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#paginedigrazia - “Chi sa spiegare gli enigmi del cuore umano?”

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Stella d’Oriente,
di Grazia Deledda
Prefazione di Duilio Caocci
Ilisso ,2007
pp. 192

cartaceo: 11,00€
e-book: 4,90€


In una lettera del 9 agosto 1892 una giovanissima Grazia Deledda dichiarava con decisione al suo innamorato che «insieme all’immensa passione della mia fanciullezza, ho il sogno continuo, tormentoso, febbrile della celebrità». È una ragazza di soli ventun anni, ma è in grado di guardare con chiarezza alla sua interiorità ricca di ambizioni. Inutile specificare che Grazia aveva già chiaro in mente il progetto di una gloria letteraria e Stella d’Oriente rappresenta il vero, azzeccato e profondo punto di partenza di questo percorso di ascesa. Il romanzo non rappresenta il suo esordio (che era, invece, stato il racconto Sangue sardo pubblicato nel 1888 sull’Ultima moda), ma da un punto di vista letterario è la prima vera opera completa e organicamente concepita. La ferma volontà di raggiungere la gloria passa, in quegli anni, per la pubblicazione di testi vicini alla sensibilità dei lettori più voraci e partecipi, le «gentili lettrici (p. 113)» a cui nel testo tante volte si rivolge, e a cui destina la pubblicazione a puntate del suo romanzo su L’Avvenire di Sardegna tra il 3 novembre e l’8 dicembre del 1890, nel filone dei romanzi d’appendice che molti autori portanti del panorama letterario italiano avevamo usato come trampolino di lancio per la loro carriera artistica.

L’intreccio esordisce con un episodio raccontato ex abrupto (una marca che sarà distintiva di moltissimi dei suoi romanzi della maturità) in una sera d’estate negli anni Ottanta del XIX secolo quando i coniugi d’Oriente, Francesco dall’insigne lignaggio, e Anna, borghese ascesa nella scala sociale, decidono di compiere una gita navigando sul fiume Agri e vengono colti da una tempesta in cui
Lampi di fuoco solcavano il cielo; i tuoni diventarono un continuo e fortissimo fragore; il vento impetuosissimo travolgeva la pioggia come tromba di sabbia. (p. 37)
Vengono salvati da una cenciosa dodicenne, Stella, orfana e sola al mondo, selvaggia pescatrice di un capanno sul fiume. I due non hanno remore a ricompensare il gesto della fanciulla accogliendola nella loro casa e trasformandola nella sorellastra adottiva del giovane Maurizio, unico genito della coppia e lepidottero sociale in quanto nobile interessato allo studio e al lavoro.

Stella d’Oriente è un testo acerbo, retaggio di stilemi tardoromantici con un continuo ricorso alle iperboli, alla proliferazione di coppie di aggettivi («un cielo azzurrissimo inargentato dal plenilunio», p. 46) che assediano i sostantivi privandoli del loro valore semantico, in un continuum lessicale irto di esclamazioni che allentano il ritmo e da amplificazioni di percezioni sensoriali e sentimentali, sovente ridondanti, che appesantiscono l’incedere narrativo. Poche le sorprese, se si inserisce Stella d’Oriente nel genere del feuilleton, e non per forza cifre stilistiche negative: sono un punto di partenza artistico che inquadrano la crescita stilistica della giovanissima autrice e danno l’idea di quanto la scrittrice sarda si nutrisse di autori classici e contemporanei (Byron, Goethe, Hugo, Carducci, Manzoni, Dante, Zola, Tarchetti e Scheffel, tutti riconoscibili nelle numerosissime citazioni di cui il testo è intessuto in ogni pagina) assumendoli come modelli e muse ispiratrici, collante tra gli eventi che procedono secondo l’uso del romanzo a puntate, con continue riprese e rimandi (spesso non indispensabili) per tenere viva l’attenzione del lettore, riuscendoci abilmente con la suspense costante in ogni finale dei (brevi) capitoli.

A un’identità stilistica non ancora inquadrata e realizzata, fa da contraltare una cifra ideologica già perfettamente configurata, germe piantato in questo testo immaturo e che sboccerà in tutto il suo splendore nei testi successivi della Deledda, sviluppati in una più profonda dimensione psicologica, sebbene già in Stella d’Oriente si muovano personaggi che Duilio Caocci definisce forgiati di una pasta romanzesca nella Prefazione al volume. Un primo movimento centripeto attorno a cui gravitano tutte le azioni è quello della voce del sangue, la forza del DNA che ogni individuo non può ignorare e che dovrebbe seguire per poter vivere felicemente e in equilibrio con la propria storicità. Così se Stella si muoveva con la grazia di una contessa e Maurizio, dal canto suo, riconosceva di non vedere scorrere nelle se vene il sangue bleu dei suoi familiari, Anna, Ellen, Ruggero e Francesco erano perfettamente consci della loro dimensione sociale, i primi due perfetti rappresentanti del ceto borghese e i secondi nobili fino al midollo e, per questo motivo, coerenti fino alla fine delle proprie azioni. Nessuno può sfuggire a ciò che il sangue ha scritto e nella tormentata storia d’amore tra Stella e Maurizio, su cui l’orrore dell’incesto (ripreso anni dopo, pur con altre conseguenze, in Elias Portolu) grava come una spada dalle lame affilate, il vortice dei sentimenti prova a sfuggire all’inesorabilità della nascita per poi, in un finale forse banale ma in linea con l’economia globale del romanzo, trovare il suo naturale compimento. Alla voce del sangue si lega indissolubilmente quella della denuncia sociale, che ammanta il testo di un’aurea di impegno ideologico, inaspettato visto il genere. Grazia, con piglio socialista, evangelico e a tratti massonico (p. 18), dispiega tra le sue pagine un attacco all’immobilità sociale e un inno all’ascesa della borghesia (esemplificata nel testo da Anna d’Oriente, figlia di un ricco commerciante diventata nobile grazie a nozze azzeccate), ceto operoso e attivo, che può contribuire al progredire della società. Unico difetto della classe media, un ateismo endemico, condannato dalla stessa autrice in uno dei frequenti dialoghi con le sue lettrici:
Perché, vedete, dopo la Rivoluzione, le classi che conservano ancora una tinta di credenza e di religione […] sono la bassa, il popolo, e l’altra, l’aristocrazia, mentre è nella classe borghese, che la miscredenza e lo scetticismo hanno maggiore imperio. (p. 107)
Con Stella d’Oriente Grazia Deledda, novella Manzoni che raccoglie le testimonianze altrui (nel caso specifico di Ruggero che alla fine della storia si reca in Sardegna proprio per lasciare la testimonianza degli eventi a una scrittrice) per scrivere una storia che viene colorata di veridicità, esordisce nel panorama letterario italiano in forme prevedibili e riusate, immergendole però nell’atmosfera di inesorabilità sociale e psicologica che renderanno i suoi futuri romanzi pietre miliari di un’epoca.

Federica Privitera