in

"Tutta la luce del mondo" di Aldo Nove

- -
Tutta la luce del mondo
di Aldo Nove
Bompiani, 2014

pp. 294
€ 18





“Nel Medioevo tutto era stupendo. Nel senso che era pieno di stupore. E c'erano i miracoli, e le cose non erano semplicemente cose, e l'acqua non era acqua solamente, e il cielo era un po' più del cielo”
Con queste parole inizia Tutta la luce del mondo, il libro di Aldo Nove dedicato a Francesco d’Assisi.

Il romanzo si divide in 3 parti, ciascuna di 13 capitoli ambientati in un Medioevo popolato da mille figure, belle e brutte, teatro di battaglie, custode di segreti e terra di avventure, di amori e di paure.
Accordando storia e poesia, l’autore narra la scelta di un uomo attraverso la “meraviglia” di un bambino, Piccardo nipote di Francesco, il quale è incuriosito da questo zio, di cui in casa i genitori gli proibiscono di parlare, poiché ha destato scandalo nella famiglia e nella sua città, infrangendo l’ordine stabilito, rinunciando alla ricchezza e rinnegando pubblicamente l’autorità di suo padre. Accanto alla vita del santo, Nove include anche le figure di frate Leone e di Chiara. Quest’ultima è una sorta di alterego di Francesco, diciassettenne nobile e benestante, che abbraccia senza riserve il suo messaggio e che abbandona casa, agi e fortune, per dedicarsi al Signore, facendosi prima servitrice degli ultimi.

Vergogna, ilarità e disonore infiammavano i cuori e i discorsi ascoltati da Piccardo intorno alla figura di Francesco:

“Suo zio non si poteva capire […] suo zio era incontenibile. Era troppo. Troppo diverso. Troppo pazzo. Troppo santo. Troppo tutto. E questo avrebbe fatto fuggire chiunque. Oppure avrebbe avvicinato fatalmente i pochi che ne avessero accettato il gesto. Quel gesto continuo. Come una danza. Allora avrebbe danzato con lui, qualcuno. Spesso lo aveva immaginato mentre danzava. Danzava sempre, gli dicevano. Danzava e cantava. Invece a lui, a Piccardo, i preti dicevano sempre di stare fermo, di stare buono. I santi non fanno così”.
Piccardo però vuole sapere, vuole vedere con i suoi occhi questo zio che la gente definisce “santo” e “scemo” e per questo decide di intraprendere un “viaggio” che lo conduce sul monte della Verna, dove Francesco vive rintanato in una grotta e qui scopre: la gioia, la danza della vita e l'amore universale. Piccardo arriva nel giorno in cui Francesco riceve il “segno” dell’amore di Cristo, assiste alla sua beatitudine, ma anche alla sofferenza, alla quasi cecità e all’approssimarsi della morte. Il santo racconta al giovane nipote dell’incontro con il Signore, della sua decisione di dedicare la propria vita al prossimo e agli emarginati, diventando uno di loro e dimenticando se stesso.

Francesco si priva di tutto e si veste di fede, parla con la natura e la ama incondizionatamente, Piccardo lo osserva, lo apprezza e soffre con lui. Incomprensibile a tutti gli abitanti d’Assisi, fieri e orgogliosi della loro posizione e incapaci di capire come si possa ottenere la felicità nella povertà, Piccardo invece scorge, quale perfetto destinatario perché innocente e privo di sovrastrutture, nella figura umile e indifesa dello zio, il messaggio francescano: l’abbraccio dell’uomo con il mondo, con gli animali, con fratello sole e sorella luna, l’abbraccio di chi vede in ogni volto la bellezza del suo Maestro e l’immagine di Dio.

Nove è abile a ricostruisce gli episodi salienti della vita del Poverello, senza la presunzione di scrivere una biografia, ma accompagna il lettore in un secolo nuovo da riscoprire e attualizzare, ci regala una rilettura multiforme e policroma del Medioevo, della vita quotidiana, dei commerci, delle fazioni politiche, ma anche del clima religioso e del potere della Chiesa. Un’età che trova in un uomo la sua luce:
“Francesco di Bernardone nato ad Assisi nel 1181 e a Assisi morto nel 1226 è stato l’uomo più grande che ha attraversato il Medioevo e il tempo infinito delle attese e il tempo tutto amandone la meraviglia delle diversità e come tutta la luce la attraversi”.
Un folle, un visionario, un letterato (Il Cantico delle Creature, prima opera in versi della letteratura italiana) un pioniere ecologista, un eroe senza tempo, un rivoluzionario senza armi, libero, ribelle, ante litteram e anticonvenzionale, Francesco stupisce e sorprende, oggi come allora, per amore, fede e verità. Tratteggiato con sapiente maestria e limpida chiarezza, il Francesco di Nove è un puro, un innamorato del creato e di Gesù che, con sconcertante lucidità, ha saputo reinventare la vita.
Da un punto di vista narrativo, la lingua è piena di immagini, frasi brevi e ritmate, ricche di suoni che rendono la lettura densa e piacevole, vertiginoso il lunghissimo monologo in un unico ampio flusso di due pagine e mezza, dove Francesco elenca tutte le creature, gli eventi, i dettagli più minuscoli e apparentemente insignificanti del creato che sono invece, in pari grado, segni di Dio:
“Noi tutti segno di Dio, noi. Tu e questa roccia e le città, e i draghi e il signor papa, e il cielo e l’Abissina, e il sole e Assisi e il mare quando è notte […] Ma se lo guardi è niente, ma se lo ami è tutto”.
Le figure retoriche poi accompagnano il lettore in una perfetta sintonia di contenuto e forma, quale segno di un labor limae sul lessico nato dai testi in volgare del XIII secolo, ma soprattutto dalle Fonti Francescane. Nove intreccia l'endecasillabo dantesco a riferimenti modernissimi del presente, compare addirittura il termine Google!

“Ma soprattutto c'erano i miracoli. Esattamente come ora c'è Google. Se tu parlavi a un lupo, ti capiva. Ma lo dovevi fare con amore. Con quell'amore che c'è ovunque e scioglie la luce in ogni cosa, incominciando il senso di una storia”.

Un libro emozionate, intenso e poetico.


Silvia Papa