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#CRITICINEMA. "Crimson Peak", l'horror poetico di Gulliermo del Toro

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“Ghosts are real, this much I know. There are things that tied them to a place, very much like they do to us. Some remained tied to a bunch of land, a time and date, a spilling of blood, a terrible crime... There are others, others that hold on to an emotion, a grief, a lost, revenge, or love. Those, they never go away.”

Fantasmi come questi non se ne vanno mai. Non se ne vanno dal cuore della giovane Edith Cushing, rimasta orfana di madre quando era ancora una bambina, che da tutta la vita avverte intorno a lei presenze oscure che presto la mettono in guardia da Crimson Peak, un luogo, una persona o qualunque altra cosa esso sia. Non se ne vanno da vecchie dimore decadenti, nella lontana Inghilterra, dove vivono isolati dal resto del mondo due giovani aristocratici, Sir Thomas Sharpe e la sorella, Lady Lucille, arrivati a New York alla ricerca di investitori per l’ultima invenzione che potrebbe salvare la vecchia dimora di famiglia, in una remota contea dell’Inghilterra. Ambiguità e mistero accompagnano fin dall’inizio gli Sharpe, ma titolo e fascino sono quello che invece attrae con forza la società cittadina di inizio Novecento che per qualche tempo gli accoglie. Ed è in quella società che sir Thomas sceglie la giovane da sposare, l’indipendente aspirante scrittrice Edith, unica figlia del ricco costruttore Carter Cushing. Inevitabili gelosie e sospetti, ma quando il terribile segreto degli Sharpe sta per essere rivelato, Thomas ed Edith sono già sposi, pronti ad iniziare una vita insieme in Inghilterra, nella vecchia dimora di famiglia.

Una casa così antica col tempo diventa una creatura viva, comincia a trattenere le cose, alcune buone, alcune cattive e alcune sulle quali dovrebbe scendere un eterno silenzio.
Presenze oscure, atmosfere inquietanti ed ambiguità, insieme ad una colonna sonora perfettamente intonata alla storia – la stessa che sto ascoltando anche io adesso, mentre scrivo – magistralmente costruite dal genio visionario di Guillermo del Toro che ha curato regia e sceneggiatura di questo horror poetico con protagonisti Tom Hiddleston, Mia Wasikowska e Jessica Chastain uscito nelle sale italiane lo scorso ottobre in – quasi - contemporanea con gli Stati Uniti. Un film che in parte ha lasciato insoddisfatti i cultori del genere horror e di del Toro stesso, che si aspettavano atmosfere più cupe e sanguinolente, spaventi ed urla, ma che invece per una fifona come la sottoscritta è risultato davvero intrigante, sufficientemente dark. Il sangue c’è, eccome, quel cremisi del titolo diventa sempre più intenso, demoni e fantasmi fanno palpitare lo spettatore nel buio della sala, abbastanza per restare con il fiato sospeso ma senza mai eccedere per non correre il rischio di trascorrere due ore ad occhi chiusi, troppo spaventati.
Grazie a questo equilibrio invece, del Toro ha costruito un film oscuro, intenso e lirico allo stesso tempo, che non a caso ho infatti definito – come probabilmente già altri prima di me – un horror poetico.
"Sento che esiste un forte legame tra il vostro cuore e il mio"
Intanto la scelta del protagonista maschile, Tom Hiddleston: sappiamo tutti che il ruolo dell’ambiguo, tenebroso sir Thomas Sharpe, giunto in America alla ricerca di fondi per sovvenzionare la sua ultima invenzione, doveva essere in un primo momento di Benedict Cumberbatch, celebre per il ruolo nella serie televisiva Sherlock e presto notato anche ad Hollywood per l’intensità delle sue interpretazioni; non sono chiari i motivi per cui Cumberbatch abbia rinunciato ma l’attore su cui infine è ricaduta la scelta è, mi azzardo a dire, perfetto per la parte. Hiddleston – si, il Loki dei film della Marvel – è un attore camaleontico, elegante, capace di conferire intensità, ambiguità e spessore umano ad ogni personaggio che interpreta, ed è proprio nei ruoli più tormentati che riversa maggiormente il suo fascino. Voglio dire, se sei in grado di rendere il cattivo di un cinecomic ben più interessante e apprezzato dal pubblico del personaggio il cui nome domina il poster – e si, Thor, parlo proprio di te – allora è chiaro che ruoli di questo genere sembrano davvero tagliati su misura per lui, che sia o meno la prima scelta del regista. E l’elegante, ambiguo, tormentato nobile inglese Thomas Sharpe è tra i personaggi più complessi e moralmente discutibili che l’attore inglese ha – fino ad ora – portato sul grande schermo. Hiddleston, diplomato alla Royal Academic of Dramatic Art che, come si conviene, divide il suo tempo tra film e palcoscenico, e non può che essere a mio avviso la scelta vincente per questo film le cui atmosfere e citazioni riportano alla tradizione gotica da tempo lontana dalle produzioni cinematografiche, conferendo al suo personaggio quella vena romantica e malinconica così caratteristica. 

