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#PagineCritiche - Un ragazzo col «vento nelle vene»: ricordando Pier Paolo Pasolini.

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Pasolini oggi. Fortuna internazionale e ricezione critica.
A cura di Angela Felice, Arturo Larcati e Antonio Tricomi
Venezia, Marsilio, 2016

pp. 334
€ 30


Pier Paolo Pasolini è più vivo che mai.
La sua lezione soffia tra le pagine dei suoi scritti, sempre attuali, il suo volto – le guance scavate, gli occhi profondi, uno sguardo che inchioda e ferisce – resta vivo non solo nel ricordo di chi nel 1975, aprendo il giornale, accendendo la televisione, ha potuto sentire la notizia della sua morte, ma anche di coloro che successivamente ne hanno apprezzato la vivacità intellettuale e l'impressionante lucidità delle sue analisi.
Nel 2015, quarantennale della morte di Pasolini, in tutta Italia si sono rinnovati i saluti ad una delle più importanti figure del panorama culturale novecentesco, mediante una serie di rassegne mirate a celebrarne la memoria e ricordare lo spirito «corsaro» di quest'uomo che, grazie alle sue opere –  letterarie, teatrali, cinematografiche – ha segnato una svolta nella cultura italiana. Proprio per celebrare degnamente l'anniversario pasoliniano, tra il 2015 e il 2016 si sono svolti due convegni, utili a focalizzare meglio l'operato di Pasolini e che fanno il punto sullo stato dell'arte riguardo gli studi a lui dedicati: «Pasolini. Le ragioni di una fortuna critica», tenutosi a Casarsa Della Delizia il 30-31 ottobre 2015, e «Pasolini straniero» del 21 aprile 2016 a Verona.

