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#paginedigrazia - L'"infanzia della scrittura" della "signorina" Grazia Deledda: alla ricerca delle tradizioni popolari dell'"Atene della Sardegna"

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Tradizioni popolari di Nuoro
di Grazia Deledda
Prefazione di Giulio Angioni
Ilisso, 2010

pp. 208

Cartaceo 11,00 euro

Fine Ottocento, Nuoro, cuore della Barbagia. Una giovinetta di buona famiglia – Grazia – vuole fare la scrittrice. Ancora non sa che nel 1926 sarà insignita del Premio Nobel per la Letteratura, ma per ora le bastano l’ambizione e il desiderio di riuscire a dispetto di tutti gli ostacoli, che non sono né pochi né di poco conto: l’istruzione obbligatoria interrotta in quarta elementare (classe ripetuta due volte per stare un anno in più tra libri e letture); il sacrificio appassionato e totalizzante, unico nel suo genere, tipico dell’artista autodidatta; infine, e soprattutto, quelle convenzioni sociali e culturali in conformità delle quali ci si aspetterebbe da lei il vagheggiamento di un destino mite, di moglie e di madre. Grazia sa che scriverà, sia per emanciparsi da una posizione subalterna altrimenti imposta, sia perché la vita “vera” che aspira a condurre si può esplicitare al meglio “in Continente”, a Roma, laddove c’è quella vivacità intellettuale che continua a mancarle nella sua città natale; la stessa che lei per prima, tuttavia, non teme di definire con orgoglio “Atene della Sardegna”. Scrivere – pubblicare – le serve da antidoto per il presente, e come viatico per quel futuro che immagina nella Capitale d’Italia, dove tutto, evidentemente, accade. Eppure è proprio alla sua Isola – che odia e ama nel contempo, e che sarà per sempre al centro del suo immaginario quale sfondo irrinunciabile della quasi totalità dei futuri romanzi e racconti – che dedica i suoi primi importanti contributi non narrativi o di fantasia, accettando l’invito rivoltole da Angelo De Gubernatis affinché partecipi all’iniziativa demologica volta a mappare il territorio nazionale. Dalla raccolta degli articoli, editi tra il 1893 e il 1895 sulla “Rivista delle tradizioni popolari italiane”, nascerà il volume Tradizioni popolari di Nuoro.
Presentata sulle pagine del periodico come «cultrice», «efficace promotrice», nonché «gentile e valente animatrice» delle ricerche folkloriche in Sardegna, la «signorina» Deledda coglie l’opportunità di dare prova del suo talento facendosi etnografa di se stessa, della sua gente e della sua terra. Presenta ai lettori italiani la sua città (e il circondario), esplora quel microcosmo in cui è nata e cresciuta e che non smetterà mai di incuriosirla e affascinarla. E lo fa – come ben evidenzia la bella prefazione di Giulio Angioni – correndo tutti i rischi, più che mai attuali, ancora insiti in un’operazione di questo tenore, in cui le mistificazioni e le falsificazioni potrebbero essere facile tentazione e pericolo; specie per una terra come la Sardegna, le cui sfumature negative, a quell’altezza cronologica, erano divenute ormai ombre tanto autentiche quanto ambigue (arretratezza, barbarie, violenza, delinquenza, arcaicità…).

Grazia, ragazza perbene poco più che ventenne che non può uscire di casa se non debitamente accompagnata, si avventura in prima persona per compiere quell’osservazione diretta necessaria per rifuggire gli stereotipati quadretti di genere: va “scientificamente” alla ricerca del dato reale, e laddove l’esperienza personale non le basta – come può bastarle, alla sua giovane età? – conduce interviste, si confronta con i depositari più autorevoli della memoria materiale e immateriale, assiste a riti sacri e profani. Osserva il suo mondo – se stessa – con occhi nuovi, mentre in lei matura la consapevolezza che è in quei luoghi, in quell’umanità, in quegli usi e costumi che si nasconde l’humus più fertile della sua poetica. Ci vorranno tutto il suo coraggio, tutta la sua sfacciataggine, tutta la sua determinazione, perché già quelle peregrinazioni e interrogazioni da reporter ante litteram non susciteranno ovunque simpatie (una sorte comune, del resto, alle sue prose).

I materiali raccolti e rielaborati dalla Deledda nel corso di questa esperienza pionieristica si confermano tutt’oggi un interessantissimo testo di riferimento, utile sia per comprendere quale fosse la curiosità/percezione nazionale nei confronti dell’Isola alla fine del XIX secolo, sia per osservare quella Sardegna – quella Barbagia, quella provincia nuorese – attraverso lo sguardo peculiare di una giovinetta nativa di quei luoghi e intenta a descriverli; nondimeno, essi rappresentano una vera e propria anticamera demoetnoantropologica di quelli che sarebbero presto divenuti gli sfondi prediletti della narrativa deleddiana. Nelle Tradizioni popolari di Nuoro, come si evince dalla consultazione dell’indice, trovano dunque spazio usi e costumi tipici (amoreggiamenti, nozze, battesimi, usi funebri, saluti e auguri, elemosine, feste, passatempi, vivande, sistema vestimentario), e assai numerose sono le testimonianze legate alla dimensione dell’oralità (giuramenti, proverbi, detti e locuzioni popolari, nomi e nomignoli, poesie, filastrocche, ninne nanne). E se gli aspetti legati alla religione e alla fede (superstizioni, credenze, medicine popolari, preghiere, bestemmie, imprecazioni, voti, scongiuri) sono ancora ricchissimi di carismatico mistero, i brani dedicati ai più piccoli (indovinelli, spauracchi dei bimbi, giochi e passatempi infantili) non potranno non suscitare il sorriso consapevole del lettore più accorto, che non farà fatica a immaginare concretamente la Deledda nel compimento di questa impresa di ricerca e di compilazione, nell’alba dei suoi vent’anni anagrafici eppure ancora nell’“infanzia” della sua scrittura.

Cecilia Mariani