Immediate tornano alla mente le opere di Lovecraft (per cui il regista stesso, sappiamo, non ha mai nascosto una certa predilezione), le atmosfere di romanzi e racconti gotici di primo Ottocento, insieme ad alcuni tratti riconducibili al Romanticismo inglese. Ed è impossibile non ritrovare in sir Thomas alcuni aspetti in comune con due personaggi letterari diversi ma egualmente impressi nella mente di così tanti lettori come Mr Darcy, di cui l’eroe interpretato da Hiddleston sembra in qualche modo richiamare per l’eleganza, la ritrosia, e soprattutto Heathcliffe, il tormentato, oscuro protagonista di Cime tempestose. Ma la lista di citazioni, rimandi, influenze potrebbe essere naturalmente molto lunga ed è uno dei piaceri che sta allo spettatore scoprire. Un film, quindi, in cui l’aspetto letterario ha un ruolo protagonista (e, non dimentichiamo, proprio dal romanzo omonimo è nata la trasposizione cinematografica) , dalle influenze a cui si è fatto riferimento poco sopra, all’eroina della storia, Edith Cushing, interpretata dall’attrice australiana Mia Wasikowska: una giovane donna indipendente e fiera, aspirante scrittrice di storie oscure; poco interessata a mondanità e sentimenti, finisce inevitabilmente per subire il fascino del misterioso sir Thomas ma senza per questo trasformarsi – almeno non del tutto - in una fragile donzella da salvare. A salvarsi infatti, se mai sarà possibile, provvederà da sola. Un ritratto femminile interessante, come dovrebbero essercene molti di più oggi nel cinema contemporaneo che, purtroppo, non convince davvero fino in fondo per l’interpretazione della Wasikowska non alla sua prova migliore.

Crimson Peak è stato in più occasioni definito un film femminista, in quanto i due personaggi femminili presenti danno un’immagine complessa, moderna e libera da schemi e stereotipi davvero interessante. Soprattutto, nella sua ambigua crudeltà, è il personaggio di lady Lucille Sharpe, la misteriosa sorella di sir Thomas interpretata da una sempre strabiliante ed intensa Jessica Chastain, ad incantare il pubblico. Lucille è una dark lady inquietante, custode insieme al fratello di oscuri segreti che solo alla fine saranno rivelati, sorprendendo lo spettatore non tanto per la carica di inatteso quanto per l’impossibilità di redenzione. Lady Lucille, pelle diafana e capelli corvini come il fratello Thomas, è una creatura misteriosa, complessa e imprevedibile, la cui freddezza e incapacità di slanci di affetto sono sapientemente interpretati dalla Chastain (che pare avrebbe dovuto impersonare l’innocente Edith e solo in un secondo momento, su sua iniziativa, sia diventata invece l’agghiacciante lady Lucille) e che, personalmente, trovo perfetta in ruoli di questo genere.

E ora, che la bellissima soundtrack di Fernando Velasquez è finita, l’incanto è terminato ed è l’ora di tornare ad una realtà – fortunatamente – meno oscura ed ambigua.

di Debora Lambruschini