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"Orazione civile per la Resistenza" di Daniele Biacchessi

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Orazione civile per la Resistenza
di Daniele Biacchessi
Promo Music - Corvino Meda Editore, 2012


pp. 267


L'Italia è un Paese dalla memoria corta, abilissimo nel rimuovere in un batter d'occhio ogni barlume di verità percepita come scomoda. Un meccanismo di rimozione che trae la sua folle ragion d'essere dalla necessità di non far sgretolare un intero sistema che si regge su teoremi tanto contraddittori e inconsistenti da sconfinare nell'autolesionismo. Meglio dunque azzerare la riflessione e conquistarsi la complicità del tempo che sbiadisce e distorce anche la più solida evidenza.
Daniele Biacchessi è un gendarme della memoria. Come lui stesso ci spiega con disarmante semplicità:  
Sono tra quelli che hanno chiamato in modo dispregiativo gendarmi della memoria. [...] Siamo quelli che hanno deciso di stare da una parte e non hanno cambiato bandiera solo per vendere qualche libro in più. Pensiamo che il peggiore dei partigiani stava dalla parte della democrazia e il migliore dei repubblichini di Salò era comunque alleato dei nazisti, responsabili dello sterminio pianificato di milioni di ebrei e oppositori politici.
L'interrogativo da cui si dipanano i contenuti di questo libro è sostanzialmente questo:  
Cosa è accaduto in Italia tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945? Una guerra civile oppure una guerra di liberazione contro la dittatura fascista e l'occupazione tedesca? I termini risultano fondamentali per poter definire l'esito della Storia. La guerra civile è un conflitto armato nel quale le parti belligeranti appartengono alla popolazione di un unico Paese. Di converso, come sottolinea Biacchessi, tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, il nostro Paese è occupato dalle forze armate della Germania nazista e si trasforma in un distretto militare alle strette dipendenze di Adolf Hitler che, tramite la Repubblica Sociale Italiana di Benito Mussolini, un protettorato tedesco, lo sfrutta per legalizzare alcune annessioni e ottenere manodopera a basso costo.
Questo significa che è stata combattuta una guerra di liberazione contro la dittatura nazista e fascista organizzata da tutti i partiti e i movimenti antifascisti italiani riconosciuta e sostenuta dalle forze anglo-americane.
Il primo attentato ai danni della nostra memoria storica è stato messo a segno da alcuni illustri studiosi come Giorgio Pisanò, Renzo De Felice, Claudio Pavone e Giampaolo Pansa, "rei" di aver ricondotto l'ultimo capitolo del Secondo Conflitto Mondiale al concetto di guerra civile.
Biacchessi si chiede a ragion veduta perché non abbiano applicato tale concetto anche al Risorgimento, alle cinque giornate di Milano e al governo collaborazionista della Repubblica di Vichy, solo per citarne alcuni.
In buona sostanza, questi studiosi tendono a ridimensionare il ruolo della Resistenza partigiana, finendo per giustificare la tesi della guerra civile. Più di una perplessità ha suscitato la posizione assunta da Giampaolo Pansa, uno tra i primi divulgatori della tradizione della Resistenza in Piemonte e Liguria, ormai diventato alfiere del nuovo revisionismo, sposando l'assunto secondo cui, tra i giustiziati e le vittime (nel corso dell'ondata di violenza successiva ai giorni della Liberazione) vi sono certamente fascisti responsabili di stragi, militari e civili, ma anche persone legate solo lontanamente al fascismo e per questo punite ingiustamente da ex partigiani nel cosiddetto triangolo della morte tra Castelfranco Emilia, Carpi, Mirandola e l'intera provincia di Modena.
Va comunque detto che Pansa evita accuratamente di descrivere le dinamiche soggiacenti agli omicidi commessi da un'esigua minoranza di ex partigiani nell'immediato dopoguerra, e soprattutto di ripercorrere le violenze delle squadracce fasciste del 1921, la marcia su Roma, i numerosi delitti, il carcere e le condanne a morte degli oppositori, la povertà di un intero popolo, l'entrata in guerra, i bombardamenti. Non viene spesa nemmeno una parola sulle torture subite dai partigiani da parte delle tante polizie segrete e compagnie di ventura della Repubblica Sociale Italiana né tanto meno sulle 2.274 stragi nazifasciste contro civili i cui fascicoli sono rimasti occultati per quasi cinquant'anni nel cosiddetto Armadio della vergogna. Nessun accenno alle trattative segrete dei nazisti con gli alleati sul finire della Seconda guerra mondiale né all'arruolamento di criminali nazisti tra le fila dei servizi segreti americani nell'immediato dopoguerra in funzione anticomunista.
Tutto lascia supporre che i nuovi revisionisti si siano prodigati all'inverosimile per puntare il dito unicamente sugli omicidi degli ex partigiani.
