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#LibrinTrincea - A raccontare la Grande Guerra, la Villa Spada di Molesini

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Non tutti i bastardi sono di Vienna
di Andrea Molesini
Sellerio, 2010

pp. 366
€ 14.00

Tutto dentro di me, ogni tendine, ogni cellula, diceva che quegli uomini leggendari erano i nemici e che io dovevo odiarli. Ma, nella tensione di quei momenti, la forza della loro immagine mitica impose una tregua e, nel buio, mi abbandonai a un sentimento di ammirazione. (p. 95)

Si apre nel 1917 il romanzo corale meritatamente pluripremiato di Andrea Molesini. Lo scrittore, già noto per le tante storie per ragazzi e per la carriera accademica come professore di Letterature Comparate, nonché saggista e traduttore, ha scelto la conclusione della Grande Guerra a Villa Spada, a pochi chilometri dal Piave, come ambientazione: luogo e tempo che sono sfondo, motore narrativo e quasi personaggi del suo Non tutti i bastardi sono di Vienna. 

Gli Spada si vedono spodestare improvvisamente della bellissima villa di famiglia, occupata dai soldati: si trovano così fianco a fianco con i nemici, prigionieri in casa propria, costretti a dividere il companatico con chi vorrebbero allontanare, a mettere in tavola l'argenteria buona con il rischio di vedersela poi confiscare. Un gioco di forze, insomma, forze fisiche ma anche equilibri di buone maniere, opportunismi, tentativi di riprendersi i propri spazi e le proprie libertà sapendo che il nemico può sedere al nostro desco. E le donne di villa Spada incarnano l'idea stessa di forza d'animo, a cominciare da donna Maria, che «sotto la pelle aveva il fuoco vivo» (p. 66, metafora che tornerà a essere usata più volte per la Margarete di Presagio); ma anche la civettuola nonna Nancy; la domestica Teresa, «guardiana della verità» (p. 179), tanto pragmatica quanto di buonsenso, una Agnese manzoniana che ha viaggiato nel tempo. E poi ci sono le giovani donne: Loretta, la figlia di Teresa, spesso vittima suo malgrado di rapporti sbagliati; e soprattutto Giulia, conturbante e vivacissima ma anche coraggiosa. Di lei, s'innamora il giovane Paolo, io-narrante della storia, non ancora diciottenne: Paolo sa che Giulia è più grande (o "più vecchia", termine che spesso rintoccherà nei discorsi delle altre donne di casa), e che lo può letteralmente sbranare con la sua esperienza e con un certo passato con cui deve ancora fare i conti. Eppure c'è la guerra ovunque, Paolo aiuta sottorraneamente i soldati al fronte, e sa bene che il rischio di tradimento e di morte è alto. Accanto a lui, la figura del nonno, più letterato e filosofo che uomo d'azione, ma mai inerte davanti ai richiami del patriottismo. Più controverso, il violento Renato, custode della villa che non si tira mai indietro quando si tratta di aiutare al Fronte. 

Se questi sono solo alcuni rintocchi della complessa e ricchissima trama di Non tutti i bastardi sono di Vienna, si pensi brevemente alle tematiche meno esplicite. Per cominciare, il tema della verità è un vero e proprio Leitmotiv nelle opere di Molesini, e si preannuncia in questo romanzo con la forza che esploderà letteralmente in Presagio:
«Ho avuto paura della verità... quando dici la verità perdi gli amici, perdi ogni cosa. La verità fa male, perché c'inchioda alla terra. E la terra è proprio il posto che tutti vogliamo evitare.» (p. 170)
La verità, intrecciata con una delle metafore più letterarie e presenti in Molesini, quella del fuoco («La verità è fiamma, altro che l'inferno, è la verità il nostro inferno»,  p. 171), si rifrange in un caleidoscopio mutevole e instabile. Adattare la  visione stessa della verità per sopravvivere è l'unica formula sottesa a un romanzo che di scontatamente matematico non ha niente. Anzi, ogni volta che il lettore sembra ipotizzare un'evoluzione, ecco che Molesini fa dire o agire uno dei suoi personaggi in modo diverso: non per uno sfacciato gusto per lo sconvolgimento, ma perché ogni personaggio agisce quasi autonomamente, a dispetto dell'autore. 
Questa grande verosimiglianza, certamente acuita da scelte linguistiche mimetiche, porta con le battute in dialetto di alcuni personaggi tutta la saggezza di un mondo che fu. Del mondo che è, restano i temi atavici: l'amore, la formazione, la fedeltà, il coraggio, il patriottismo, l'affetto familiare, la lealtà. E il tenersi abbracciati in un mondo che va in pezzi - sapendo che, se si muore, perlomeno lo si fa al caldo di un affetto.

GMGhioni