Gli atti sono stati ora dati alle stampe da Marsilio, in un volume pubblicato «in ricordo di Pasolini nel quarantennale dalla morte (1975-2015)» e queste iniziative sono state inserite nelle «celebrazioni nazionali promosse dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, e nel progetto “Pasolini nostro contemporaneo” della Provincia di Pordenone»; inoltre le manifestazioni hanno ottenuto il patrocinio dell'Università di Udine, dell'Università di Verona e dell'Institut Ramon Llull, Lingua e cultura catalane, e la collaborazione del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia.
Il libro si divide in tre sezioni, e raccoglie gli interventi di numerosi studiosi, provenienti dalle università di tutta Europa, ricercatori stranieri o docenti italiani attivi nelle Università europee. Nella prima parte si cerca di fare il punto riguardo alla ricezione di Pasolini dei diversi paesi, dalla Russia al Nord America, passando dall'Ungheria, alla Spagna, alla Francia, alla Germania e così via. Ognuno dei saggi mette a fuoco la portata della figura di Pasolini all'interno della cultura di quel paese, ipotizzando o dimostrando gli eventuali debiti o crediti della cultura di quel paese nei confronti del suo operato.
La seconda sezione, invece, sposta il suo baricentro dalla diffusione geografica allo sviluppo della sua arte in ambiti apparentemente distanti, come quello filosofico (Fabio Fraccaroli, Appunti (con molti punti) per una ricezione di Pasolini nella filosofia contemporanea), oppure dimostrando il suo peso all'interno della cultura novecentesca. Tra tutti, si segnalano il contributo di Angela Felice e quello di Alberto M. Sobrero: l'intervento di quest'ultimo è particolarmente prezioso per la ricostruzione della stesura di Ragazzi di Vita, poiché il professore (discipline etno-antropologiche presso l'Università «La Sapienza» di Roma) ci porta nello studio dello scrittore e lì accanto ci fa respirare l'odore dell'inchiostro fresco, ci fa osservare le increspature della carta, ci fa osservare gli occhi attenti di Pasolini, teso nell'atto dello scrivere. Sobrero ricostruisce la storia del romanzo a partire dalla genesi, con la ricostruzione del periodo in cui Pasolini si trova ad operare, i primi anni Cinquanta, analizza i blocchi del racconto, studia le pubblicazioni sia precedenti che coeve.
I primi anni Cinquanta sono anni disperati nella vita di Pasolini. Il lavoro è intensissimo. Il laboratorio è disordinato, ingombro di carte, appunti e frammenti vari. Pasolini scrive racconti brevi che pubblica su giornali di area destrorsa, «Il Quotidiano» e «Il Popolo»; abbozza descrizioni di vita e cronache oniriche che pubblicherà solo nel 1965 in Alì dagli occhi azzurri; comincia a scrivere i versi che entreranno a far parte delle Ceneri di Gramsci (1957); lavora alle due antologie (sulla poesia dialettale del Novecento e sulla poesia popolare) pubblicate da Guanda nel 1952 e nel 1955. È in questo agitarsi di idee che nasce il primo romanzo. (p. 270)
Angela Felice, invece, con un intervento dal titolo Pasolini 2015. Tra icona pop e autore da (ri)studiare. Appunti per un censimento ragionato, si concentra prima di tutto sulla ricaduta nel mondo contemporaneo della figura di Pasolini, mettendo in luce la pervasività della sua lezione e, soprattutto, il pericolo che nasce da un «eccesso di uso e abuso» della sua eredità culturale. A conferma delle peggiori previsioni, infatti, Pasolini ha «ispirato nel 2016 una linea fashion di tendenza, finita sulle passerelle di Pitti Uomo» ed è, come mette in rilievo la Felice, «tra i pochissimi scrittori a essere diventato un aggettivo, appunto “pasoliniano”, che sfuma in connotato prêt-à-porter buono per tutte le stagioni, sostanzialmente svuotato di senso». La pericolosità di tale sovraesposizione è messa in evidenza molto bene dalle parole della Felice, che evidenzia i pericoli che questo fenomeno comporta: il primo di questi «usi maldestri attiene alla estrapolazione chirurgica di qualche aspetto del pensiero di Pasolini che possa tornare funzionale e essere spendibile per le esigenze politiche del presente. Così, la parola pasoliniana, smembrata e decontestualizzata, può risultare di destra quanto di sinistra»., a cui fa seguito «il parenne rilancio del dibattito sugli inquietanti retroscena dell'omicidio dello scrittore, brutalmente ucciso all'Idroscalo di Ostia […]. Quel delitto rischia di degenerare allora in fattaccio da cronaca nera, offerto al morboso occhio voyeuristico di massa». Il secondo pericolo è quello di etichettare Paolini come «intellettuale “eretico”, “contro”, e “apocalittico”, come pure, sul versante denigratorio, del “reazionario” passatista, laudator temporis acti e di una improbabile felicità contadina», oltre all'etiche di «“profeta”, che finisce per conferire al Pasolini postumo un alone mosterico e una veggenza oracolare su fatti venuti dopo di lui e da lui, con presunta visionarietà, presagiti».
Chiude il libro la terza sezione, che raccoglie gli interventi di Giuliano Scabia, Italo Moscati ed Ermanno Olmi. Tutti e tre si connotano per una delicatezza particolare: Moscati traccia un profilo critico di eccezionale sensibilità e di raffinatezza espositiva, che delinea la figura di Pasolini partendo ancora dalle radici, sì, ma quelle del cuore.
Era noto in una piccola, ritretta cerchia di letterati e di allievi della sua scuola, negli anni della guerra. La famiglia lo assorbiva. Il padre militare lo teneva d'occhio come una recluta. La madre, timida, presa dal fascinoso primogenito, Pier Paolo, e chiusa nel dolore per la morte del figlio più piccolo, Guido, partigiano. […] Pier Paolo scriveva, in mezzo ai contadini della terra della madre, pagine colme di passione, quasi clandestinamente, versi e pagine che piacevano solo a critici dal prestigio sicuro, importanti e lontani, come Gianfranco Contini, all'epoca docente a Friburgo, che nel 1943 lodò il giovane poeta perché aveva osato scrivere liriche in friulano: un vero e proprio scandalo positivo, diceva Contini, nel mare piatto della nostra letteratura, nemica dei dialetti considerati non lingua. (p. 309)
Il saggio di Moscati si legge come un racconto e scivola veloce, scendendo nelle profondità dell'animo dello scrittore col «vento nelle vene, che soffiava impetuoso», dando l'impressione di coglierne l'essenza, andando a scovare il Pasolini intimo, privato, lontano dalle citazioni e dai media, e più vicino all'affetto sconfinato per la madre. Il saggio di Moscati è talmente bello che si vorrebbe citarlo per intero ma, per ovvie ragioni di spazio, possiamo solo riportare qualche isolato stralcio a titolo esemplificativo:
Timido, sfuggente, colmo di pulsioni, grande ambizioso ma represso, il poeta che viveva di sola poesia (anche civile) e soffriva le pene dell'inferno dopo vent'anni fascisti di voluttà e imbalsamazione eroica. (p. 309)
Pasolini era un ossimoro: “ghiaccio bollente”, per farne un esempio. Era ed è ossimoro. C'era la “disperazione”, il compiacimento di possederla senza dubbi o nascondimenti; e la “vitalità”, salute strepitosa, irruente e instancabile voglia di fare e di essere, di godere, di ricavarne forza. Per accendere e chiudere il “ghiaccio bollente”. Pasolini ossimoro, uomo di ieri e di domani. (p. 319)
Di rara bellezza anche il saggio di Ermanno Olmi, che chiude la raccolta. Breve ed incisivo, raccoglie, con un atteggiamento quasi protettivo nei confronti di Pasolini, in pochi paragrafi tutta la forza della lezione pasoliniana, con un riferimento alla realtà attuale e un monito agli astanti del presente:
Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini agli inizi degli anni Cinquanta, quando per noi, la generazione dei giovani del dopoguerra, il futuro a cui aspiravamo era lì, a portata di mano. Tutto sembrava così facile. E forse lo era davvero. […] E allora gli domando, nel pensiero: “Caro Pier Paolo, cosa diresti, oggi, a quelli che governano le nostre esistenze? E più di tutto: cosa faresti per scuotere le nostre coscienze debilitate dalla sfiducia?”.
Poichè, in certi momenti della storia, agire conta più delle parole. Questo è uno di quei momenti. Attenti, voi che soprattutto credete e inseguite il potere. (p. 322)
Tale opera, oltre a configurarsi come uno strumento indispensabile per chi stia studiando la figura di Pasolini, ha contribuito alla ripresa del dibattito attorno alla figura dello scrittore, la cui lezione è più viva e attuale che mai. Riprendendo le parole di Felice:
Nel 1964 Pasolini prospettò a sé un destino di «poeta e cittadino dimenticato». Evidentemente […] non è andata così. (p. 264)

Valentina Zinnà