccia la stessa fine.

Chi ci racconta tutto questo? Tucidide stesso, nel suo grande capolavoro che è La guerra del Peloponneso, un'opera composta da vari libri, nei quali ci narra le fasi del conflitto tra Atene e Sparta dal 431 a. C. al 411 a. C. E teniamo a mente questo anno, 411 a. C. ... perché sarà importante. Tucidide prosegue poi a raccontare di come gli Ateniesi inviarono subitamente truppe per porre rimedio all'accaduto. E, a questo punto, si scatena la bagarre della storiografia... A partire da Marcellino, V secolo, che nella sua Vita di Tucidide, dice a proposito dello stratega: «fu esiliato dagli Ateniesi», adombrando poi l'accusa di lentezza e tradimento. A partire da questa frase crebbe, si sviluppò su se stessa e non fu più messa in dubbio la notizia dell'esilio di Tucidide.  E' divertente a questo punto del libro leggere con quanta veemenza e ironia Luciano Canfora si scaglia contro certi studiosi che, pur di non mettere mano, alla favola recepta, accettano anche sciocchezze e nonsense inspiegabili. Ma se esilio fu, dove? Ma certo, a Skaptè Hyle, dove Tucidide disponeva delle miniere di cui sopra. Ma Skaptè Hyle non è su territorio ateniese? E le miniere non sono ateniesi? Questo ci è tramandato dalle fonti, in quanto le miniere erano fonte di guadagno per Atene (quindi Tucidide non ne aveva la proprietà). Come è possibile che Atene tollerasse Tucidide sul proprio territorio, anzi tollerasse che Tucidide si arricchisse del tributo delle miniere, che rimanevano di Atene? Quando agli esiliati veniva riservato un ben diverso trattamento: la confisca dei beni (quindi, quand'anche fossero state di Tucidide, le miniere gli sarebbero state confiscate, a seguito di un eventuale esilio) e la condanna a morte. Questa è solo una delle tante assurdità, «deglutite», per usare il termine di Canfora, dalla storiografia, che, per tanto tempo, ha voluto vedere Tucidide, steso sotto l'ombra di un platano, a Skaptè Hyle a scrivere pacificamente della guerra di Atene. Peccato che a leggere bene i testi ci si possa rendere conto di quanto Tucidide sia stato «foot witness», testimone oculare degli episodi raccontati, dentro al campo ateniese, in particolare per quanto riguarda la battaglia di Siracusa. Altro che a Skaptè Hyle, da pensionato esiliato. Alla nostra epoca diremmo che Tucidide era «embedded», come quei giornalisti che, al seguito dell'esercito americano hanno raccontato la guerra in Iraq. E altre che, purtroppo, ancora funestano il nostro pianeta.

Ma gli storiografi pro exile potrebbero ribattere che è lo stesso Tucidide a dire, nel secondo proemio di quest'opera, di essere stato esiliato. Andiamo a leggere (V, 26): «E mi accadde di dover stare lontano dalla mia città per venti anni, dopo la guerra civile». Così è scritto... «mi accadde»... chi parla qui? Tutto sembrerebbe portare a Tucidide. Ma, ed ecco il coup de théâtre, il momento in cui Canfora ci aiuta a sollevare il velo del mistero: tutte le evidenze linguistiche e filologiche (ampiamente e precisamente riportate nel testo) ci portano a dire che l'autore del secondo proemio (e già che ci fosse un secondo proemio, dopo che Tucidide ne aveva scritto uno sontuoso e importante, doveva far rizzare le orecchie) è ... rullo di tamburi... Senofonte. Proprio lo storico che aveva avuto accesso al testo di Tucidide e si era preso il compito di terminarlo e pubblicarlo. E anche del come Senofonte si trovò ad avere per le mani il testo tucidideo ci sono varie ipotesi (che non svelo per non togliere il piacere al lettore).
È questa la grande intuizione di Luciano Canfora, la soluzione a cui è approdato dopo quarant'anni di studi: l'autore del secondo proemio è Senofonte, che davvero fu esiliato per vent'anni, prima in Asia e poi nel Peloponneso.
E torna anche quel famoso anno 411 di cui si parlava prima, l'anno in cui con un colpo di Stato gli oligarchi, della medesima parte politica di Tucidide, prendono il potere. Ma Tucidide non ne parla, qui si interrompe. Che cosa ne è stato di lui? Aristotele ci dice che in quell'anno Tucidide era ad Atene, ma questo non collimerebbe con l'ipotesi dell'esilio ventennale. Ecco che gli storici ricorrono a diversi escamotage per far quadrare questo conto. E seguiamo con gusto l'ironia con cui Canfora smonta queste posizioni.
Chiudiamo le fila tornando al titolo: dell'esilio abbiamo detto, della colpa (la caduta di Amfipoli anche) e la menzogna? Secondo la vulgata Tucidide sarebbe in esilio al momento in cui accadono alcuni fatti che egli ci racconta. Come li conosce? Da testimoni? Da reduci? E quindi ci racconta bugie quando narra, per esempio, dei sentimenti degli Ateniesi al momento della partenza per la guerra a Siracusa? Svelandoci particolari che solo chi era presente poteva conoscere? Che ne sa lui, in esilio?
Peccato che
Nel proemio Tucidide dice e ripete quanto fu faticosa la ricerca della verità (I, 22, 3) e quanto sia stata sua unica cura l'informazione esatta (22, 4: τό σαφέσ)...
Peccato che
I primi tre verbi con cui Tucidide - nei primi righi della sua opera - descrive l'operazione storiografica, da lui presentati come consequenziali, denotano ciò che egli ha congetturato e previsto, sulla base di ciò che ha visto.
E il verbo ορων, vedere, per Tucidide è centrale, la vista come organo primario della conoscenza. Solo così il racconto, costruito mentre i fatti si svolgono, con lui stesso presente al momento, si fa azione. E la storia diventa
storia vivente, la storia cioè nel suo farsi, come passibile di veridica, minuziosa ricostruzione...
Ed ecco come Luciano Canfora, in 353 pagine densissime, ricche di note a piè pagina, corredate da appendici, scritte spaziando dal greco al latino, dal tedesco al francese all'inglese, ci conduce con il piglio dell'investigatore, ma sempre accompagnato da rigore filologico e stretta aderenza ai testi, supportato da un bagaglio invidiabile di conoscenze storiche, geografiche, linguistiche e filosofiche, alla scoperta di un giallo greco antico. Chi era veramente Tucidide?


Sabrina Miglio