Dal marzo 1994,
i governi di centro-destra sovvertono i valori scritti nella Costituzione nata dalla Resistenza, attuando disegni e decreti legge antidemocratici, inserendo in finanziarie emendamenti che determinano la parificazione tra partigiani e repubblichini sul piano storico e perfino economico.  
Va da sé che, in un simile clima politico, proliferano pressoché indisturbati diversi gruppi della destra radicale, come Forza Nuova, Fiamma Tricolore, Casa Pound e le compagini naziskin che si ispirano alle ideologie fasciste e naziste.
Questo libro è nato sulla scia di uno spettacolo teatrale che oggi, 27 gennaio, farà tappa anche a Parigi (presso ANPI France, Sezione Carlo e Nello Rosselli - 20, rue des Vinaigriers).
Calandosi nel ruolo di cantastorie della memoria, Biacchessi ripercorre, pagina dopo pagina, l'intero capitolo di questa vicenda troppo spesso deformata, ricollocandola nella sua dimensione storica reale.
Orazione civile per la Resistenza attinge a un numero incalcolabile di fonti bibliografiche, caratteristica che peraltro lo accomuna a tutti i libri-denuncia che l'autore ha scritto nel corso degli anni, a significare la sua volontà di far luce in modo obiettivo e veritiero, sgombrando il campo da qualsivoglia faziosità, sui capitoli più cupi della nostra storia rimossi dalla coscienza storica collettiva.
Dalla strage dell'Hotel Meina, dove furono barbaramente trucidati 16 ebrei, alla vicenda dei sette fratelli Cervi, dalla strage delle Fosse Ardeatine all'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, dalle Quattro Giornate di Napoli all'Insurrezione di Firenze, possiamo contare su una ricostruzione storica chiara e minuziosa, avvincente e ricca di pathos.
Merita una segnalazione a parte l'ultimo capitolo (L'eredità della Resistenza - Il passaggio del testimone) con le testimonianze di Vittorio Foa, Tina Anselmi, Giuliano Vassalli, Giorgio Bocca, Vittore Bocchetta, Gianfranco Maris e Libero Traversa. Figure che hanno fornito un contributo sostanziale alla Resistenza, e che hanno gettato le basi di una democrazia destinata, seppur faticosamente, a consolidarsi nel tempo.
Tina Anselmi aveva 17 anni quando, dopo la cattura a Bassano del Grappa di trentuno partigiani, molti dei quali erano suoi amici e conoscenti, fu costretta, insieme agli altri abitanti della cittadina, ad assistere alla loro impiccagione. Quell'episodio cruento, sommato ai troppi delitti efferati ai danni della popolazione e di persone colpevoli solo di avere idee diverse dal regime, la spinse a entrare nelle file della Resistenza. Divenne una staffetta della Brigata partigiana Cesare Battisti. Insieme ai suoi compagni, combatteva  
l'oppressione, la dittatura, la violenza, l'arroganza, la crudeltà, le continue stragi di civili, le persecuzioni degli ebrei, le discriminazioni politiche, la mancanza di libertà di stampa e di espressione politica. Proseguendo nel suo racconto, Tina Anselmi rivela: Potevamo essere arrestati, torturati, denunciati da qualche spia, noi donne violentate e umiliate. Ma noi pensavamo solo a migliorare il nostro Paese. [...] Le donne sono entrate nella storia della Resistenza come un'anomalia, perché è difficile immaginarle come portatrici di morte. Ma in quei giorni combattere contro il culto della morte significava salvare il senso profondo della vita di madri, padri, sorelle, fratelli, parenti, amici, compagni di scuola.
Giorgio Bocca ci consegna una riflessione amara ma crudelmente vera:  
la guerra partigiana nel suo complesso è stato un momento di ripresa di tipo risorgimentale del nostro Paese. Come diceva Livio Bianco di "Giustizia e Libertà", la Resistenza è stata una lunga e meravigliosa vacanza, nel senso che pur nel dramma è stato un periodo bello, un momento in cui si ritrovavano tutti i valori democratici fondamentali. Ma è durato poco, perché poi gli italiani hanno continuato a essere quello che sono sempre stati: voltagabbana e servitori. Per loro la Resistenza è stata una parentesi. Perché la democrazia è una forma politica faticosa. Implica la discussione, il riconoscimento dei fatti, non prevede l'uso della retorica. No, non è un Paese cambiato.
In questa fase segnata da equilibri oltremodo precari non solo a livello nazionale, risulta di fondamentale importanza affrancarsi dal meccanismo della rimozione e riannodare le fila della nostra memoria storica. Tutte le opere di Daniele Biacchessi scaturiscono da questo preciso intento, rammentandoci che abbiamo un debito di riconoscenza verso coloro che hanno combattuto, sacrificando spesso le loro vite, per farci dono di una democrazia certamente imperfetta, ma che ci pone al riparo da guerre e privazioni disumane. Per dirla con Italo Calvino, che Biacchessi cita nell'incipit:  
Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.

Cristina Luisa Coronelli