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#TreQuarti14 - Intervista a Valentina D'Urbano

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Dopo la recensione di "Quella vita che ci manca", l'intervista esclusiva a Valentina D'Urbano, che ha partecipato a #TreQuarti14. 

Gloria Ghioni e Valentina D'Urbano alla Libreria CLU (Pavia)
per #TreQuarti14
Foto ©Cletteraria
Il tuo nuovo romanzo torna alla Fortezza, così come l’avevamo lasciata nel Rumore dei tuoi passi: stessi paesaggi scartavetrati, ma con l’aggiunta di un tocco di modernità, centri commerciali e vita nuova, che forse tra cent’anni… Forse… Dove ti aspettavano i fratelli Smeraldo? Nella piazza della chiesa, all’anfiteatro, al bar o…? E cosa hai provato al primo incontro con loro?

La famiglia Smeraldo l’ho incontrata per la prima volta proprio in una notte d'inverno, davanti a quella porta appena scassinata che è la prima cosa che appare nell’incipit. Stavano lì a congelarsi, ho capito che non potevo farli aspettare ancora a lungo, ho capito che volevo stare un po’ con loro, raccontare di loro.
  
Due protagonisti nel Rumore, tre in Acquanera, il tuo secondo romanzo, almeno quattro in Quella vita che ci manca. Quali sono le difficoltà di avere a che fare con tanti personaggi? I fratelli Smeraldo sono nati tutti “insieme”?

In realtà, due dei quattro fratelli, Alan e Vadim esistevano nella mia testa già da diversi anni. Certo, avevano nomi diversi, caratteristiche diverse, ma in qualche modo erano loro. Gli altri sono arrivati dopo, quando ho deciso di scrivere un romanzo che parlasse di nuovo di dinamiche familiari in un quartiere difficile.
Riuscire a far vivere così tanti protagonisti in contemporanea non è stato un lavoro facile perché ogni volta dovevo cambiare personalità e pensieri per risultare credibile, ma di certo è stato molto divertente!



Foto ©Cletteraria
Ripensando ai due romanzi precedenti, cosa ti manca di più delle atmosfere del Rumore e di Acquanera?

Non mi manca niente, per fortuna. Perché per me è difficile separarmi dalle storie e dai personaggi, non chiudo mai veramente i conti con loro. È come se mi lasciassi una porta aperta per andare a trovarli ogni tanto, quando ne sento la mancanza. Per me quelle storie non sono finite da qualche parte continuano a esistere.

Il tuo stile è cresciuto nel tempo, ma mantiene la bella concretezza di chi non ha paura di scontrarsi con il dolore, le passioni, la paura, la rabbia, la follia dell’amore. Non temi di sporcarti le mani, cosa rara in Italia. Che dire? Anche Valentina è coraggiosa come il suo stile?

Seh, magari! Da questo punto di vista la scrittura è sublimazione. Quello che non so dire in toni civili cerco di metterlo dentro a una storia, in maniera da “ammortizzarlo”. È una tecnica che mi risparmia il mal di fegato, e che mi costa meno di una terapia. Però mi dicono che nei miei romanzi si respira molta rabbia, anche nei confronti di una società marcia che ci ha rubato il futuro, quindi come vedi quello che sento riesce comunque a venire fuori.

Piccola parte del pubblico di #TreQuarti14
Sei giovanissima e già al terzo (attesissimo!) romanzo. Ci racconti l’aneddoto più bello o divertente legato a un incontro con il pubblico?

Le ragazze che piangono! 

Detto così sembra tremendo, invece mi capita qualche volta soprattutto nelle scuole, quindi tra le più giovani, che qualcuna vedendomi si commuova e scoppi a piangere. All’inizio quando mi capitava ero imbarazzata, poi mi sono ricordata di quando succedeva a me, e ho capito: attraverso un libro che abbiamo amato si crea un legame forte con lo scrittore, anche se non lo conosci, anche se non sai che persona è. Ecco, vedere qualcuno che si commuove perché ti ha davanti, perché tu sei quella che ha scritto il suo libro preferito, ti ripaga di tutto, ti fa capire che comunque vada continuerai a scrivere, fosse anche solo per quattro persone.




Intervista a cura di GMGhioni